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grassi libero web0di Francesca Mondin
“Non sono pazzo, non mi piace pagare perché - pagare- è una rinunzia alla mia dignità” dove “divido le mie scelte con il mafioso”. A parlare è l’imprenditore Libero Grassi durante un intervista televisiva con Michele Santoro, è il 1991, molte persone all’avanguardia nella lotta alla mafia sono già cadute per mano mafiosa. Di lì a poco ci saranno le due stragi più famose d’Italia, Via D’Amelilo e Capaci. Grassi è un imprenditore palermitano che si ribella alla mafia ed oltre a rifiutarsi di pagare il pizzo la denuncia pubblicamente.
A gennaio infatti il Giornale di Sicilia pubblica una sua lettera dove Libero si schiera chiaramente contro la mafia e il sistema del racket: “Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui”. Prima volta nella storia che un imprenditore compie un’ azione di questo tipo e con le sue denunce manda in galera gli estorsori.
Nella mattina del 29 agosto quattro proiettili colpiscono il simbolo dell’antiracket alle spalle. La mano codarda della mafia ha colpito ancora e un’altro uomo ha pagato con la vita la sua coraggiosa scelta di giustizia e impegno.

Libero fu tra i pionieri di quella rivolta morale e culturale - di cui parlò Paolo Borsellino - necessaria per respingere il “puzzo del compromesso morale” della mafia, in un epoca in cui sembrava impensabile opporsi al sistema estorsivo. Infatti la sua grande azione di coraggio non trovò sostegno né da parte del mondo dell’imprenditoria e dell’industria né dalla gran parte delle Istituzioni.
Nota è la sentenza dell’epoca del giudice di Catania, Luigi Russo, che portò all’assoluzione di alcuni imprenditori accusati di aver favorito e pagato la mafia poichè, secondo Russo, la “protezione” dei boss non era reato. Altra delusione per l’imprenditore palermitano furono le parole del presidente degli industriali di Palermo, Salvatore Cozzo, che alla radio disse che le denunce di Grassi avevano fatto troppo chiasso e che “i panni si lavano in casa”.

A raccogliere il testimone d’impegno civile di quello che diventò subito il simbolo dell’antiracket fu la moglie Pina Maisano che quest’anno all’età di 87 anni ha raggiunto suo marito  lasciando questo mondo. Pina assieme ad associazioni come Addio Pizzo e Libero Futuro hanno cercato di portare avanti il grido di ribellione di Libero Grassi promuovendo un educazione culturale contro la corruzione e lo strapotere mafioso. Così come i molti imprenditori, Valeria Grasso, Pino Masciari, Ignazio Cutrò, Gianfranco Franciosi, per citarne alcuni, che dopo il ’91 hanno iniziato a seguire le sue orme rifiutandosi di fare il gioco del mafioso di turno e divenendo così testimoni di giustizia. Sono loro, i testimoni di giustizia (comprendono non solo imprenditori ribellatisi al pizzo ma anche ad esempio testimoni oculari di azioni mafiose), che ora non vanno abbandonati, come successe nel ’91 con Grassi.

Eppure la loro situazione in Italia non è delle migliori, e troppo spesso l’applicazione delle misure adottate fa acqua da più parti e non permette ancora un riscatto sociale e dignitoso per queste persone. Molti sono scappati dalla loro terra abbandonando lavoro e famiglia sotto il sistema di protezione. Mentre chi ha scelto di rimanere nel proprio luogo d’origine non gode  ancora di una legge chiara che lo tuteli appieno.
Fortunatamente dal ’91 passi avanti sono stati fatti grazie soprattuto all’impegno della società civile, basti pensare ai molti negozi e imprese Addiopizzo ed al consumo critico promosso dall’associazione in tutta la nazione oppure ai molti cittadini che sostengono i testimoni di giustizia ogni qual volta subiscono un ingiustizia. E i risultati, nonostante le molte criticità che spesso chi denuncia è costretto a vivere, si riscontrano con il fatto che negli ultimi tempi sono molti gli imprenditori che denunciano e che si rifiutano di pagare il pizzo. I segreto per mantenere viva la battagli di Libero e Pina è senza dubbio l’impegno del singolo cittadino a cui però deve far eco l’attività politica per dimostrare chiaramente che denunciare il mafioso è giusto e che lo Stato c’è.

ANTIMAFIADuemila
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