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Ecco la nuova veste del "bunkerino" al Palazzo di Giustizia di Palermo
E' stato presentato ieri, nell'aula magna della Corte d'Appello di Palermo, il museo della memoria allestito negli uffici del palazzo di giustizia che negli anni '80 ospitarono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Alla morte del giudice Rocco Chinnici i due magistrati vennero trasferiti per motivi di sicurezza in un'ala blindata del palazzo che venne chiamata “bunkerino”. In quei primi anni '80 Falcone istruiva il cosiddetto processo Spatola, atto d'accusa al "re" del contrabbando, Borsellino indagava sull'omicidio del capitano Basile. Le stanze si trovano nel piano ammezzato del tribunale e grazie al contributo di magistrati e personale amministrativo sono state "ricostruite" con gli oggetti dell'epoca: dalla macchina da scrivere usata dai giudici, all'apparecchiatura della videosorveglianza. “Non è stato facile - ha detto Giovanni Paparcuri, l'autista sopravvissuto alla strage del giudice Chinnici che Falcone e Borsellino vollero accanto, nel 1985, per informatizzare il maxiprocesso - Però è anche vero che le cose belle sono anche quelle difficili. Ringrazio davvero i presenti e chi ha pensato a me per far riviere questi luoghi. Per me è una grande emozione e spero che lo stesso possiate provare tutti voi che entrerete in queste stanze che abbiamo cercato di ricreare in maniera dettagliata”. Su una scrivania si possono vedere ancora le fotocopie degli assegni sequestrati da Falcone durante un'inchiesta e atti giudiziari. Alla cerimonia di inaugurazione del museo della memoria hanno partecipato il presidente della giunta dell'Anm Matteo Frasca, il presidente della Corte d'Appello Gioacchino Natoli, la sorella di Falcone, Maria, il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, il prefetto Antonella De Miro, il procuratore generale Roberto Scarpinato, il comandante provinciale dei carabinieri Giuseppe De Riggi, il questore Guido Longo e numerosi magistrati palermitani.
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E' stato proprio il Presidente Frasca a ripercorrere le varie fasi di realizzazione del progetto. “Tutto questo - ha detto - vuole essere un modo per ritrovare la sacralità di quei luoghi e renderli fruibili soprattutto per i più giovani”. In questi anni il “bunkerino”, pur mantenendo quella forte vibrazione di storia, tra pile di faldoni ed affini, vestiva i panni del semplice ripostiglio. Per questo motivo la Corte d'Appello di Palermo e la Procura generale si sono mosse assieme all'Anm per arrivare alla realizzazine di questo museo. Il Presidente della Corte d'Appello Natoli ha sottolineato l'importanza del “recupero della memoria, anche visiva. Perché la memoria visiva, al pari dei filmati ha una capacità autorappresentativa importante. E questo luogo è molto importante. Falcone nei primi anni '80 si trovava al primo piano. Nonostante la lunga serie di omicidi eccellenti che si erano già consumati. Allora si capì che si doveva evitare quella esposizione agli occhi di tutti”. Natoli ha anche detto che “Il 23 maggio, quando ricordiamo dobbiamo avere l'onestà storica di dire che Giovanni Falcone non è stato sempre al centro della nostra attenzione. Quella stessa attenzione che invece in tanti si sono precipitati a manifestare dalla strage di Capaci in poi”. Un concetto ribadito con più forza dal Procuratore generale, Roberto Scarpinato. Il pg, dopo aver fatto un riferimento a l' "Anima dei luoghi" di James Hillman, ha ricordato la prima volta in cui ha varcato quella porta: “Quel luogo rappresenta l'anima di questo palazzo. Un'anima che non si può perdere. La prima volta che entrai in quel luogo, nel 1988, per andare a salutare Falcone ricordo che rimasi bloccato con il bisogno di fermarmi per regolare la mia respirazione. Ero molto emozionato. Quello non era un ufficio giudiziario come gli altri. Sembrava di essere altrove, in un cerchio magico rispetto a Palermo, alla Sicilia a quell'Italia assuefatta dalla secolare tracotanza del sistema di potere politico mafioso che dominava incontrastata l'economia, di un potere che non si declinava soltanto nelle complicità eccellenti della mafia ma anche negli apparati statali deviati, esecutori di stragi come piazza Fontana e quella di Bologna, nel piduismo e poi nella corruzione di Stato che venne dimostrata da lì a poco da Tangentopoli. In quel luogo, oltre quella soglia, vi erano uomini che lavoravano contro la rassegnazione e l'indifferenza, contro la capitolazione dello Stato rispetto a quei vasti sistemi criminali”. “Quel pool antimafia - ha ricordato - era diverso rispetto a quella magistratura, in parte indifferente e mafiosa, abituata più alla routine burocratica. Oltre quella soglia esisteva un microcosmo, una sorta di enclave, di pionieri solitari che affrontavano il terreno in salita, le trappole e le insidie tra l'insofferenza dei potenti e l'indifferenza di tanti”.
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Ed è proprio questo uno dei punti più dolenti. “Non possiamo dimenticare - ha aggiunto Scarpinato - In questo che diventa un luogo polivalente e didattico si può creare un archivio informatico consultabile non solo per le ordinanze del pool e le sentenze del maxi processo, ma anche gli atti importanti dell'intero Tribunale. E poi ancora gli atti dei processi di Caltanissetta, sulla strage di via Pipitone ederico, dei processi sull'Addaura, Capaci, via d'Amelio, dei processi sulla morte di magistrati come Saetta e Scopelliti. Atti importanti che forniscono una storia che non può essere parziale. Forze ben più potenti e ben al di sopra di Riina si mobilitarono in vario modo per fermare quella stagione di rinnovamento. Per questo credo che debbano anche essere inseriti i verbali del Csm che bocciarono Falcone per il posto di Capo procuratore a Palermo, ed anche i vari articoli di giornale e di opinionisti che tacciarono Falcone di fini politici. Persone che avversarono Falcone in vita per poi cambiare casacca dopo la sua morte. Gli stessi che utilizzarono come arma contro i magistrati della Procura di Palermo quel metodo Falcone che loro prima avevano criticato, presentandolo poi come metodo pragmatico e di rigorosa professionalità, perché quel luogo non può essere solo un insieme di stanze di cimeli di un passato archiviato, ma luogo dell'anima e di una narrazione fondante l'identità collettiva”. Piergiorgio Morosini, componente del Csm, ha messo in evidenza “l’attualità del messaggio di Falcone, col coraggio delle sue idee e un nuovo modo di concepire l’azione giudiziaria, anche in un ambiente difficile. Il suo contributo più grande è stato il senso di libertà, nella forza di praticare le sue idee con carattere e grande misura”.
E infine ha concluso: “Oggi come allora siamo in un momento di transizione e c’è il rischio di timidezze e conformismi da parte anche dei giovani magistrati”.
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