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Le dichiarazioni del pentito al processo Apocalisse
Matteo Messina Denaro, il capomafia trapanese ricercato da oltre vent’anni, avrebbe trascorso parte della propria latitanza a Palermo, in via dei Cantieri, nel “Palazzo di ferro”, sotto la protezione delle famiglie mafiose dell’Acquasanta. Il particolare è stato raccontato da Vito Galatolo, ex boss del quartiere, che nelle scorse settimane ha deposto al processo Apocalisse in trasferta a Torino. Il collaboratore di giustizia, dunque, oltre a riferire del progetto di attentato nei confronti del pm Nino Di Matteo ha fornito ulteriori dettagli sul boss di Castelvetrano ed il suo ruolo all’interno di Cosa nostra. A riportare la notizia è il Giornale di Sicilia di oggi. Quel dettaglio sulla latitanza di “Diabolik” Galatolo lo avrebbe appreso in carcere dallo zio, Pino Galatolo, “però non posso dire se è vero o no che era appoggiato in via dei Cantieri”. Secondo il pentito “la leadership di Cosa nostra ce l’ha Matteo Messina Denaro, che è anche figlioccio di Salvatore Riina e tutti a Palermo si sono accodati. Quello che prendeva tutti i contatti, e che era molto legato a lui, era Mimmo Biondino”. E a confermargli il dato sarebbero stati anche altri soggetti come “Nino Sacco, uomo d’onore della famiglia di Brancaccio, poi dalla famiglia di Santa Maria di Gesù, da Piero Pilo, detto Billy, da Nino Corso, da Giampaolo Corso, a cui lui ha fatto fare di nuovo le famiglie, i mandamenti, Santa Maria di Gesù, Brancaccio, Corso dei Mille, San Lorenzo”.

Legame speciale
Che Messina Denaro abbia da sempre un rapporto speciale con la famiglia Biondino è un dato acquisito da tempo, tanto che lo stesso superlatitante intervenne in prima persona nel 2008 proprio a protezione dei figli di Girolamo e Salvatore Biondino che stavano tentando una sorta di scalata all’interno della famiglia mafiosa di San Lorenzo. All’epoca il reggente riconosciuto era Mariano Troia ed erano sorti dei contrasti che avrebbero potuto portare anche a fatti di sangue. Persino i Capizzi si attivarono con lo stesso boss trapanese tramite Franco Luppino e la risposta non tardò ad arrivare. “Sandro- scriveva Messina Denaro - ma né ora né mai… ti posso già subito dire, fin da adesso vai tranquillo. Primo perché non se n´è parlato mai...però non li toccate perché sono figli di amici, di picciotti che ci tengo”.

Ordine di morte
Al processo “Apocalisse” Galatolo ha poi ribadito chel’ordine di morte di uccidere il magistrato Nino Di Matteo, titolare assieme al procuratore aggiunto Vittorio Teresi ed i sostituti Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, fosse arrivato tra settembre e dicembre 2012 proprio da Messina Denaro, indicato come “il fratellone”.
Una ricostruzione, la sua, che aveva trovato un parziale riscontro da un imputato, Camillo Graziano, durante alcune dichiarazioni spontanee che avevano di fatto confermato i contatti con il pentito Salvatore Cucuzza (oggi deceduto). Secondo Galatolo quest’ultimo avrebbe svolto la funzione di “esca” per attirare Di Matteo su Roma. Ieri però l’avvocato di Graziano, Loredana Cascio, ha smentito che il suo assistito abbia portato dei riscontri in quanto “ha chiarito unicamente di essere stato costretto a soddisfare una richiesta di contatto proveniente da Galatolo” senza metterla in relazione con l’attentato al pm Nino Di Matteo. Tuttavia le parole in aula restano evidenti e si aggiungono ad altri elementi importanti come le dichiarazioni di altri pentiti (Carmelo D’Amico e Francesco Chiarello e quel’ indagine sui legami tra la famiglia Graziano e l’avvocato civilista Marcello Marcatajo. A lui era stato dato il mandato di vendere 30 box auto al prezzo di 500mila euro e la metà di quella somma sarebbe appunto stata utilizzata per acquistare il tritolo per uccidere il pm titolare delle indagini sulla trattativa Stato-mafia.

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