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galatolo vito effdi Aaron Pettinari
Aggiornamento del 18 aprile 2016
Al processo Apocalisse le conferme di un imputato sul progetto d'attentato
“E' stato Vito Galatolo ad impormi di contattare un pentito che avrebbe dovuto fare da esca”. A confermare il progetto di attentato nei confronti del pm palermitano Nino Di Matteo non è un pentito ma uno degli imputati al processo Apocalisse, Camillo Graziano (classe 1967, per distinguerlo da un parente omonimo). Lo ha fatto con dichiarazioni spontanee immediatamente successive alla testimonianza in aula del collaboratore di giustizia Vito Galatolo (in foto), l'ex boss dell'Acquasanta che per primo ha svelato i piani di morte di Cosa nostra nei confronti del magistrato titolare dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. A riportarlo è il Giornale di Sicilia. “La richiesta - ha detto Graziano durante l'udienza in trasferta a Torino - parte da lì, perché quella è la verità. La richiesta parte solo ed esclusivamente da lui. E purtroppo non potevo, per paura e per timore, esimermi dal farlo. Quella è la verità”. La richiesta a cui fa riferimento è quella di contattate un collaboratore di giustizia, Salvatore Cucuzza (nel 2014 deceduto a causa di una grave malattia), che avrebbe dovuto “attirare” Di Matteo a Roma, con la scusa di nuove rivelazioni utili all'inchiesta sulla trattativa, e dare così ai mafiosi la possibilità di colpire.
Anche di questo progetto aveva parlato agli inquirenti Vito Galatolo, spiegando che l'idea di utilizzare Cucuzza, ex boss di Porta Nuova, era stata proprio di Camillo Graziano. Quest'ultimo è nipote di quel Vincenzo Graziano accusato di aver prima reperito e poi nascosto l'esplosivo necessario per l'attentato. “Le armi con cui colpire nella Capitale - ha ribadito in aula il pentito rispondendo alle domande dei pm Dario Scaletta e Amelia Luise - le possedevano i Graziano che le avevano portate dalla Slovenia e dalla Croazia, che tutto oggi là, ne è in possesso Camillo Graziano del ’67”. Secondo la ricostruzione di Galatolo l'ordine di morte nei confronti del magistrato era giunto direttamente dal superlatitante Matteo Messina Denaro che avrebbe inviato alcune missive al capomafia di San Lorenzo, Girolamo Biondino. “Bisognava fermare questo signor Di Matteo - ha spiegato il collaboratore di giustizia - nelle lettere si diceva 'perché sta andando troppo avanti, si è spinto troppo oltre, dobbiamo dimostrare che noi siamo ancora vivi, Cosa nostra è viva'”. Così come ha ribadito in altre occasioni Galatolo ha spiegato che per compiere quell'attentato vi erano tre possibilità. La prima era al palazzo di giustizia, la seconda nel luogo di villeggiatura frequentato dal pm, la terza era nella Capitale, approfittando proprio dell'aiuto di Cucuzza, che con il clan dei Graziano era legato per affari. I progetti di morte dei boss, inoltre, riguardavano anche altri pentiti come Antonino Giuffré, Gaspare Spatuzza, Giovanna Galatolo e Francesco Onorato.
Camillo Graziano, però, in aula ha negato la versione data dal pentito dicendo di essersi sentito intimorito dall'allora boss dell'Acquasanta. “Dei rapporti con Cucuzza - ha detto di fronte alla Corte presieduta da Vittorio Alcamo - nella mia famiglia, intendo famiglia allargata, nel senso i familiari anche di mio papà, sapevano tutti da anni, per cui non era assolutamente una novità. Né tantomeno è una verità, è inverosimile che io abbia mai proposto al Galatolo di metterlo in contatto con i Cucuzza. A quale scopo? Se non all’inverso la richiesta parte da lui, perché quella è la verità. La richiesta parte solo ed esclusivamente da lui”. Una sorta di "autogol" da parte di Graziano, che con le sue parole conferma l'esistenza del piano di morte. Un pò come accadde ai tempi del maxi processo quando Luciano Leggio, durante l'interrogatorio, parlò del Golpe Borghese. Affermò che Buscetta nel 1970 era stato contattato da Junio Valerio Borghese, a capo della Decima Mas, per ottenere l'appoggio di Cosa nostra al golpe militare. Egli si sarebbe invece opposto all'appoggio della mafia, impedendo di fatto il colpo di stato. Leggio sperava riferire un fatto di cui Buscetta non aveva parlato, per poterlo così delegittimare. Ma in realtà Buscetta aveva parlato approfonditamente in istruttoria della vicenda e con quelle parole il boss corleonese, di fatto, ammetteva l'esistenza di Cosa nostra stessa.
Tra le altre cose, nel suo “flusso di coscenza”, l'imputato Camillo Graziano avrebbe anche detto di aver riferito tutto questo ai pm di Caltanissetta, titolari dell'indagine sul progetto di attentato nei confronti di Di Matteo. Un riscontro importante che si aggiunge a quello di altri pentiti come Francesco Chiarello e Carmelo D'Amico. Il primo aveva confermato la presenza del tritolo a Palermo, il secondo aveva raccontato che alcuni boss siciliani rinchiusi nel carcere milanese di Opera si aspettavano “da un momento all'altro” la notizia del nuovo attentato.

AGGIORNAMENTO
In data 18 aprile su iltempo.it viene scritto un articolo dal titolo "Quante balle sul tritolo per Di Matteo. Giornali e siti 'pro-procura' pubblicano conferme sull’attentato al pm Ma la frase attribuita a un imputato per mafia nel verbale non esiste". Si dice che "la conferma su un piano per attentare alla vita del pm antimafia Nino Di Matteo non c’è mai stata" e che "nessuno, dunque, al contrario di quanto letto su molti giornali giorni fa, ha avallato le dichiarazioni del pentito Vito Galatolo". In particolare si contesta che l'imputato Camillo Graziano non ha mai detto la frase "È stato Galatolo ad impormi di contattare un pentito che avrebbe dovuto fare da esca". Fermo restando che la notizia era stata ripresa per prima dal Giornale di Sicilia, nel verbale delle dichiarazioni spontanee può essere vero che lo stesso imputato non fa cenno a Nino Di Matteo o al progetto di attentato (il fatto sarebbe stato ancora più eclatante), ma non si possono decontestualizzare le dichiarazioni dello stesso dalle accuse fatte dal collaboratore di giustizia. Vito Galatolo, infatti, tira in ballo Camillo Graziano su un fatto specifico, così come abbiamo spiegato nell'articolo, e Graziano risponde in maniera chiara e letterale sulla questione. "Per quanto riguarda i rapporti con Cucuzza. Nella mia famiglia, intendo famiglia allargata, nel senso i familiari anche di mio papà, quindi i miei cugini, i miei parenti, ma sapevano tutti da anni che io avevo rapporti, che prima mio padre e poi successivamente alla morte di mia mamma io, tutti sapevano che in famiglia io avevo rapporto con Cucuzza. Per cui non era assolutamente una novità. Né tantomeno è una verità, è inverosimile che io abbia mai proposto al Galatolo di metterlo in contatto con il Cucuzza. A quale scopo? Se non all'inverso la richiesta parte da lui, perché quella è la verità. La richiesta parte solo ed esclusivamente da lui. E purtroppo non potevo, per paura e per timore, esimermi dal farlo. Quella è la verità". Fermo restando, quindi, che il Galatolo stava parlando dell'attentato al magistrato di Palermo, l'imputato non smentisce in alcun modo il contatto avuto con Cucuzza anzi conferma, di fatto, che c'è stato. L'unica differenza è che la richiesta verrebbe da Galatolo e non è nato su sua proposta. Tantomeno Graziano sta mettendo in discussione la natura di quel contatto. C'è un detto, dunque, ma anche un non detto che può essere interpretato. Se non voleva lasciare dubbi doveva anche spiegare il motivo per cui si è poi messo in contatto con Cucuzza, e cosa Galatolo gli ha chiesto. Ciò non è stato e quelle parole confermano il contato con il pentito, oggi deceduto. Non c'è alcun mistero, quindi, e nessun tentativo di far passare una cosa per un altra. Piuttosto, da parte di certa stampa, non possiamo che ravvisare l'inquietante silenzio di fronte ad una condanna a morte di un magistrato che diventa anche peggiore quando si cerca di ridimensionare ogni fatto che ne parla.


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