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alpi hrovatin militari ciriellodi Miriam Cuccu
In aula i teste al processo di revisione

"Io sono innocente, l'ho detto fin dal primo momento, ma mi hanno condannato lo stesso. Adesso, anche se ho passato 16 anni in carcere, spero ancora nella giustizia italiana". A dichiararlo è Hashi Hassan, condannato per essere tra i responsabili dell’assassinio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, appena prima di entrare nell’aula in cui stamattina è stato celebrato il processo di revisione, a Perugia, per l’omicidio dei due italiani risalente al ’94, a Mogadiscio.

Hashi Hassan è stato accusato dal somalo Ahmed Ali Rage detto “Gelle”, teste chiave poi sparito dalla circolazione per anni prima ancora che avesse luogo il riconoscimento e la conferma delle dichiarazioni in tribunale. Ora, dopo l’intervista shock rilasciata lo scorso anno a “Chi l’ha visto?”, in cui Gelle ritrattava le accuse dichiarando di essere stato pagato dalle istituzioni italiane per incastrare il connazionale, i difensori di Hassan hanno chiesto e ottenuto un nuovo processo per dimostrare l’estraneità del loro assistito a quanto accaduto a Mogadiscio.

Ammessi, dalla Corte, tutti i testi della difesa e del procuratore generale. Tra questi lo stesso Gelle, che mise piede in Italia nel ’97 dopo essere stato considerato attendibile dall’ambasciatore italiano in Somalia Giuseppe Cassini, tra i testi sentiti in aula questa mattina. Cassini ha dichiarato di essere risalito a Gelle grazie a Ahmed Washington, all’epoca funzionario dell’Unione Europea, il quale gli parlò di tale Abdessalam Shino, un amico che sapeva dell’esistenza di un testimone oculare del delitto Alpi-Hrovatin. “Gelle disse che vide arrivare un’auto con un commando armato composto da sette persone – ha ricordato Cassini – e che assistette all’assalto. Mi disse anche di aver riconosciuto uno dei somali”. “Se ha detto bugie tali da mandare in galera una persona per 16 anni – ha proseguito l’ambasciatore parlando ancora di Gelle – perché oggi si dovrebbe ritenere che invece dica la verità? Rispetto a quest’uomo resto perplesso che non sia stato ascoltato, dalle autorità italiane, nelle forme opportune, quando era nelle nostre disponibilità. Avevamo l’indirizzo preciso che ho dato alle autorità quando lui si era allontanato dall’Italia”.

Cassini ha inoltre ripercorso le dichiarazioni fatte davanti alla Commissione parlamentare d’indagine nel 2004 (da poco desecretate) in merito alla poca affidabilità nutrita nei confronti Abdi, autista della troupe che avrebbe riconosciuto Hashi Hassan per l’omicidio dei due italiani. “Ho spiegato che essendo un bantu, un fuori clan, ha minore possibilità di difendersi e minore affidabilità generale. Perchè comunque deve difendersi e quindi più che dire le verità oggettive dirà cose a sua difesa. C’è un concetto tutto somalo di verità” ha detto il diplomatico.

Tra i testimoni di questa mattina anche Chiara Cazzaniga, giornalista di “Chi l’ha visto?” che in Gran Bretagna (dove Gelle si rifugiò) realizzò l’intervista durante la quale, ha affermato oggi, “Gelle mi disse che lui non era presente al momento del delitto e mi disse che arrivò verso le 16. Mi disse che gli venne detto che agli italiani gli serviva un testimone e che gli sarebbe stato offerto un passaporto e dei soldi che gli avrebbero permesso di lasciare la Somalia. Durante l’intervista mi disse anche che il nome da fare gli fu indicato espressamente. E quando Gelle parla degli italiani parla dell’ambasciatore e di Washington”.

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