di Aaron Pettinari
Roboanti dichiarazioni del pentito al processo per l'omicidio Rottino
“Abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale, e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante”. Sono queste le dichiarazioni dirompenti di Carmelo D’Amico, ex boss pentito di Cosa Nostra barcellonese, al processo a carico di Enrico Fumia per l’omicidio di Antonino “Ninì” Rottino, avvenuto nell’estate del 2006 e che viene ritenuto come un episodio chiave dell’ascesa al vertice del gruppo mafioso dei Mazzarroti del boss Tindaro Calabrese. Dichiarazioni che il pentito non avrebbe mai reso prima in un verbale di interrogatorio. A riportare la notizia è la Gazzetta del Sud.
D’Amico, durante il processo che si sta svolgendo davanti alla Corte d’assise di Messina presieduta dal giudice Nunzio Trovato, ha risposto ad una serie di domande effettuate dal pm Francesco Massara.
Ed è proprio raccontando la propria storia criminale che D’Amico ha raccontato certi dettagli in materia di “aggiustamento” dei processi che riguardavano capi e gregari, arrivando perfino a corrompere un giudice in Cassazione.
“Guardi - ha detto D’Amico - io ho deciso di collaborare con la giustizia, perché sono stato sempre chiuso al 41 bis, da quando mi hanno arrestato dal 2009. Il 41 bis mi ha fatto riflettere tantissimo stando da solo, anche perché il 41 bis è un carcere duro, e niente ho deciso di cambiare vita, anche se avevo la possibilità può darsi, di uscire dal carcere, perché io ho esperienza nei processi perché abbiamo aggiustato… la nostra organizzazione ha aggiustato diversi processi, abbiamo corrotto qualche giudizio di cui ne ho parlato, abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante e quindi c’era possibilità che io sarei potuto uscire dal carcere…”.
Il processo in questione, secondo il pentito, sarebbe stato quello per il triplice omicidio Geraci-Raimondo-Martino, commesso dal suo gruppo di fuoco la notte del 4 settembre 1993 alla stazione di Barcellona, quando ad essere uccisi furono tre ragazzi di Milazzo che oltrepassavano il confine per compiere reati contro il patrimonio a Barcellona.
Ma nella sua lunga deposizione D’Amico, rispondendo ad una domanda sull’operazione “Icaro” che ha riguardato l’ex capo dei Mazzarroti Carmelo Bosognano, ha anche accusato altri soggetti istituzionali: “L’ho avvisato pure io di quell’operazione, l’ho avvisato io che c’era l’operazione in corso, perché avevamo saputo praticamente, tramite carabinieri corrotti che noi avevamo, che pagavamo sul libro paga dal ’90, carabinieri corrotti che era uno.. uno apparteneva alla.. alla squadra catturando latitanti, un altro era nella Dda… nella Dda che faceva la scorta.. e tanti altri carabinieri e poliziotti che sono sui libri paga, che ne ho parlato purtroppo”.
Quindi è arrivato ad accusare anche un giudice della Cassazione. “La nostra associazione - ha detto l’ex killer - era molto ramificata a livello politico, a livello istituzionale, era una delle più potenti che c’era in Sicilia diciamo la cosca barcellonese e anche molto sanguinaria.. Noi abbiamo fatto… siamo arrivati anche sin Cassazione a sistemare un processo.. un processo molto noto, abbiamo corrotto un giudice di Cassazione, che sono andato personalmente io insieme a Pietro Mazzagatti Nicola, e abbiamo corrotto questo giudice nativo, si Santa Lucia… le dico questo, nativo di Santa Lucia del Mela e che risiede a Roma, abbiamo… comunque per questo le dico che io ero sicuro di uscire, perché sapevo che avevamo anche l’appoggio in Cassazione di questo giudice corrotto che era in Cassazione”.
Non è la prima volta che il pentito barcellonese rilascia dichiarazioni così dirompenti durante un processo. Era già capitato al processo trattativa Stato-mafia quando disse di sapere chi aveva ucciso il giornalista Beppe Alfano e lanciò pesanti accuse nei confronti di Angelino Alfano e Renato Schifani. Nei giorni scorsi al processo d'appello Gotha-Pozzo 2, sempre D’Amico aveva parlato del progetto della famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto di eliminare un avvocato.
Ora queste nuove dichiarazioni su giudici e magistrati di Messina, sono al vaglio della stessa Dda e sono già state trasmesse, per competenza, alla Procura di Reggio Calabria.