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di matteo scarpinato morosiniVideo
di Aaron Pettinari

“Oggi il pensiero, il sogno, l'eredità morale di Falcone sono stati purtroppo da noi tutti, nei fatti, disattesi e persino traditi”. E' una constatazione amara quella del sostituto procuratore di Palermo, Antonino Di Matteo, intervenuto ieri pomeriggio al dibattito sul tema “Giovanni Falcone e il Consiglio superiore della Magistratura” assieme a Piergiorgio Morosini (componente del Csm) e Stefano Racheli (già Componente del Csm proprio negli anni di Falcone).
Un evento inserito all'interno del ciclo di incontri organizzato dalla Scuola Superiore della magistratura.
Nel suo intervento il magistrato ha ricordato come la storia di Giovanni Falcone “nel suo rapporto con la magistratura è quella di un eterno perdente, segnata da pesanti, dolorose e reiterate sconfitte, un tragico paradosso rispetto alla straordinarietà e all'eccellenza di un contributo riconosciuto anche all'estero”. Ricordando la dolorosa stagione di veleni, le polemiche sulle scorte, le lettere anonime del Corvo e l'episodio del fallito attentato all'Addaura, Di Matteo ha amaramente riscontrato come “la figura di Falcone è stata sbandierata come facile e comoda icona anche da quel sistema di potere che Falcone ha cercato di contrastare”. “Nei confronti di Falcone - ha aggiunto - iniziò una strisciante operazione di delegittimazione, se ne bloccava l'ascesa per normalizzare l'azione della magistratura, per riportare l'azione del pool in un alveo che doveva fermarsi rispetto a certe collusioni politiche e finanziarie. Falcone fu costretto dall'ostracismo dei suoi colleghi a fuggire dalla procura di Palermo”. Per evidenziare il fastidio che si era creato all'interno dello stesso Palazzo di Giustizia di Palermo, Di Matteo ha ricordato anche quanto scritto nel suo diario da Rocco Chinnici, Capo dell'ufficio Istruzione di Palermo, in merito al dialogo avuto con l'allora presidente della Corte d'Appello Giovanni Pizzillo: “Ore 12 - Vado da Pizzillo per chiedere di applicare un pretore in sostituzione a La Commare dal momento che il Csm ha deciso che la competenza è del presidente della corte. Mi investe in malo modo dicendomi che all’ufficio istruzione stiamo rovinando l’economia palermitana disponendo indagini ed accertamenti a mezzo della guardia di finanza. Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone in maniera che 'cerchi di scoprire nulla perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla'”.
Un attacco diretto che non veniva da strutture esterne, ma interne. Così come interno fu “l'input per convincere Antonino Meli, a concorrere per il posto di capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, in modo da contrastare efficacemente la candidatura di Falcone”.



Ma proseguendo nella sua analisi Di Matteo, membro del pool che indaga sulla trattativa Stato-mafia, non ha fatto mancare anche un'analisi sul presente, sui rischi che si nascondono all'interno dello stesso apparato istituzionale, sia in politica che all'interno della magistratura. “Il germe dell'indifferenza nella lotta alla mafia si è insinuato anche nei tessuti più resistenti - ha detto - Oggi registro anche nella magistratura una sorta di stanchezza e fastidio nei confronti di quelle indagini che mirano a scoprire come la mafia sia ben presente nelle stanze del potere. Questo è un primo pericolo di tradimento del pensiero di Giovanni Falcone”. Di Matteo si è soffermato anche su alcuni “segnali preoccupanti come la ripresa di certe campagne di stampa che vogliono fare apparire la mafia e l'antimafia come se fossero la stessa cosa, come se l'antimafia fosse tutta da buttare via”. “Oggi persino nella magistratura e nelle forze di polizia sento fare del facile sarcasmo - ha aggiunto Di Matteo - contro la cosiddetta archeologia giudiziaria e continuo a indignarmi, perché certe pagine fondamentali per comprendere dinamiche mafia e del potere non possono mai considerarsi chiuse”. “Oggi - ha concluso Di Matteo - avverto il pericolo di diventare un oscuro funzionario talmente acriticamente ligio alle direttive dei capi degli uffici da farsi espropriare dal ruolo di titolare dell'indagine, un pericolo che non riguarda solo i pubblici ministeri. Il rischio di essere sommerso dai processetti, come avvenuto con Giovanni Falcone, oggi è immanente per tutti i magistrati italiani.
Non solo. Dal ministero è ricaduta su ogni ufficio la logica dei numeri, che coincide con quella deleteria delle carte apposto, la logica di chi non tiene in nessun conto il compito dell'approfondimento, della ricerca della verità, dell'applicazione dei principi Costituzionali che è compito che ci è assegnato”.
Con amarezza Di Matteo ha constatato come il sistema di tutela interno dell'ordine giudiziario “si sia legato in maniera scandalosa per le nomine dei magistrati, per l'attribuzione degli incarichi fuori ruolo, e quant'altro, al sistema delle correnti. Non si riesce a trovare, e spero di essere eventualmente smentito, un Capo degli uffici giudiziario che non appartenga o non sia iscritto a qualche corrente della magistratura. Questo lo dico senza demonizzare le correnti. E' insopportabile e pericoloso, specie per i giovani magistrati, la differenza che viene fatta tra chi è iscritto all'Anm o chi è fuori, con i secondi che spesso vengono abbandonati al loro destino senza indugi. Il sistema elettorale è un problema centrale per l'organo di Autogoverno”. Di Matteo quindi avverte un “rischio di consegnarci con le nostre mani all'intento eversivo di rendere la magistratura un ordine collaterale rispetto a quello politico, volto a limitare il controllo di legalità solo su quegli aspetti di criminalità che non coinvolgono il potere”.
Quindi ha concluso: “Io ho fiducia in tutti i colleghi e in particolare quelli piu giovani per la loro capacità di informarsi e lavorare senza pregiudizi, coltivando il valore di autonomia e indipendenza, che hanno il coraggio di pagare sulla propria pelle quella scelta e la loro capacità di indignazione su storture del sistema. Ho anche la speranza che conserviate la passione civile di verità e giustizia e resistiate sempre assuefazione del sistema e del conformismo e del carrierismo. Una battaglia di tutti noi, l'unica battaglia per ricordare i nostri morti e indossare con onore la nostra toga”.

Foto © ACFB

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