Le conferme dell’ex boss dell’Acquasanta: “non c’è mai stato un contrordine, il progetto di attentato a Di Matteo è ancora operativo”
di Lorenzo Baldo
I rapporti con Vito Lo Forte? “Intimissimi, si parlava di tutto, probabilmente anche dell’omicidio Agostino”. Perché è stata uccisa anche la moglie del poliziotto, Ida Castelluccio? “Dentro Cosa Nostra si diceva che avesse riconosciuto l’assassino”. E chi era? “Tanino Scotto”. La conclusione dell’incidente probatorio nel procedimento sull’omicidio Agostino-Castelluccio vede l’ex boss dell’Acquasanta, Vito Galatolo, confermare sostanzialmente le dichiarazioni dell’ex picciotto del clan Galatolo, Vito Lo Forte, interrogato dai pm Di Matteo e Del Bene lo scorso 26 novembre. E’ un’aula semideserta quella al pianterreno del palazzo di giustizia, i familiari di Nino Agostino sono lì che aspettano l’inizio dell’udienza che si svolgerà a porte chiuse. Seduti dietro al grande tavolo di legno ci sono Vincenzo Agostino con la sua lunga barba bianca, sua moglie Augusta, e la loro figlia Flora. Nei loro sguardi brucia forte quella pretesa di giustizia che appartiene a tutti coloro che portano sulle spalle una croce troppo pesante.
A fine giornata le notizie si rincorrono. Notizie che appaiono decisamente importanti in questa delicata fase delle indagini sugli omicidi dell’ex agente di Polizia e di sua moglie. Dalle prime indiscrezioni emerge che Vito Galatolo (collegato in videoconferenza) ha raccontato che nel 1989 suo cugino, Angelo Galatolo, mentre si trovava all’Addaura, con il telecomando destinato a far esplodere la bomba che avrebbe dovuto uccidere il giudice Giovanni Falcone, aveva notato il poliziotto Nino Agostino. Vito Galatolo ha quindi confermato che dentro Cosa Nostra tutti conoscevano gli agenti Nino Agostino ed Emanuele Piazza in quanto sapevano che i due cercavano i latitanti, e più volte erano stati visti in vicolo Pipitone. “Io non voglio dire le parole che si usavano nei confronti di queste persone – ha sottolineato il collaboratore di giustizia evidenziando l’odio di Cosa Nostra verso i due poliziotti – perché vedo che ci sono i familiari… si dicevano cattive parole contro questi due…”. Galatolo ha quindi specificato che Stefano Fontana (deceduto recentemente) aveva parlato dell’uccisione di Agostino e della moglie e che quest’ultima probabilmente era stata uccisa perché aveva riconosciuto l’assassino. Che, secondo la sua ricostruzione, sarebbe proprio quel Gaetano Scotto, indagato assieme a Nino Madonia per gli omicidi Agostino-Castelluccio. Di fatto nel 2014, rispondendo ai pm Teresi, Di Matteo e Del Bene, Galatolo lo aveva accennato: “C’era la voce sempre che girava che era Tanino Scotto, ma però sempre fra di noi non che posso dire con certezza che Tanino Scotto ha commesso… girava voce di Tanino che forse avevano riconosciuto a Tanino, ma era una cosa così, non posso dire con certezza… si c’era Tanino”.
L’ex boss dell’Acquasanta si è successivamente addentrato nella questione nodosa dei rapporti coi Servizi segreti e della presenza dell’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada, più volte visto a vicolo Pipitone (anche assieme all’avvocato Marco Clementi, considerato da Galatolo “un uomo d’onore” di Resuttana). Il collaborante ha quindi raccontato di aver visto in diverse occasioni, sempre al vicolo Pipitone, Giovanni Aiello (indicato come “faccia da mostro”). Secondo il pentito, l’avvocato Clementi non avrebbe partecipato alle riunioni della famiglia limitandosi a venire a salutare e a baciare Nino Madonia. “Il grande capo di tutto era Nino Madonia – ha sottolineato Galatolo –, per noi era più importante di Totò Riina…”. Per poi aggiungere: “se si pentisse Nino Madonia sarebbe peggio di una bomba atomica perché è lui che teneva i rapporti con la Polizia e con i Servizi segreti”. Per il collaboratore di giustizia, Gaetano Scotto “aveva rapporti con i Servizi segreti”, e la sede del castello Utveggio, sul Monte Pellegrino, sarebbe stata utilizzata per alcuni incontri tra quest’ultimo ed alcuni esponenti dell’Intelligence. Dopo aver sostanzialmente ripercorso le precedenti dichiarazioni rese a verbale, l’ex boss ha quindi riportato l’attenzione sul summit mafioso avvenuto il 9 dicembre 2012 relativo all’organizzazione dell’attentato nei confronti del pm Nino Di Matteo. Per Galatolo “non c’è mai stato un contrordine, il progetto dell’attentato a Di Matteo è ancora operativo”. Trovare al più presto quel tritolo è un dovere morale per uno Stato che non voglia rendersi complice di una nuova strage. Tritolo che potrebbe essere nascosto nella città di Palermo. Possibilmente “nei piani alti”, come ha detto il boss Vincenzo Graziano al momento del suo arresto.
“Faccia da mostro”
Del famigerato “faccia da mostro” Vito Galatolo aveva già parlato il 9 dicembre 2014, davanti ai magistrati di Caltanissetta e Palermo Sergio Lari, Lia Sava, Gabriele Paci, Stefano Luciani, Antonino Di Matteo e Francesco Del Bene. “Il soggetto di cui parlo era alto circa 1,80 cm – aveva raccontato agli inquirenti – corporatura robusta, capelli di colore chiaro e biondo tendente al bianco, occhi colore castano chiaro, anche se preciso di non averlo mai visto da vicino. Aveva il lato sinistro del volto rovinato ed una macchia di colore violaceo. Per quel che ricordo non aveva baffi. L'età di questo individuo era tra i 40 e i 50 anni. Preciso, altresì, che nell'arco di tempo compreso tra l'86 ed il '90 mio padre fu detenuto per circa sei mesi, ma in ogni caso si continuavano a tenere riunioni al vicolo Pipitone. Confermo che, come ho già dichiarato, anche mia sorella ebbe modo di notare la presenza di questo soggetto in vicolo Pipitone. Ebbi modo di commentare con mia sorella della presenza di questo individuo ed anche lei mi sfotteva dicendomi 'chiamo il mostro?'”). “Poichè non notavo questo soggetto salutare gli altri col bacio, come solitamente avveniva tra uomini d'onore, ma semplicemente con la mano – aveva sottolineato Galatolo –, ne ho dedotto che si trattasse di un soggetto non organico all'organizzazione. Mio zio Pino mi diceva che si trattava di un appartenente ai Servizi Segreti, uno 'sbirro' che ci forniva coperture e protezione; posso dire che quando questo soggetto accedeva al vicolo Pipitone vi era anche la presenza di Tanino Scotto”. L’ex boss aveva quindi specificato che “nelle occasioni in cui ho visto il soggetto in vicolo Pipitone, l'ho visto accedere a piedi ed ho notato che veniva accompagnato da qualcuno che poi rimaneva in attesa. Normalmente veniva vestito con giacca o con un maglione”. “Il soggetto di cui parlo – aveva ribadito Galatolo – si incontrava anche col dott. Contrada, il quale era di casa in vicolo Pipitone, ed anche con l'avv. Marco Clementi. Il Clementi è uomo d'onore della famiglia di Resuttana e veniva al vicolo Pipitone con una Fiat uno di colore verde ed era colui che accompagnava il dott. Contrada alle riunioni; il Clementi solitamente non partecipava alle riunioni e rimaneva all'esterno con mio zio Pino. Questi incontri sono avvenuti dal 1986 in poi e finché mio padre è rimasto in libertà. Il Clementi è stato combinato negli anni '80, come appresi da mio zio Pino. Ricordo che in una circostanza ebbi a notare il Clementi, il Contrada ed il 'mostro' accedere quasi contemporaneamente nella 'casuzza' ove avvenivano le riunioni; sono sicuro che il Clementi conoscesse il soggetto col volto deturpato. L'avv. Clementi è stato sempre il difensore dei Madonia, dei Galatolo e dei Di Trapani; il Clementi quasi ogni giorno veniva in vicolo Pipitone”. In quella occasione, dopo aver mostrato al Galatolo un album fotografico predisposto dalla Dia di Caltanissetta (composto da 32 fotografie), il pentito era stato al quanto chiaro: per lui “faccia da mostro” era Giovanni Aiello. Che oggi si ritrova indagato per l'omicidio Agostino e per il quale verrà disposto un riconoscimento all'americana da parte del padre del poliziotto assassinato.
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