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ingroia c paolo bassani 2015 2di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
L'analisi dell'ex magistrato che ha istruito le indagini sul “patto” tra Stato e mafia
Al di là della necessità di dover leggere la motivazione della sentenza prima di approfondire la sentenza di assoluzione, l'ex pm Antonio Ingroia non si esime dal commentarla a caldo. Per Ingroia si tratta di “una momentanea sconfitta del pubblico ministero” in un processo “nel quale lo stesso pm ha tutti gli strumenti per impugnare una sentenza che non condivide”. L'attuale presidente di Sicilia e-servizi evidenzia che si tratta comunque di una sentenza di assoluzione contrassegnata dalla vecchia definizione di “insufficienza di prove”. “Non siamo di fronte ad un'assoluzione per totale innocenza dell'imputato – ribadisce –. Un fatto di reato c'è. Qualora non ci fosse stata la trattativa il dispositivo di sentenza avrebbe recitato: 'il fatto non sussiste'. Nel caso in cui il giudice avesse ritenuto che la trattativa in sé fosse un atto legittimo e non penalmente rilevante avrebbe potuto dire 'perchè il fatto non costituisce reato'. E invece qui si dice che il fatto sussiste, ma non lo ha commesso l'imputato”. “Nei confronti di Mannino non sono state valutate alcune prove acquisite nel frattempo nel dibattimento dinnanzi alla Corte di Assise. Che invece potranno essere valutate nei confronti degli altri imputati anche in relazione al ruolo di Mannino”. Ingroia ci tiene quindi a evidenziare che la responsabilità penale degli imputati al processo “madre” sulla trattativa non verrà intaccata “a prescindere dal fatto che ci sia stata un'assoluzione su un altro materiale probatorio sul quale ha deciso un Gup”. “Nel caso di Mannino – sottolinea – non ci sono dichiarazioni di collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa direttamente per un ruolo di artefice della trattativa. Ci sono piuttosto dichiarazioni di collaboratori che parlano di un fatto importante che noi abbiamo ritenuto la premessa del presupposto logico alla trattativa: il progetto di attentato nei confronti di Mannino, progetto che poi venne sospeso per ragioni apparentemente non conosciute. A questo si sono aggiunte prove testimoniali e in parte documentali, anche sul versante politico-istituzionale, relative agli incontri di Mannino con uomini delle istituzioni, degli apparati, dei Servizi, della Polizia e via dicendo”.

Quella trattativa che non è negata
“Si tratta di una sentenza che non nega l'esistenza della trattativa – rimarca con forza Ingroia – e la rilevanza penale di quello che noi abbiamo chiamato trattativa (minaccia a corpo politico dello Stato). Tanto meno avrà un impatto sulla responsabilità penale degli altri imputati che sarà giudicata nel processo rispetto ai quali il quadro probatorio è, a mio avviso, ancora più pesante rispetto a quello che aveva Mannino e soprattutto è andato avanti”. “Mannino non era imputato del fatto di essere stato 'salvato' dalla trattativa – ribadisce –, questa sentenza di assoluzione non smentisce, appunto, l'esistenza della trattativa e il fatto che siano stati salvati dei ministri. La sentenza evidentemente non ritiene che sia stato sufficientemente provato il ruolo di 'input' dello stesso Mannino nei confronti del Governo”. In soldoni l'ex pm ipotizza che il Gup abbia potuto obiettare: 'tu mi hai provato che lui (Mannino, ndr) era intimorito (prima e dopo l'omicidio Lima, ndr), che era interessato che si avviasse una trattativa, mi hai provato che si è dato da fare per sapere, sul versante di Cosa Nostra, attraverso determinati canali, cosa volessero, dopodichè non mi hai provato che dopo questo suo attivismo iniziale abbia eseguito ed assecondato le fasi successive, dandosi da fare presso il Governo affinchè il Governo portasse avanti questa trattativa'. Ingroia è del tutto consapevole che attorno alla trattativa rimangono diversi buchi neri in quanto “la strada di accesso alla stanza della verità è rimasta sbarrata”. Buchi neri che rimangono ugualmente attorno alla figura di Calogero Mannino e che per l'ex pm si traducono in “lacune ricostruttive e anomalie di comportamento dello stesso Mannino che non hanno avuto spiegazione”.

Il clima “vincente” nel Paese
In riferimento ai pesantissimi attacchi nei confronti del processo sulla trattativa, l'avvocato Ingroia ha le idee molto chiare: “siamo di fronte ad un costante condizionamento, un'opera di pressione per condizionare l'opinione pubblica e, indirettamente, condizionare i giudici sulla decisione. Un condizionamento che purtroppo in buona parte ha funzionato sull'opinione pubblica”. “Una dimostrazione di condizionamento la troviamo ovviamente nella sentenza della Corte Costituzionale relativa alle famose intercettazioni (tra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, ndr), una sentenza dettata più da motivi politici che giuridici”. “Al momento – sottolinea l'ex pm – c'è questo clima 'vincente' nel Paese, un clima del tutto ostile rispetto all'intransigenza della verità e per la verità. E' un Paese più disposto a dimenticare piuttosto che a ricordare e a trovare la verità a tutti i costi”. E proprio in merito alle esternazioni – particolarmente violente e farneticanti – post assoluzione (i deliri di Sgarbi, o le stesse dichiarazioni di Mannino si commentano da soli) il concetto è chiarissimo: “non sono solo un attacco al processo, si tratta di un attacco nei confronti di quella magistratura ostinata che ritiene, così come la Costituzione prescriverebbe, che vada accertata la verità e fatta giustizia a tutti i costi e in tutti i casi. Invece in Italia da tanti anni il principio della politica e della ragione di Stato prevalgono sulle ragioni della verità e della giustizia. E questo ha avuto dei 'frutti malati' anche all'interno della magistratura”. Nel ragionamento di Antonio Ingroia c'è anche spazio per il ruolo dell'informazione che per buona parte “è la prima a subire i condizionamenti della politica, tranne pochissimi e coraggiosi giornalisti e tranne pochissime e coraggiose testate. Il ventennio che noi chiamiamo 'berlusconiano' ha dato un'impronta che sopravvive a Berlusconi e sopravviverà per molti anni”. “Un uomo di legge – conclude l'ex pm – applica la legge così come la legge va applicata e non in base a profili o ragionamenti di opportunità. La verità andava cercata, e quando la verità è emersa non poteva essere nascosta. Per non essere nascosta bisognava proseguire e andare avanti nelle indagini e una volta che dalle indagini sono venuti fuori gli elementi di prova bisognava trasformarli in una prova dibattimentale”.

Foto © Paolo Bassani

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