La scorsa estate, 45 anni dopo l'assassinio del giornalista, la Cassazione ha assolto Riina
di Aaron Pettinari
E' un ricordo amaro quello che accompagna l'anniversario della scomparsa di Mauro De Mauro, il giornalista del quotidiano L'Ora di Palermo. Quarantacinque anni dopo la sua scomparsa, in quella sera del 16 settembre 1970, la Cassazione ha messo definitivamente la parola “fine” su un caso che resta “senza colpevoli” e che presenta non pochi buchi neri.
Totò Riina, il Capo dei Capi di Cosa nostra, è stato assolto per non aver commesso il fatto dai Supremi giudici. La medesima conclusione delle corti d'Assise e di Appello di Palermo. Eppure per avere un'idea su quanto accaduto in quella notte, il perché qualcuno lo prelevò in Via delle Magnolie senza poi fargli fare più ritorno a casa, è necessario addentrarsi nella lettura delle motivazioni della sentenza di primo grado.
In oltre 2200 pagine di documento vi è comunque una traccia di un quadro inquietante dove restano evidenti pesanti collegamenti con la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei, su cui la vittima indagava per conto di Franco Rosi nei giorni precedenti l'assassinio, ma anche il coinvolgimenti di soggetti di prim'ordine come il "Mister X" Vito Guarrasi ed il senatore della Dc Graziano Verzotto. Inoltre venne messo in evidenza il depistaggio che fu perpetrato durante le indagini, individuando anche le responsabilità possibili di alcuni soggetti ma la Procura di Palermo si è trovata costretta a chiedere l'archiviazione del caso in quanto il reato è abbondantemente prescritto. Peccato, perché ancora una volta si dimostra come la giustizia, in Italia, non sempre riesce ad avere un proprio compimento.
L'ultimo saluto
Sono circa le nove di sera del 16 settembre 1970. Mauro De Mauro rientra a casa alla guida della sua BMW e si ferma al numero 58 di Viale delle Magnolie in uno di quei tanti quartieri della nuova Palermo. Uno sguardo verso l’ingresso di casa dove vede la figlia Franca in compagnia del fidanzato. I due giovani decidono di lasciare spalancato il portoncino del palazzo e si dirigono verso l’ascensore. Una volta che il padre avrà parcheggiato la macchina saliranno sopra tutti insieme per la cena. L’ascensore arriva, ma Mauro De Mauro non si vede. Improvvisamente si sente una voce, con forte accento siciliano: “amuninne” (andiamo). Pochi attimi dopo la BMW è già lontana e in Viale delle Magnolie c’è solo il silenzio. Quando la figlia incuriosita si dirige in strada è già troppo tardi: l’auto del padre è scomparsa e non ha lasciato nessuna traccia.
Passano le ore e il giornalista non rientra in casa. L’ansia cresce e durante la notte partono le prime telefonate. La prima alla redazione del giornale, poi agli amici giornalisti, agli ospedali, al pronto soccorso. Scattano le indagini. La Polizia ritroverà parcheggiata la BMW in pieno centro. Ma di De Mauro non vi è traccia.
Quel filo unico De Mauro-Mattei
Nella sentenza i giudici spiegano il motivo per cui l’unico imputato a processo, Totò Riina, è stato assolto. All’epoca, infatti, non era ancora al comando di Cosa Nostra. Quindi si spingono anche oltre, cercando di spiegare perché, nell'estate del 1970, De Mauro agli amici più stretti aveva confidato di avere in mano uno “scoop da far tremare l'Italia”. E' un fatto noto che il giornalista stava contribuendo alla stesura di una sceneggiatura per conto del regista Francesco Rosi, per ricostruire gli ultimi giorni di vita del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, in Sicilia ed in particolare su quanto accaduto il 27 ottobre 1962. Un'indagine approfondita in cui De Mauro sarebbe anche riuscito a scoprire i nomi delle persone che erano al corrente dell’orario di partenza del volo di rientro di Mattei, all’epoca tenuto segretissimo per ragioni di sicurezza, prima che il piccolo aereo si schiantasse a Bescapé, nei pressi di Pavia.
Per portare avanti l'incarico De Mauro si muoveva sul campo, a Gela ed a Gagliano Castelferrato, dove anni prima si era recato Mattei, intervistando e contattando i vari personaggi incontrati dal presidente dell’Eni in Sicilia.
Quegli appunti per la sceneggiatura erano stati inseriti in una busta gialla, che in molti ricordano di avere notato tra le mani di De Mauro fino al giorno stesso della scomparsa.
Ed è in quella busta gialla, scomparsa, che è contenuta la verità sull’omicidio Mattei. Scrivono i giudici: “La causa scatenante della decisione di procedere senza indugio al sequestro e all’uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla natura dolosa delle cause dell’incidente aereo di Bascapè. E poi ancora: “Nella sceneggiatura approntata dovevano essere contenuti gli elementi salienti che riteneva di avere scoperto a conforto dell’ipotesi dell’attentato. Bisognava agire dunque al più presto, prima che quegli elementi venissero portati a conoscenza di Rosi e divenissero di pubblico dominio”.
Proprio la sentenza De Mauro fornisce un'importantissima chiave di lettura sulla morte del presidente dell'Eni, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre 1962. Nella lettura dei giudici si indica come mandante dell’omicidio Graziano Verzotto, ex dirigente dell’Eni, all’epoca segretario regionale della DC, morto il 12 giugno 2010, prima dell’ultima deposizione in aula, a Palermo.
Questi, secondo la Corte, ha un ruolo centrale sia nell’assassinio di Mattei che nel sequestro e nell’omicidio di De Mauro.
“Se Guarrasi è colpevole (dell’omicidio De Mauro n.d.r.), Verzotto lo è due volte di più” scrivono i giudici.
Per la Corte di Palermo, l’interesse dell’ex Dc per il lavoro di De Mauro era "duplice". In primis perché “si riprometteva di strumentalizzarlo in chiave anti-Cefis”, in quanto nell’estate del ’70 ambiva alla sua successione come presidente dell’Eni. Poi perché aiutando De Mauro si garantiva “un osservatorio privilegiato per orientare la sua inchiesta e indirizzarla con opportuni suggerimenti, secondo la propria convenienza”. Questo “fino al momento in cui si è reso conto che il cronista, pur fidandosi ancora di lui, era troppo prossimo a scoprire la verità: e a quel punto doveva essere eliminato”.
Ma c'è dell'altro e riguarda proprio la sparizione della busta gialla. Secondo i giudici il cronista de “L’Ora” l’avrebbe data allo stesso Verzotto. Il 14 settembre, nei locali dell’Ems, il giornalista e l’ex senatore avrebbero proprio concordato la consegna del “copione”, ormai concluso, in quanto proprio Verzotto si sarebbe offerto di dare una mano per la sistemazione finale, prestandosi a fare da "corriere" portandolo a Roma.
Durante il processo lo stesso Verzotto aveva detto di non aver parlato con De Mauro il 14 settembre in quanto in quella data si trovava a Peschiera del Garda, dove invece si recò due giorni dopo, il 16 settembre. Un lapsus sottolineato dalla Corte: “Verzotto si confonde, equivoca sulla data, identificandola con il giorno della scomparsa di De Mauro”, perché effettivamente “fu allora che Verzotto incontrò De Mauro per l’ultima volta”, circostanza che ha sempre negato.
Uno scoop da far tremare l’Italia
Secondo i giudici di Palermo la rivelazione di un attentato a Mattei, progettato con la complicità di apparati italiani (e forse con il supporto della Cia), avrebbe avuto “effetti devastanti per i precari equilibri politici generali, in un paese attanagliato da fermenti eversivi e tentato da svolte autoritarie”. E’ per questo motivo che vengono allertati gli alleati mafiosi di Verzotto e dei cugini Salvo: ovvero i boss Stefano Bontade e Giuseppe Di Cristina sancendo di fatto la delibera alla morte del giornalista. Erano in tanti, infatti, all’interno di Cosa Nostra, che non volevano far conoscere i retroscena del delitto Mattei, ovvero quello che il collaboratore di giustizia “Masino” Buscetta aveva definito come “il primo delitto della Commissione”.
A quel punto, "quando i sequestratori hanno ormai la certezza che il materiale raccolto su Mattei si trova in mani sicure", De Mauro viene rapito con tutta la sua auto, “per avere qualche ora di vantaggio sugli inquirenti, simulando un allontanamento spontaneo con amici", ma anche perché De Mauro forse aveva portato con sé altro materiale, o magari la copia del dossier consegnato, e “non si poteva correre il rischio di lasciare le carte del dossier Mattei nell’auto”.
Lo scabroso capitolo dei depistaggi
Se il “caso De Mauro” sembra davvero essere senza fine la causa è da ricercare nei continui insabbiamenti e depistaggi che hanno caratterizzato le indagini. Sono tanti i pezzi mancanti del puzzle di questa storia che assume sempre più i colori del “giallo”.
Nel dispositivo che ha chiuso il processo contro Riina i giudici avevano evidenziato alcune posizioni di testimoni apparsi falsi tanto che la Corte ha tramesso gli atti al Pubblico Ministero perché proceda per falsa testimonianza nei confronti dell’ex funzionario del Sisde Bruno Contrada, dei giornalisti Pietro Zullino (morto nel gennaio scorso) e Paolo Pietroni e dell’avvocato Giuseppe Lupis. Tutti avrebbero avuto un ruolo depistante nelle indagini e questo verrà approfondito in un nuovo dibattimento. Nel corso degli anni le difficoltà per ricostruire la verità si sono manifestate a più livelli. Basti pensare alle indagini iniziali, che si erano concentrate verso direzioni differenti per poi infrangersi muro del silenzio. Per non parlare poi della singolare “assenza di notizie” negli archivi dei servizi e degli apparati investigativi. A queste si aggiungono le pagine strappate dai quaderni di De Mauro, la scomparsa degli appunti e del nastro con l’ultimo discorso di Mattei a Gagliano, che secondo le testimonianze dei familiari il giornalista “ascoltava e riascoltava in continuazione”. Addirittura la sentenza pone l’attenzione sulla scomparsa del materiale all’interno di uno dei raccoglitori conservati in un armadio a casa De Mauro, il cui titolo era “Petrolio”. Un nome che riporta al romanzo a cui stava lavorando Pier Paolo Pasolini prima di morire. Strane coincidenze che aprono a nuovi scenari d’indagine. Peccato che sul depistaggio, e con essa forse la verità completa sul caso De Mauro, si sia abbattuta la scure della prescrizione.
AGGIORNATO AL 2 AGOSTO 2017
De Mauro, Mattei e i “dubbi insuperabili”
Su genesi ed individuazione degli autori degli omicidi nessuna certezza
di AMDuemila
La causale dell’omicidio De Mauro? Sarebbe “individuabile nelle informazioni riservate di cui la vittima era entrata in possesso in relazione alla sua attività professionale (verosimilmente- anche se non certamente - riconducibili, secondo le risultante del processo di merito, al coinvolgimento di esponenti mafiosi nella morte di Enrico Mattei”
E’ così che la Suprema Corte di Cassazione si è espressa nelle motivazioni della sentenza (http://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/261-cronaca/58813-cassazione-de-mauro-ucciso-dalla-mafia-ma-riina-non-e-mandante.html) che nel giugno 2015 ha portato all’assoluzione del Capo dei Capi, Totò Riina, accusato di essere il mandante dell'omicidio del cronista siciliano rigettando il ricorso del Pg di Palermo.
I giudici evidenziavano come “gli elementi di prova raccolti sia di natura storico-dichiarativa che di natura logico-indiziaria, che sono stati puntualmente e congruamente analizzati e valutati, nella loro valenza singola e complessiva, da entrambe le sentenze di merito (anche in primo grado, nel 2011, Riina era stato assolto da tale accusa, ndr), all'esito di una disamina scrupolosa che costituisce il risultato congiunto delle ampie argomentazioni spese dalle Corti territoriali di primo e di secondo grado, non hanno tuttavia permesso di accertare un ruolo diretto o indiretto dell'imputato nel delitto”, e la conseguente conclusione assolutoria (per non aver commesso il fatto) “risulta coerente a una corretta lettura delle emergenze processuali ed è perciò incensurabile in sede di legittimità”.
Inoltre, a differenza di quanto contenuto nella Sentenza di Primo grado, è stato confermato il giudizio dei giudici d’appello che, con la sentenza del 27 giugno 2014, scrivevano: “Peraltro, anche con riguardo ai rilievi concernenti la ricostruzione degli ultmi giorni di vita del De Mauro e l’urgenza di eliminare il predetto giornalista, può condividersi l’assunto del Pm appellante (…) Tuttavia, la fondatezza di tali rilievi non pare che possa comunque giovare ala tesi accusatoria, solo rafforzando ilci nvincimento che - soprattutto in considerazione del lunghissimo lasso di tempo trascorso dai fatti, del relativo atteggiamento di riserbo tenuto dal de Mauro sulla natura della scoperta fatta, degli svariati campi di indagine che il suo lavoro in quegli ultimi tempi poteva avere riguardato; dell’opera di sistematico depistaggio compiuta da soggetti interessati a dissolvere nel nulla ogni elemento utile a ricostruire la vicenda -, risulti particolarmente difficile se non impossibile distinguere con certezza i fatti come realmente accaduti”. Ciò significa che a differenza di quanto scritto dai giudici in primo grado sull’eventuale coinvolgimento di Graziano Verzotto, ex dirigente dell’Eni e all’epoca segretario regionale della Dc, morto il 12 giugno 2010, nelle vicende De Mauro e Mattei, non è affatto da ritenersi certo o “centrale”. Tant’è che il Verzotto non è mai stato imputato in un processo per tali fatti di cronaca.