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ergastolo carceredi Lorenzo Baldo
“I mafiosi che hanno messo a segno le stragi del 1993 che  non si sono pentiti, che non hanno collaborato, oggi in carcere con condanne all’ergastolo ostativo a regime di 41 bis, stanno forse per essere messi nelle condizioni di usufruire di tutti quei benefici che gli consentiranno di aggirare la pena del carcere a vita”. Le parole di Giovanna Maggiani Chelli arrivano come un fulmine in queste ore nelle quali a Roma si discute della “revisione della disciplina di preclusione ai benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo”. “Abbiamo l’impressione che la politica si stia lavando le mani, come fece Pilato, per le condanne a vita verso  mafiosi pericolosissimi come Riina, Provenzano, i f.lli Graviano, e Bagarella rimettendo tutto nelle mani della magistratura che sarà ancora una volta crocifissa con leggi vergogna da applicare”, prosegue la presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. In quel maledetto eccidio sua figlia, Francesca, è rimasta gravemente ferita mentre il suo fidanzato, Dario Capolicchio (22 anni), è bruciato vivo. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993 la famiglia Nencioni: padre, madre, due bambine di 9 anni e di 50 giorni, viene sterminata dal tritolo di Matteo Messina Denaro. Ma la verità sui mandanti esterni di quel massacro è ancora lontanaIl grido della signora Chelli si alza forte mentre in Parlamento si discute se e come aprire “il cancello delle gabbie delle belve”.

Stiamo parlando della riforma dell’ergastolo, con la modifica dell’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario: quello che esclude i detenuti per mafia non pentiti dai benefici e dalle pene alternative al carcere. Il ddl parla di rivedere “modalità e presupposti d’accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo”; e di eliminare “automatismi e preclusioni che impediscono o rendono molto difficile l’individualizzazione del trattamento rieducativo”. Un tema decisamente spinoso di cui si era già discusso lo scorso 9 luglio. In una lettera inviata al presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti aveva espresso “l’assoluta contrarietà a ogni futura modifica normativa che possa anche solo attenuare le previsioni di cautela oggi vigenti”. In quella missiva si rimarcava “indiscutibile la necessità che in stato di detenzione (il mafioso, ndr) sia messo nell’impossibilità di mantenere, all’esterno e all’interno del carcere, quei collegamenti con l’organizzazione criminale che, storicamente e attualmente, costituiscono la regola di comportamento di tali soggetti”. “La dizione contenuta nell’art. 30 lettera E del ddl Orlando è generica - spiega oggi Giulia Sarti, del M5S - e tutto viene rinviato a un decreto legislativo attuativo. Il rischio è che vogliano dare la possibilità a mafiosi e terroristi di usufruire dei benefici penitenziari anche se non collaborano con la giustizia”. La clausola introdotta dalla Ferranti dopo la lettera di Roberti che riguarda “i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale” non serve certamente a tranquillizzare chi intende dare battaglia. “Per noi è ancora più grave - aggiunge Giulia Sarti - perché scarica sui magistrati così esposti a pressioni corruttive o minacce, la responsabilità della scelta”. Con conseguenze inimmaginabili. “Senza il 4bis – denunciano le toghe – può uscire anche Riina”. “Se passerà indenne una ignominia tale – conclude la Chelli – ci troverete in via dei Georgofili a difendere la memoria dei nostri morti sacrificati in nome e per conto di rappresentati del Parlamento che non sanno mai prendersi le proprie responsabilità e che da sempre assecondano la mafia ‘cosa nostra’”. L’appello di questa donna, che instancabilmente continua a pretendere giustizia, è rivolto “a quei politici che hanno ancora del sale in zucca e un minimo di senso di democrazia di battersi per noi in Parlamento, prima che il Paese si ricopra di ridicolo”. Probabilmente come nel ’99, quando per alcuni mesi il centrosinistra e il centrodestra, insieme, avevano abrogato l'ergastolo per il reato di strage, consentendo l'accesso al rito abbreviato anche agli imputati di strage con tanto di un terzo di sconto della pena. Boss mafiosi condannati per le stragi del ’92 e ‘93 sarebbero quindi potuti arrivare a prendere soltanto trenta anni, che poi nel nostro Paese diventano venti con l'istituto della liberazione anticipata e, visto che erano tutti in galera da una decina d'anni, avrebbero scontato solo altri dieci anni magari ottenendo permessi premio perché avevano già scontato quasi la metà della pena. Una follia. Che fortunatamente è stata abortita nell’arco di poco tempo grazie anche alle vibranti proteste dei familiari delle vittime di Via dei Georgofili. All’epoca era stata ripristinata un'aggravante speciale che riportava quei trenta anni all'ergastolo neutralizzando così l'effetto di sconto che portava gli stragisti a avere trenta anni e non più l’ergastolo. Ma forse oggi – in questo clima di larghe intese – una delle richieste del papello di Riina può essere rimessa in discussione. Nel totale spregio di tutti i parenti delle vittime della violenza politico-mafiosa.

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