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borsellino-manfredi-c-ansadi Aaron Pettinari - 18 luglio 2015
Intervento a sorpresa del figlio del giudice alla manifestazione dell'Anm al Palazzo di giustizia
Una lezione di dignità ed integrità morale di fronte alle tante ipocrisie istituzionali che ad ogni commemorazione delle stragi, da Capaci a via d'Amelio, si consuma nella città di Palermo. Al Palazzo di Giustizia doveva essere il giorno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ma sono soprattutto le parole di Manfredi Borsellino a scuotere i presenti. Il suo è un intervento a sorpresa, commovente ma al tempo stesso determinato. Un grido di giustizia di fronte a quanto avvenuto non solo negli ultimi giorni, con le indiscrezioni giornalistiche sull'esistenza di un'intercettazione, “vera o falsa” che sia, tra il Presidente della Regione Rosario Crocetta ed il suo medico personale, il primario dell'ospedale palermitano Villa Sofia, Matteo Tutino. Quest'ultimo, finito in manette dal 29 giugno nell'ambito dell'inchiesta sulla Sanità ed ora ai domiciliari, avrebbe detto “La Borsellino (all’epoca Assessore alla Sanità della Regione Siciliana) va fatta fuori. Come suo padre”.
“Intervengo - ha detto rivolgendosi al Presidente Mattarella - perché non credevo che la figlia prediletta di mio padre, quella con cui lui viveva in simbiosi, avrebbe dovuto vivere un calvario simile a quello di suo padre nella stessa terra che ha poi elevato lui a eroe. Presidente, oggi sono qui per lei, perché lei è tra quelli che non solo ha il nostro vissuto, ma è stato punto di riferimento per mio padre e la mia famiglia. Ricordo la reverenza con cui lui si rivolgeva a lei. Capii subito la stima sconfinata che aveva nei suoi confronti”.
Poi ha aggiunto: “Da oltre un anno mia sorella Lucia era consapevole del clima di ostilità e delle offese subite solo per adempiere il suo dovere, in corsi e ricorsi drammatici che ricordano la storia di mio padre. Non posso entrare nel merito delle indiscrezioni giornalistiche che, indipendentemente dalle verifiche fatte dagli uffici giudiziari, hanno turbato tutti. La lettera di dimissioni con cui mia sorella Lucia ha lasciato l'assessorato ha prodotto il silenzio sordo delle istituzioni, soprattutto regionali. Ma quella lettera dice tutto e andrebbe riletta. Mia sorella Lucia è rimasta in carica come assessore fino a giugno per amore della giustizia, per suo padre, per potere spalancare agli inquirenti le porte della sanità dove si annidano mafia e malaffare. Da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità e delle offese che le venivano rivolte. Lucia ha portato una croce, e tanti lo possono testimoniare, fino al 30 giugno: voleva una sanità libera in Sicilia”. L'aula magna silenziosa ascolta, parola per parola, le parole del figlio di Paolo Borsellino che nella commozione rende onore al padre ma anche alla sua famiglia: “Io sono qui per mia sorella, oltre che per ricordare mio padre che ritengo vivo anche quest'anno. Non sarà la veridicità o l'autenticità del contenuto di una singola intercettazione telefonica ad impedire a tutti i siciliani onesti, e sono convinto che in questa terra ce ne siano di onesti, sappiano lo scenario drammatico dove mia sorella si è trovata alla guida di un ramo tanto delicato come quello della sanità, a lungo centro di interessi anche mafiosi. Non so con che forza ha retto psicologicamente e tollerato di lavorare all'interno dell'assessorato malgrado noti professionisti di quel settore e noti manager della sanità pensavano ed avrebbero detto di lei. Usiamo il condizionale solo perché è giusto in questo momento storico ma so che lei, Lucia, è e sarà sempre la più degna dei figli di suo padre”. Ed infine ha concluso rivolgendosi direttamente al Capo dello Stato: “Dovrei chiederle di essere destinato altrove, lontano da una terra davvero disgraziata, ma non glielo chiedo perché ho il dovere di rimanere qui: lo devo a mio padre e soprattutto a mia sorella Lucia”.

FOTOGALLERY © ACFB


La memoria di Borsellino

C'è davvero poco da aggiungere di fronte alle parole del figlio di Borsellino. Il ricordo del giudice, quello più vivo e vero, anche se inserito sempre nell'ambito istituzionale, è sicuramente stato quello del procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato. Lui l'unico a ricordare la mancata verità sui mandanti esterni delle stragi. “Per saldare il debito con Paolo Borsellino - ha detto - dobbiamo dare un volto a coloro che collaborarono segretamente alla strage di via d'Amelio e che restano ancora non identificati nonostante l'impegno profuso. Forse la risoluzione di questi interrogativi potrebbe dare risposte a dubbi inquietanti che ancora sono zone d'ombra del passato del Paese”. “Ogni anno - ha proseguito - riemergono i ricordi di Paolo Borsellino. Il primo è qui nell'atrio del palazzo di giustizia. Il giorno dopo la strage di Capaci, Borsellino è entrato con la bara di Falcone. A un certo punto Paolo si rivolse a noi e indicando i feretri ci disse: 'Quella è la sorte che ci attende, a voi la scelta se andare o restare'. L'ultimo ricordo è di quel 19 luglio. Il volto nero, il braccio tranciato di Paolo. Mi ritornarono in mente le parole del 24 maggio. Il giorno dopo revocai la domanda di trasferimento da Palermo. Fummo tutti compatti. Nessuno ebbe il minimo tentennamento. Il popolo di Palermo allora si strinse attorno a questo palazzo di giustizia, come mai prima”. Un intervento che stride rispetto a quello successivo del capo della polizia, Alessandro Pansa, che ha parlato di “bilancio positivo” nella lotta alla mafia, dal 1992 ad oggi. Eppure sono tanti gli aspetti che andrebbero approfonditi e che fanno intendere come la battaglia sia tutt'altro che vinta.
Un esempio su tutti. Oggi a Palermo si indaga sulla trattativa Stato-mafia, come era avvenuto 23 anni fa si ha notizie della presenza del tritolo per uccidere un magistrato ma di quel magistrato condannato a morte da Riina (il pm Nino Di Matteo, ndr) nessuno parla. Eppure non potrebbe esservi una schermatura migliore, anche più del bomb jammer, che un intervento diretto, una manifestazione di solidarietà del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio per dare un segnale a chi vuole eliminare il pm che lo Stato non ci sta e non permetterà in alcun modo altre stragi.

“Io credo a Lo Voi”
Ancora una volta si è persa un'occasione senza nulla togliere alla gravità di quanto sta avvenendo in questi giorni dove l'attenzione mediatica è tutta rivolta al botta e risposta tra la Procura ed il settimanale L'Espresso. Prima dell'inizio della manifestazione sulla questione è intervenuto il ministro dell'Interno Angelino Alfano che ha detto: “Io credo a Lo Voi. Se l'intercettazione non è vera come dice, chi ha fabbricato la bufala si deve dimettere. Se ci sono altri magistrati che sono in possesso dell'intercettazione tra Crocetta e Tutino, la cui esistenza è stata smentita dalla Procura di Palermo, che lo dicano. L'incertezza crea un clima insopportabile. Se quelle Procure non le tirano fuori in modo trasparente allora si tratta di uffici che non fanno il gioco dello Stato”.

Mattarella in via d'Amelio
Dopo aver partecipato alle commemorazioni al Palazzo di Giustizia il Presidente Sergio Mattarella si è recato in via d'Amelio, luogo della strage in cui morirono Paolo Borsellino ed i ragazzi della scorta. Mattarella è stato accolto dalla sorella del magistrato, Rita Borsellino, con queste parole: “Quando si vivono certe esperienze si diventa tutti parenti. Caro presidente è come se fossimo legati da un filo profondo che nessuno potrà spezzare e la tua presenza qui è segno che lo Stato c'è e ha un volto amabile. Ci dice dice non abbiate paura, siamo tutti insieme, ce la faremo”. “Nonostante tanta folla qui - ha poi aggiunto - quello in via D'Amelio resta sempre un momento intimo. Sono felice dell'arrivo del presidente Mattarella così come sono felice che Manfredi abbia pronunciato quelle parole. Manfredi ha avuto coraggio e ha dato tanta forza a Lucia e anche a noi”.
“Questa terra è davvero bellissima e disgraziata come diceva Paolo e come ha ricordato oggi anche Manfredi - ha aggiunto Rita Borsellino, raggiunta poco dopo dal fratello Salvatore - ma Paolo diceva anche 'Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla'. Oggi Manfredi ha interpretato al meglio queste parole dette da Paolo”. Quindi ha concluso: “Non si può aspettare ancora per la verità dopo 23 anni continuiamo a chiedere verità e giustizia. Speriamo che certe risposte arrivino presto”. Il Presidente della Repubblica, prima di andare via, infine ha ricevuto dagli Scout dell'Agesci “la carta del coraggio”.

In foto: Manfredi Borsellino durante il suo intervento all'ANM (© Ansa)

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