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096- DSC3751Foto e Video all'interno!
di Aaron Pettinari - 11 luglio 2015

In piazza a Napoli oltre 2000 spettatori per la proiezione del film "La Trattativa" di Sabina Guzzanti
“La trattativa? Certo che continua. Quando ci sarà una cesura, un taglio netto tra mafie e quei poteri che hanno sgovernato l'Italia, convivendo pari a pari potremo iniziare la nostra Seconda Repubblica perché quella nata dopo le stragi, ormai è chiaro, è la continuazione della prima”. Bastano queste parole di Marco Travaglio, ospite ieri sera a Napoli all'incontro dibattito che si è svolto nella piazza del Municipio dopo la proiezione del film di Sabina Guzzanti, a fornire una prima chiave di lettura del nostro tempo presente. Il pubblico napoletano non ha fatto mancare il proprio calore e la propria attenzione alla regista-attrice che ha avuto il coraggio di portare nelle sale cinematografiche #LaTrattativa. Peccato però che al cinema il film è durato poco e quindi da mesi, la stessa Guzzanti gira l'Italia partecipando alle proiezioni organizzate grazie alla forza di volontà di associazioni e cittadini. “Siamo giunti alla 670° proiezione - ha detto la Guzzanti - Prima abbiamo incontrato difficoltà a produrre il film, poi per proiettarlo, nonostante a Venezia sia stato il film più applaudito. Ora c'è questa distribuzione diversa che sta portando tanti a conoscere fatti importanti della nostra storia. Questo intreccio dove un'ampia parte della classe dirigente e dell'imprenditoria, forse anche qualche funzionario dello Stato si è data da fare stringendo questi legami con massoneria, forze di destra e criminalità organizzata per deviare il corso della politica di questo paese. Non possiamo più rifugiarci dietro le frasi importanti, da quelle di Orazio a Steve Jobs. Siamo tanti e dobbiamo prenderci la responsabilità, senza fare mosse avventate, con la consapevolezza di poter vincere la paura e fare qualcosa. Tutte le volte che rinunciamo a questo noi ci spegniamo e perdiamo energia”. Tra il pubblico era presente anche Nino Di Matteo, che nel pomeriggio aveva presentato il libro “Collusi”. Al suo arrivo la folla gli ha dedicato un caloroso applauso mentre dal municipio è ben esposto lo striscione di sostegno nei confronti del magistrato condannato a morte da Totò Riina.
A ricordarlo è il moderatore della serata, il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, “Rispetto al film sono successe tante cose dopo. Anche oggi abbiamo visto la condanna lanciata dal carcere da Riina in diretta, e poi l'ordine di morte di Matteo Messina Denaro, il piano svelato dal pentito Vito Galatolo, l'arrivo del tritolo. Poi, nell'ambito del processo, abbiamo ascoltato le rivelazioni dell'ambasciatore Fulci, di quei quindici nomi appartenenti ai servizi, esperti di esplosivi su cui non si è mai verificato nulla”.

FOTOGALLERY © ANTIMAFIADuemila
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Gli occhi di Borsellino

Chi con ogni probabilità aveva scoperto che lo Stato stava trattando era il giudice Paolo Borsellino. Il fratello Salvatore, intervenuto via Skype, ha ricordato proprio come il suo sguardo fosse cambiato dopo la morte di Giovanni Falcone a Capaci. “Ogni volta che vedo il film della Guzzanti ci sono delle scene di Paolo in cui rivedo sempre qualcosa di nuovo che mi emoziona. Perché il suo sguardo è cambiato ad un certo punto, quando si è reso conto che lo Stato stava trattando con gli assassini di quello che era un suo vero fratello (Falcone, ndr) ed è come se Paolo a quel punto avesse deciso di morire, perché nel suo ragionamento lo Stato non rappresentava più quello che lui pensava, che secondo lui dovesse essere. Era tutt'altro. Per questo quegli occhi sono cambiati e lui quasi vedeva ed aspettava la morte”. Borsellino, cittadino onorario di Napoli, ha poi spiegato il suo nuovo progetto per la realizzazione della “Casa di Paolo”, un luogo dove dare un sostegno ed un futuro ai ragazzi della Kalsa.
Del valore socio culturale del film ha parlato con forza lo scrittore di gialli Maurizio De Giovanni. “La forma del racconto di questo film è fondamentale perché spiega tutto benissimo rendendolo alla portata di tutti - ha detto - un po' come accadde con Gomorra, il libro di Saviano. Questo diventa importante ai fini dell'informazione e della cultura per la formazione delle coscienze. La risposta di questa sera, così come quella del pomeriggio per il libro di Nino Di Matteo, credo sia importantissimo. Ma serve ancora uno scatto in più. Qui vanno a votare meno del 35% degli aventi diritto e questo è una ferita. Dobbiamo avere il senso civile di scegliere chi ci governa e solo così potremo indignarci”.

Parallelismo Why not
Rispondendo ad una domanda del direttore Bongiovanni sulla presenza di forze “invisibili” e potenti che rafforzano il sistema criminale il sindaco De Magistris ha ripercorso parte della storia di quegli anni. “Il giorno prima in cui morì Falcone io lo vidi. Ero a Roma per depositare gli scritti del concorso per magistratura e lo consegnai a Francesca Morvillo. Quella sera vidi il giudice arrivare, accompagnato da un solo agente di scorta. La mafia poteva colpirlo là, invece ha scelto la maniera più eclatante. Perché? Secondo me perché quella era una strage con effetti politici. Quelli erano anche i tempi di tangentopoli, e dopo il gran botto non venne più eletto Andreotti come Presidente della Repubblica. La mafia inizia a cambiare interlocutori politici. Borsellino invece viene ucciso a luglio in una strage che per me è una strage di Stato a tutti gli effetti. Poi si prosegue con le bombe del 1993 e il cambio dello scenario politico del 1994”. Il sindaco di Napoli vede anche un parallelismo tra la trattativa e quello che è capitato nelle sue indagini. “Ci sono nomi che si ripetono - ha detto - Vedo Mancino, che nel 1992 era ministro dell'Interno e dice di non conoscere Borsellino, che poi me lo trovo vice presidente al Csm che lesse la sentenza con cui venni condannato disciplinarmente. Uscire dalla magistratura è un prezzo che non avrei voluto pagare. Un altro nome che ritrovo è proprio Napolitano. Lui era il Presidente di Mancino, lui ha avallato quell'azione di Mancino ed è lo stesso Presidente della Repubblica che ha commesso il grave fatto della distruzione delle intercettazioni telefoniche dopo il conflitto d'attribuzione sollevato contro la Procura di Palermo. Se non avesse avuto nulla da temere avrebbe fatto bene a far sentire quelle telefonate dove magari è proprio vero che si dimostra l'innocenza dell'ex Capo dello Stato. Ma così non lo sapremo mai. Poi ci sono i nomi di Ilardo, che tra i nominativi che citava parlando dei rapporti tra massoneria deviata e Cosa nostra, inseriva Dolcino Favi, il Pg di Catanzaro che mi ha avocato l'inchiesta Why not e ora sotto processo a Salerno. Penso a Tinebra, il cui nome comparve negli elenchi di alcuni esponenti della massoneria quando facemmo una perquisizione a Catanzaro”.


La trattativa continua
A legare il passato con il presente è stato infine l'ospite più atteso, il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio. “La trattativa - ha detto - è anche uno stato di necessità per le nostre classi dirigenti. Possiamo vederlo anche oggi come si muove il sistema di potere. Lo abbiamo visto con Renzi che si adoperava per dare la spallata a Letta, lui che si spacciava per il nuovo rottamatore, parlando con ufficiali della guardia di finanza, di come il Presidente della Repubblica fosse ricattato o ricattabile. Insomma lo stesso modo vecchio e puzzolente di fare politica del passato”. Il direttore del Fatto ha evidenziato come “dopo la Grecia, ora tocca a noi in Europa, dato che siamo rovinati dal debito pubblico, dalla corruzione, dall'evasione fiscale e dalle mafie. Se prima eravamo i penultimi ora siamo gli ultimi”.
Travaglio ha ricordato come “tangentopoli ed il maxi processo” potevano essere ispirazione di un grande cambiamento ma è intervenuto il potere stesso per far sì che nulla cambiasse. “Adesso c'è un giovane premier che rapidamente si è messo d'accordo con tutti i poteri che hanno sgovernato l'Italia ed ecco che invece della rottamazione passa la concezione della democrazia contraria alla nostra Costituzione. Da una forma partecipata ed orizzontale si passa all'idea del super preside, del super premier che comanda, che fa il Porcellum, con un Senato non più eletto. Questa democrazia verticale, però, non è democrazia. Ed è quello che l'Europa stessa chiede”. Travaglio ha anche puntato l'indice contro la legge sul voto di scambio che ha in sé il “virus incorporato” che ha permesso già a personaggi che erano stati condannati in primo grado di essere assolti.
“Per battere la mafia - ha sottolineato il giornalista - si devono toccare i gangli vitali dell'economia e della politica. Questo per noi cittadini ha un costo di cui non teniamo conto. Il nostro Pil sarebbe locomotiva dell'Europa se fosse liberata dai fenomeni di Corruzione, evasione fiscale e mafie”.
Secondo il direttore del Fatto Quotidiano “l'austerità non è una soluzione e per cambiare le cose forse si dovranno cambiare le facce mandando qualcuno che vuole cambiare la politica al governo.
E' il momento di decidere noi come pagheremo il conto con l'Europa, decidiamo noi i costi, non Napolitano che poi sceglie Monti ed altri tecnocrati. Per cercare di uscire da certe situazioni serve una forte partecipazione orizzontale, come è stato in Grecia con il referendum. No come accade da noi dove non ci chiedono se eravamo d'accordo in riforme fondamentali come quelle della Costituzione, della scuola, o della legge elettorale. Questa sarebbe la giusta forma di democrazia”.

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