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pool-trattativa-c-castolo-gianninidi Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 19 marzo 2015
Un anno. O poco più. E’ questo il tempo che è trascorso dall’istanza di rimessione inviata alla Cassazione - poi sonoramente rigettata - dall’ex generale dei carabinieri Mario Mori per far spostare da Palermo il procedimento penale sulla Trattativa Stato-mafia. Dopo 12 mesi i difensori degli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Mauro Obinu e Giuseppe De Donno tornano alla carica con un esposto (annunciato durante l’udienza odierna del processo sulla Trattativa) inviato al ministro della Giustizia, al vicepresidente del Csm, alla Procura generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare contro i magistrati e alla Procura della Corte dei Conti, competente in caso di danno erariale. Le motivazioni di quelle che, a dire dei legali degli imputati, sarebbero delle “violazioni” hanno un che di surreale: lunghezza infinita delle indagini, al limite di quanto consentito dalla legge, deleghe di inchieste delicate affidate ad inquirenti che non sarebbero titolati, magistrati che indagano su questioni di mafia pur non facendo parte della Dda, fughe di notizie, intercettazioni illegittime di conversazioni con i difensori, dispendiose rogatorie internazionali e spese eccessive.

Nell’esposto non ci sono nomi e cognomi di chi avrebbe commesso quelle infrazioni. Ma il riferimento sarebbe del tutto evidente: il pool che indaga sulla Trattativa e che in passato ha istruito il processo sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano, attualmente in fase di appello (durante il quale lo scorso novembre è stato reso noto un altro esposto degli stessi Mori e Obinu). Di fatto gli “innominati” sono: il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Anche l’ex Procuratore Capo, Francesco Messineo, viene ugualmente chiamato in causa dai legali dei tre imputati in quanto a suo tempo aveva permesso ai pm Di Matteo e Del Bene di proseguire a investigare su indagini di mafia pur essendo fuoriusciti dalla Dda. In sostanza gli avvocati Enzo Musco, Basilio Milio, Giuseppe Saccone e Francesco Romito, chiedono al Ministro di inviare gli ispettori al Palazzo di Giustizia di Palermo “per verificare la sussistenza di violazioni di legge e anomalie oggettive e soggettive nell'espletamento delle indagini (che conducono, oltretutto, a duplicazioni di processi assolutamente identici, con dispendio di enormi risorse per lo Stato), per fatti che sarebbero prescritti e nel loro affidamento a soggetti che non sarebbero legittimati a esperirle”. Tra le “censure” mosse ai magistrati i quattro legali ipotizzano l'uso “abnorme” dell'attività integrativa di indagine, che consente alla Procura di procedere negli accertamenti utili anche a termini di indagini scaduti. “E' evidente la violazione del diritto di difesa - specificano - atteso che si è costantemente costretti a inseguire le virate della pubblica accusa, laddove il processo, seppure nella dinamicità della sua natura accusatoria, dovrebbe servire a vagliare la fondatezza di un'ipotesi accusatoria formulata a monte, non continuamente mutevole”. Nel mirino degli avvocati finisce ugualmente un riferimento ad un ipotetico ascolto delle conversazioni tra gli imputati e i legali, così come la diffusione delle notizie sulla rogatoria in Sudafrica che ha avuto anche “oneri finanziari non indifferenti per lo Stato”. E’ del tutto evidente che la strategia difensiva tende a spostare l’attenzione dal processo per farla confluire sul fronte della delegittimazione del pool che indaga sulla Trattativa e sul relativo procedimento penale. Quale timore si nasconde dietro a questo nuovo attacco? Le inchieste del pool stanno scavando nei luoghi giusti? Appare poi come una singolare coincidenza che questo esposto viene presentato proprio mentre il Csm si deve riunire per decidere se accettare o meno la nomina di Di Matteo alla Procura Nazionale Antimafia. Le accuse mosse ai magistrati della Procura di Palermo si commentano da sole anche se non è di poco conto il fatto che di questo esposto si è dato notizia proprio mentre gli avvocati si dovevano esprimere sull'assunzione di nuove prove al dibattimento. Dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia di Barcellona Pozzo di Gotto Carmelo D'Amico, al pentito dell'Acquasanta Vito Galatolo, alle testimonianze dei funzionari del Dap Giuseppe Falcone (ex presidente del tribunale dei minorenni, tra i candidati a sostituire Amato alla direzione del Dap nel 1993 e poi superato nella “corsa” da Adalberto Capriotti), Giuseppe Miliano e Massimo Parisi. Testimonianze che possono aggiungere ulteriori tasselli su quanto avvenuto oltre vent'anni fa. Il tentativo dei quattro legali di prendere tempo attraverso una simile iniziativa è fin troppo chiaro: appellandosi all’invio di ispettori si cerca di alimentare il clima di avversione nei confronti di un processo che deve essere fermato. E in un Paese anestetizzato come l’Italia il rischio che tutto questo passi sotto silenzio è molto alto.

Foto © Castolo Giannini

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