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capaci-web4di Miriam Cuccu - 18 marzo 2015
Parlano i poliziotti al processo sulla strage di Falcone
All’indomani della strage di Capaci si brancolava nel buio, ricorda Roberto Di Legami, all’epoca vicedirigente della polizia stradale di San Lorenzo (Palermo) davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta. Di Legami, nei giorni immediatamente successivi alla strage, analizzava le innumerevoli segnalazioni che arrivavano, vagliando quelle più credibili e scartando le altre “per non ingolfare la macchina ma allo stesso tempo senza lasciare nulla di intentato”, almeno nella fase iniziale di cui si occupò il teste. Poi riferiva tutto ad Arnaldo La Barbera, capo della mobile di Palermo.
Di tutte le segnalazioni, racconta, le più convincenti furono due, ma una di queste è coperta dal segreto: “Si tratta di una fonte confidenziale – specifica il poliziotto – detti la mia parola d’onore e non mi fu consentito di scioglierla, ebbi situazioni spiacevoli ma all’epoca tra il silenzio e il poter avere un’indicazione preferii la seconda opzione”. L’altro colloquio di Di Legami fu con Francesco Naselli Flores, cognato del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Mi disse che il giorno prima della strage notò che dopo lo svincolo di Capaci sostava un furgone Ducato bianco, e vicino due persone in abiti civili intenti a sbrogliare una massa di fili”. Fu Flores, dopo l’attentato a Falcone, a confermare al teste l’ipotesi dell’esplosione della bomba tramite un telecomando, “ponendosi non solo a distanza notevole dall’auto ma in posizione sopraelevata” e che la frequenza potesse essere ostacolata dagli alberi, “non solo alterando il tipo di segnale ma ritardando anche l’attivazione dell’ordigno”. “Ha mai ricevuto segnalazioni su tagli degli alberi in prossimità del cunicolo? – si chiede nel controesame – Da fonti che possano essere indicate?”. “Allora la risposta è no”, replica il teste.

De Michele? Il suo racconto non ci convinse
A non convincere Di Legami, invece, era il poliziotto Giuseppe De Michele, ugualmente sentito al processo, quando ha raccontato di aver visto, il giorno prima della strage del 23 maggio ‘92, un furgone bianco allo svincolo per Capaci. Già in precedenza De Michele aveva dato differenti versioni sulla ricostruzione dei fatti, addossando la colpa, durante la scorsa udienza, alle minacce ricevute da Gioacchino Genchi. De Michele, dice il teste, che all’epoca lo sentì insieme all’ispettore Ricerca e al sovrintendente Bonferraro, parlava nella sua relazione di un “dispiegamento di forze a livello militare, un gruppo in tuta bianca e un furgone bianco che avevano deviato la sua marcia per un restringimento della carreggiata, segnato da una cartellonistica”. Secondo il teste, De Michele sembrava “un soggetto influenzabile che sembrava riferire cose non vissute, entrava in contraddizione, a una prima escussione non ci convinse per niente. Poi io non seguii più la vicenda”. Del verbale, però, non c’è alcuna traccia, nonostante Di Legami sia sicuro di aver documentato il colloquio. “De Michele – specifica il poliziotto – parlò di alcuni uomini vestiti in tuta bianca immacolata come se non fossero davvero operai ma una presenza formale che poteva aprire a scenari inquietanti, tuttavia non trovammo la genuinità di chi racconta una storia per averla vissuta”.
Il pm mette davanti al teste le due relazioni (contenenti due versioni discordanti) di De Michele, una datata 26 maggio ’92, l’altra 1° giugno. “Ho visto la prima, ma il contenuto delle dichiarazioni assomiglia alla seconda”. La relazione di giugno, prosegue Di Legami “non ricordo di averla vista ma è possibile che me ne abbiano fatto un breafing verbale per poi passare subito all’escussione”.

Palazzolo: “Scrissi la relazione con De Michele”
Ferruccio Palazzolo, sovrintendente, ricorda invece De Michele, suo sottoposto a Cefalù, come “un ragazzo molto collaborativo, educato e rispettoso. Ebbe anche dei problemi fisici, credo un blocco degli arti inferiori. Quando mi raccontò questa storia, di cui parlava anche il giornale La Sicilia, decidemmo di fare immediatamente una relazione di servizio per trasmettere tutto al dirigente di Palermo, il dottor Oddo, cosa che ho fatto personalmente insieme a De Michele, che sottoscrisse la relazione. Poi non ho saputo più nulla. De Michele fu richiamato dalla squadra mobile ma non so cosa sia successo. Non ne parlammo più e dopo circa un anno fu trasferito al reparto mobile di Palermo”.

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