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mannino-calogero-big2di Aaron Pettinari - 3 marzo 2015
Repici: “Per salvare i politici sacrificate le vite di Borsellino e dei poliziotti”

Oltre i due milioni di euro di risarcimenti. A tanto ammontano le richieste delle parti civili che si sono costituite al processo contro Calogero Mannino imputato nello stralcio del procedimento sulla trattativa Stato-mafia che si svolge davanti al gup Marina Petruzzella. Secondo l’accusa (rappresentata in aula dai pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia) Mannino, giunto in aula solo all'ultimo momento, avrebbe esercitato vere e proprie “pressioni” politiche ai fini dell’alleggerimento del regime carcerario del 41 bis per numerosi mafiosi a fronte dei timori per la propria incolumità sorti prima e dopo l’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima. Primo a parlare è stato l’avvocato del Comune di Firenze e dell’Associazione Familiari Vittime dei Georgoili, Danilo Ammannato.

Questi, oltre a richiedere un milione di euro per ciascuno delle parti civili da lui rappresentate, nelle sue conclusioni ha messo in evidenza i diversi dati documentali per cui sarebbe provata l’accusa di attentato a corpo politico dello Stato. “A causa dei 270 kg di tritolo della strage di Firenze – ha ricordato Ammannato – la città ha subito la distruzione di parte degli Uffizi, e di 12 ettari di città, oltre alla distruzione di opere d'arte. Ma il dolore e la perdita più grande si è avuta con il tributo di vite umane, tra cui due bambine, ed il ferimento di 48 persone che tutt'oggi portano con sé le conseguenze di quella strage. E' descritta anche in sentenze passate in giudicato la catena minatoria che parte dal 1992 fino ad arrivare poi alle stragi del 1993. La minaccia al corpo politico dello Stato è assolutamente percepita dal Governo in quegli anni. Ce lo confermano le dichiarazioni del ministro Scotti all'Antimafia. E lo stesso viene confermato dalle dodici circolari emesse dallo stesso Scotti in cui si allertano le prefetture che si vogliono uccidere il Presidente del Consiglio Andreotti ed i ministri Vizzini e Mannino”. “Non possiamo poi dimenticare – aggiunge il legale dell'Associazione Familiari Vittime di via dei Georgofili – i quindici scrutini per l'elezione del Presidente della Repubblica in quel 1992 che poi ha portato, per dirlo con le parole di Forlani, 'all'obbligo di una soluzione istituzionale' bocciando Andreotti. E poi non possiamo dimenticare la nota del giugno 1992 in cui si parla dell'intenzione di eliminare Mannino, Andò e Borsellino, o la black list numero 2, rappresentata dalla lettera dei familiari detenuti al 41 bis, indirizzata a diverse personalità istituzionali. Ed anche dopo le stragi i vertici dello Stato avevano la sensazione di un incalzante out-out che aveva per sbocco la destabilizzazione del Paese”. Parlando dell'atteggiamento dell'ex ministro della Dc in reazione alle notizie di morte che lo riguardavano Ammannato ha ricordato come lo stesso non abbia effettuato denunce ufficiali alla magistratura o alle forze dell'ordine, ma solo colloqui riservati (di cui si ha prova documentale) in particolare con Subranni e Contrada. Ed è proprio a quel punto che, forse per una coincidenza, prende il via il contatto con Vito Ciancimino da parte dei sottoposti di Subranni. Un dialogo che, sempre per coincidenza forse, porta poi a quello stop ricevuto da Brusca per eliminare lo stesso Mannino”. “Iniziando quel dialogo – ha concluso - si è riconosciuta Cosa nostra come interlocutrice la quale si è sentita legittimata. e così si sono poi avute le stragi del 1993 che forse, senza quel dialogo non ci sarebbero state”.

“Mannino, sottotraccia, avvisa quei soggetti di cui si poteva fidare”
Dopo Ammannato è stata la volta di Fabio Repici, legale dell'associazione Agende Rosse e dell'associazione Familiari Vittime di Mafia (presente in aula Sonia Alfano, ndr). Repici ha evidenziato come le condotte di Mannino, sebbene offeso dalle minacce di morte di Cosa nostra, non possano essere coperte dalla previsione dello stato di necessità. “In quanto ministro Mannino aveva il dovere giuridico di esporsi al pericolo, per cui lo stato di necessità non si applica. Non solo. Si deve tenere conto che, nonostante quelle minacce da lui ricevute e recepite lo stesso onorevole Mannino si candida alle elezioni dopo la morte di Lima e viene eletto parlamentare. Altro aspetto da considerare è proprio quell'omessa denuncia commessa dal politico della Dc. A chi dice che lui non poteva denunciare in quanto per farlo 'avrebbe dovuto ammettere una certa vicinanza a Cosa nostra' si può rispondere che questi non è che un ragionamento astratto. Per rappresentare ai carabinieri o alla magistratura l'arrivo di una corona di fiori o il pervenire di una telefonata intimidatoria non occorre certo dire di essere collusi con Cosa nostra”. E in merito al ruolo concorsuale a minaccia al corpo politico per l'avvocato delle Agende Rosse “è Mannino che si adopera sotto traccia attivando soggetti rispetto ai quali aveva una consolidata vicinanza personale, tutti pubblici ufficiali (Guazzelli-Subranni-Contrada) che a loro volta hanno commesso omesse denunce. Tutte persone che operereranno informalmente, fuori dalla legge. Ed omessa denuncia commette anche Mancino che raccoglie la confidenza di Mannino ('dopo Lima mi uccideranno'). Come dimostrato dalle risultanze del fascicolo vi erano due fazioni a quel tempo”. Durante le sue conclusioni Repici ha ricordato come Riccardo Guazzelli fosse stato “consigliere provinciale ad Agrigento, eletto proprio nella lista di Mannino ed intermediario tra il politico e il generale Subranni, comandante del Ros, che ha una residenza a Campobello di Licata, sempre nell'agrigentino”.

Delitto Guazzelli
In merito al delitto di Guazzelli, nell'aprile 1992, Repici ha ricostruito le fasi d'indagine, condotte dal Ros, per cui a compiere l'omicidio sarebbero stati degli stiddari. “Guazzelli stava per entrare al Sisde grazie a Contrada, non era l'ultimo arrivato, ma forse era l'anello più debole. Il Ros si concentrò sulla Stidda quando tempo dopo, grazie alle rivelazioni dei pentiti, si acclara che questi venne ucciso su deliberazione di Cosa nostra. Un po' come accadde ai tempi della guerra di mafia, quando venne ucciso il colonnello Russo, quando i carabinieri puntarono su tre pastori. E di come venne percepito l'omicidio Guazzelli all'interno del Ros ci parla il colonnello Riccio che, nella sua agenda spiega che al tempo lo stesso veniva attribuito proprio a quel legame di Guazzelli tra Mannino e Subranni. Ad essere minacciato quindi non era solo il politico della Dc ma anche lo stesso Ros. Cosa nostra bussava forte per farsi sentire ed a quel punto inizia il 'baratto' tanto per usare le parole dette in diretta tv dallo stesso Mori. Un baratto che ha portato a risultati”. Secondo la ricostruzione di Repici Cosa nostra riesce a turbare la volontà di Governo e questo viene anche dimostrato dall'allontanamento di Scotti dal ministero degli Interni (dove si insediò Mancino), e quasi un anno dopo dalla sostituzione di Martelli con Conso. Non solo. “Quell'interlocuzione del Ros con Cosa nostra è stata avviata per salvare la vita di alcuni politici e per sacrificare Paolo Borsellino ed i poliziotti che morirono con lui” ha detto Repici sottolineando il dato dell'accelerazione che ha portato alla strage di via d'Amelio, presente agli atti del fascicolo. Repici ha parlato poi dei contrasti tra Borsellino e Giammanco, l'annichilimento sull'anonimo del Corvo 2, che riguardavano Mannino e l'interlocuzione di questi con Cosa nostra. “Un anonimo di cui si parla in riunioni tra Mori e Contrada e Subranni”. Secondo la ricostruzione di Repici il rapporto “Mannino-Ros sarebbe parte di un unico grumo di potere deviato, quello stesso potere che veicolò l'attenzione su quella sorta di 'truffa pubblicistica' che era rappresentata dall'indagine 'mafia-appalti' dove nel primo rapporto non si parla neanche sinteticamente delle intercettazioni riguardanti certi soggetti politici di cui anche lo stesso Mannino”. Per quanto riguarda le vicende delle mancate proroghe del 41 bis, oltre ala sostituzione in blocco del duo Amato-Fazioli con quello Capriotti-Di Maggio, Repici ha sottolineato l'interlocuzione tra Rosario Pio Cattafi, boss di Barcellona Pozzo di Gotto, ritenuto anche come uomo cerniera tra Cosa nostra e ambienti legati alla massoneria e ai servizi segreti, e Filippo Bucalo, che sotto l'era Capriotti-Di Maggio diventa responsabile dell'ufficio detenuti, poco prima delle mancate proroghe dei 41 bis che scadevano a novembre.
Vicende che, secondo l'avvocato di parte civile, “meriterebbero un ulteriore approfondimento investigativo”. Nel concludere il proprio intervento ha chiesto, per ciscuna delle associazioni rappresentate, un risarcimento pari a 20 mila euro. Stessa cifra richiesta dal legale del sindacato di polizia Coisp, Giorgio Carta, il quale, associandosi alla richista di condanna da parte dei pm, ha specificato che l'eventuale risarcimento verrebbe devoluto all'associazione Fervicredo che cura gli interessi delle forze ordine ferite in servizio e per le famiglie degli agenti deceduti. Infine è intervenuto anche l’avvocato Francesco Cutraro per il centro studi Pio La Torre, il quale ha chiesto un provvisionale di 100 mila euro. Il processo è stato poi rinviato al 26 marzo per le richieste delle restanti parti civili e le dichiarazioni spontanee di Mannino.

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