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ciancio-mario-di Lorenzo Baldo - 17 febbraio 2015
Depositato l'avviso di conclusione indagini a carico del potente editore siciliano, nonché direttore de La Sicilia
Le indagini a carico di Mario Ciancio Sanfilippo sono concluse. La Procura di Catania ipotizza l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Inizialmente i magistrati catanesi avevano richiesto l'archiviazione per il potente editore, nonché direttore de La Sicilia (istanza respinta dal gup Luigi Barone). Durante il processo Lombardo, però, secondo il Gup Marina Rizza, sarebbero emersi particolari rilevanti ed è per questo motivo che la stessa Rizza, in udienza camerale, aveva sollecitato nuove indagini. Per il Gup si trattava di una sorta di “sistema” utilizzato dallo stesso Ciancio che avrebbe seguito una metodologia ben precisa: “Acquistavano terreni agricoli nella prospettiva di ottenerne la variazione di destinazione urbanistica, e poi realizzare elevati guadagni con la plusvalenza della proprietà”. “Il modus operandi e la presenza di elementi vicini alla mafia – aveva scritto il Gup – fanno ritenere con un elevato coefficiente di probabilità che lo stesso Ciancio fosse soggetto assai vicino al detto sodalizio”. Secondo il giudice l'editore, “attraverso i contatti con Cosa nostra di Palermo avrebbe quindi apportato un contributo concreto, effettivo e duraturo alla 'famiglia' catanese”. Dopo la diffusione della notizia sul sito di Livesicilia è arrivata quindi la nota ufficiale della Procura etnea. “La contestazione – scrivono i magistrati catanesi – si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende che iniziano negli anni ‘70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti” e che “riguardano partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi riconducibili all'organizzazione Cosa Nostra”. “Negli atti sono confluiti anche i documenti provenienti dagli accertamenti condotti in collegamento con le Autorità svizzere – proseguono gli inquirenti – che hanno consentito, attraverso un complesso di atti di indagine, di acquisire la certezza dell'esistenza di diversi conti bancari. In quelli per i quali sono state sin qui ottenute le necessarie informazioni sono risultate depositate ingenti somme di denaro (52.695.031 euro), che non erano state dichiarate in occasione di precedenti scudi fiscali; la successiva indicazione da parte dell'indagato della provenienza delle somme, non documentata, ha trovato smentita negli accertamenti condotti”. Di fatto la Procura ha spiegato che una valutazione “sull'idoneità del materiale probatorio a sostenere l'accusa nel giudizio sarà operata solo al termine del periodo assegnato alla difesa”, e cioè 30 giorni, e “dopo un attento esame delle deduzioni difensive eventualmente prospettate”.

Antefatto
Nel servizio televisivo “I Vicerè”, firmato da Sigfrido Ranucci e trasmesso nel 2009 durante la trasmissione di Milena Gabanelli “Report”, era stato svelato l’affare “Icom”. Mario Ciancio risultava socio del fratello del senatore Vizzini e del figlio di Giovanni Mercadante, Tommaso. Di fatto alcuni anni prima che i terreni dell’editore siciliano si convertissero in una sorta di miniera d’oro un imprenditore di Messina era stato intercettato mentre assicurava che “Ciancio aveva garantito tutte le autorizzazioni possibili e immaginabili senza pretendere una lira fino all'inizio dei lavori”. Secondo il legale di Ciancio effettivamente quelle autorizzazioni erano arrivate, ma la mafia non avrebbe avuto alcun ruolo. Per quel servizio televisivo Ciancio aveva citato in giudizio la Gabanelli e Ranucci chiedendo 10 milioni di euro di danni. Ma il giudice del Tribunale di Roma, Damiana Colla, aveva ritenuto la domanda dell’editore siciliano “non fondata”, evidenziando che l'intera puntata era “espressione, secondo il consueto taglio della trasmissione, del giornalismo d'inchiesta”. A sentir parlare di giornalismo di inchiesta viene subito in mente il direttore de “I Siciliani” Pippo Fava, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984. Sette anni dopo suo figlio Claudio scriveva nel suo libro ‘La mafia comanda a Catania’ che “per cogliere il senso delle vicende di Catania, le sue fortune e le sue sventure, bisogna avere ben chiaro il ruolo che ha svolto la stampa catanese all'interno del ‘partito trasversale’. Un ruolo determinante: cavalieri, giudici, mafiosi e politici non avrebbero potuto tessere la trama di interessi e di solidarietà, se non fossero stati protetti da ‘La Sicilia’  (il quotidiano di Mario Ciancio, ndr) dalla sua capacità di filtrare le notizie, di intorbidare la verità, di tenere costantemente basso il livello di tensione nell'opinione pubblica”. “Per vent’anni abbiamo indicato, fatti alla mano, Mario Ciancio come il terminale e il garante di un sistema di potere – aveva dichiarato l’attuale vicepresidente della Commissione Antimafia alla notizia delle indagini su Ciancio –. Per vent’anni abbiamo denunziato le menzogne dei suoi giornali, le contiguità alla mafia, l’omissione quotidiana della verità. Ci rincuora apprendere che esiste un giudice anche a Catania”. In attesa che la Procura etnea formuli la richiesta di rinvio a giudizio per il potentissimo editore restano più che mai attuali le parole di Riccardo Orioles, uno dei “ragazzi” di Pippo Fava: “non sappiamo se Mario Ciancio, alla fine di una delle inchieste che lo riguardano, subirà sentenza; del resto noi, alla sua età, non gli auguriamo certo la galera. Ma potrebbe anche arrivare il momento, in nome del popolo italiano, in cui un magistrato emettesse, o per una cosa o per l’altra, una condanna. A un minuto di carcere, non più: tanto da lasciar dire ai superstiti, anche se tardi e inutilmente, che giustizia è fatta”.

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