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tribunale-palermo-web2di Lorenzo Baldo - 24 gennaio 2015
E’ da un pezzo che una parte della magistratura, insofferente al pm Di Matteo e al processo sulla trattativa Stato-mafia, prosegue un determinato obiettivo: sovraesporre quel magistrato e delegittimare quello stesso procedimento penale in corso. In un Paese al contrario, come è diventata l’Italia, si assiste costantemente al “fuoco amico” di una vera e propria casta i cui volti cambiano frequentemente. Le dichiarazioni odierne all’apertura dell’anno giudiziario del Presidente della Corte di Appello di Milano, Giovanni Canzio e del Presidente reggente della Corte di Appello di Palermo, Ivan Marino, sono solo le ultime della serie. E si commentano da sole. Per Canzio l’audizione al processo sulla trattativa del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “si poteva risparmiare” e comunque lo stesso Capo dello Stato “ha saputo salvaguardare la tenuta delle prerogative presidenziali insieme con i valori di indipendenza e autonomia della magistratura, tenendo la barra dritta sul crinale davvero impervio della sua recente audizione, nel palazzo del Quirinale, da parte dei giudici della Corte di Assise di Palermo”. Dal canto suo Marino afferma che la pericolosissima esposizione al rischio di alcuni pm “finisca per isolare e scoprire sempre di più i magistrati della giudicante titolari degli stessi processi”.

Nessun commento da parte del diretto interessato, Di Matteo sceglie infatti di non replicare alle dichiarazioni dei suoi colleghi. Resta intatta la domanda che ci si pone da tempo: quanta mala fede c’è in questi attacchi mirati che partono dall’interno della magistratura? Questi ultimi anni sono stati palesemente costellati di azioni ed omissioni da parte del Csm e dell’Anm nei confronti dei magistrati più in vista come Di Matteo. Quanta ingerenza c’è da parte del potere politico-istituzionale dietro a tutto ciò? Davvero dobbiamo credere che sia frutto solamente di singole prese di posizione dettate da beceri sentimenti di astio, invidia o gelosia? Anche per l’osservatore più “neutrale” non passano inosservati i collegamenti tra questi eventi e quello che rappresenta il processo sulla trattativa. Il nostro è un Paese che non vuole la verità sul biennio stragista ‘92/’93 a partire dal massimo rappresentante delle istituzioni. Che non ha perso occasione per muovere una vera e propria guerra contro il pool di Palermo “reo” di “lesa maestà”. L’ultimo colpo di coda è rappresentato dalla colpevole interferenza del Quirinale nella designazione del nuovo procuratore di Palermo. Nel frattempo si continua a cercare il tritolo destinato a un progetto di attentato nei confronti di Nino Di Matteo rivelato dal neo pentito Vito Galatolo. Un progetto di morte a cui evidentemente la maggior parte dei suo colleghi non crede. O forse bisogna pensare che attraverso il veleno di certe dichiarazioni, o di certi silenzi, quegli stessi colleghi stanno spianando la strada - più o meno consapevolmente - affinché questa nuova strage si compia?

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