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01di Aaron Pettinari - 24 gennaio 2015
Tabelle, statistiche, numeri. La cerimonia di apertura dell’anno giudiziario è la prima occasione dove il Sistema Giustizia riflette sulla propria attività, si interroga sulle proprie disfunzioni e sulle opportunità di miglioramento. Un evento istituzionale dove le parole, dette e non dette, possono pesare come macigni. Lo scorso anno l'ex presidente della Corte d'appello, Vincenzo Olivieri, andato in pensione nel novembre 2014, era riuscito nell'impresa di non pronunciare alcuna parola sui pm minacciati dal Capo dei capi, Totò Riina, che dal carcere Opera di Milano inviava “strali di morte”, al tempo stesso inviando un messaggio d'affetto nei confronti del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, vittima di “infondati sospetti di interferenza” (riferendosi alle quattro telefonate intercettate sull’utenza di Nicola Mancino, oggi imputato nel processo sulla Trattativa Stato-mafia per falsa testimonianza). Oggi il presidente della corte “ad interim”, Vito Ivan Marino, ha ribadito il deferente saluto nei confronti del dimesso Capo dello Stato, ricordandone il discorso del 22 dicembre 2014 al Csm “Per la tutela del prestigio e della dignità dei magistrati, che sono corollari dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, sono fondamentali comportamenti appropriati... ispirati a discrezione, misura, equilibrio, senza cedimenti a esposizioni mediatiche o a tentazioni di missioni improprie”. Non solo. Nel suo discorso in merito alle linee della criminalità nel distretto della Corte d'appello di Palermo ha lanciato una critica tutt'altro che velata nei confronti del servizio di sicurezza assegnato a certi magistrati. “Non si può sottacere - ha detto nella sua esposizione - che la indubitabile contingente e pericolosissima esposizione a rischio in determinati processi di taluno dei magistrati della requirente con conseguente adozione di dispositivi di protezione mai visti in precedenza, finisca per isolare e scoprire sempre di più i magistrati della giudicante titolari degli stessi processi”. Nessuno lo dice ma è chiaro che il riferimento appare indirizzato nei confronti del pm Nino Di Matteo, membro del pool trattativa, il cui livello di scorta è stato portato al massimo nell'ultimo anno dopo la condanna a morte di Totò Riina e le rivelazioni del neo pentito, Vito Galatolo, che ha parlato di un progetto di morte con oltre 150 chili di tritolo già arrivati a Palermo dalla Calabria.

A questa si aggiungono nell'ultimo anno le intimidazioni e le minacce nei confronti del procuratore aggiunto Teresa Principato e del procuratore generale Roberto Scarpinato, con la lettera anonima ritrovata lo scorso settembre sopra al tavolo, all'interno del suo ufficio, che prefigura scenari quantomeno inquietanti. Diversamente non risultano minacce di morte ed intimidazioni nei confronti dei magistrati giudicanti e pertanto non si capisce per quale motivo sia stato necessario un “appunto” di questo tipo. Forse si vuol far passare il messaggio che la sicurezza dei pm e l'adozione dei massimi livelli di protezione porta ad una sovraesposizione del processo cui fanno parte? L'intervento non chiarisce anche perché poi Marino aggiunge: “Si sta verificando la stessa identica situazione degli anni '80 allorché la protezione era garantita per lo più, se non esclusivamente, ai magistrati facenti parte dei pool antimafia dell'Ufficio istruzione e della Procura della Repubblica, con indifferenza verso la situazione della giudicante”. Un riferimento chiaro ai tempi del maxiprocesso, dell'omicidio Saetta e a quella grande fibrillazione all'interno di Cosa nostra, a causa di quel procedimento che ne avrebbe segnato la storia. Un richiamo affinché venga adottato un “piano sicurezza” con il “carattere della permanenza e della costante efficenza”. Ed è anomalo che ciò avviene proprio nell'anno in cui la Procura generale, dopo i ripetuti allarmi bomba, il ritrovamento di un proiettile nei pressi del palazzo di giustizia e le incursioni negli uffici, ha affrontato il problema sicurezza anche sul piano strutturale. Una “bacchettata” viene data anche ala società civile: “Va riconosciuto il merito di quelle componenti della cosiddetta società civile che hanno contribuito a far crescere, nelle giovani generazioni, quella cultura antimafiosa che costituisce il vero e permanente antidoto alla diffusione dei comportamenti mafiosi. Ma occorre la dovuta attenzione affinché tale opera non guardi esclusivamente al momento repressivo dell’organizzazione criminale, ovvero sia in favore soltanto della pubblica accusa con, talvolta anche plateali, manifestazioni di protesta nei confronti della giudicante, rea soltanto di avere appunto giudicato in base agli elementi di accusa presenti nel processo, spesso insufficienti”. Ed infine Marino ha concluso il suo discorso in pieno “stile Napolitano”, parlando dell’importanza di evitare comportamenti di “protagonismo”: “L’alta funzione affidata ai magistrati di applicare la legge assume un carattere di laica sacralità, che immune da ogni atteggiamento di personale protagonismo, non può prescindere del carattere di indipendenza e imparzialità, di rigore e di obiettività. E’ essenziale inoltre il prestigio e la dignità dei magistrati che deve tradursi in comportamenti appropriati”.

Foto © ACFB

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