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tavormina-giuseppe-ucciardoneRicordi ad intermittenza per l'ex direttore della Dia ascoltato al processo trattativa
di Aaron Pettinari - 9 gennaio 2015
“L'ex ministro Calogero Mannino era preoccupato perché gli erano arrivati dei segnali per i quali riteneva che ci potesse essere un rischio reale per la sua vita, specialmente quando lasciava Roma per rientrare a Palermo”, parola di Giuseppe Tavormina. L'ex direttore della Dia, sentito quest'oggi al processo trattativa Stato-mafia, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo (accanto a lui c'era anche il sostituto Roberto Tartaglia) ha ricordato la natura di alcuni incontri avuti con il politico democristiano tra la fine del 1991 ed i primi mesi del 1992, o almeno finché Mannino era ancora ministro (giugno '92). Una collocazione temporale non facile in un'udienza costellata da una lunga serie di “non ricordo”, da parte del generale, diverse imprecisioni e tante “contestazioni” a “sollecitazione della memoria” da parte di pm ed avvocati. L'ex alto ufficiale dell'Arma ha così ricorda le preoccupazioni espresse da Mannino, imputato nel processo stralcio del processo Trattativa, per la sua vita. Un aspetto piuttosto importante per l'accusa per cui fu proprio l'ex ministro il primo politico a muoversi sullo sfondo della trattativa fra pezzi dello Stato e Cosa nostra, proprio perché temeva per la sua vita. “Mannino – ha detto il teste alla corte – anche se non ricordo le parole specifiche, era preoccupato perché evidentemente erano arrivate notizie e segnali per cui riteneva che potesse esserci un rischio personale specie quando lasciava Roma e rientrava a Palermo. Io non ricordo incontri numerosi ma in uno in particolare mi accorsi che era preoccupato. Poi c’è un altro episodio dove mi preoccupai io perché c’era la notizia per cui poteva correre un certo rischio e doveva andare ad Agrigento. Non ricordo se faceva riferimento a particolari minacce, ma di recente ho letto che c'erano stati alcuni incendi che venivano interpretati da Mannino come segnali. Questo colloquio avvenne sicuramente dopo la sentenza del maxi processo e se ricordo bene c’era già stato l’omicidio Lima. Consideravamo il maxiprocesso alla base di questo omicidio, una valutazione che fu fatta in quel periodo, veniva considerato il risultato che era stato raggiunto con il maxiprocesso portato avanti da Falcone e Borsellino”. Alla domanda del pm Nino Di Matteo su rapporti personali e incontri con Calogero Mannino, Tavormina ha aggiunto: “Conobbi Mannino a Torino, tra il 1983 e il 1984, tramite un comandante di brigata che veniva pure lui da Sciacca. Da quel momento iniziò un certo rapporto. Ci vedemmo anche a Roma e Mannino era già ministro. Quando lui chiamava non mi sottraevo all’obbligo di andare, non sul piano giuridico del termine. Era un ministro, perché non avrei dovuto? Non saprei dirle circostanze specifiche nelle quali mi abbia potuto chiamare per una certa questione se non per una cosa grave o seria. Sulla Sicilia non avevo competenze specifiche”.

Gli incontri con Subranni
“Noi, come Dia, a Palermo non avevamo strutture. C’era la notizia, anche preoccupante, di quelle minacce nei confronti di Mannino. Con Subranni parlai del fatto che si attivasse a Palermo per rintracciare il ministro e avvertirlo di questo. Lo ricordo bene questo particolare”. Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo il generale Tavormina, nei primi anni ’90 direttore della Dia, cerca di fare chiarezza sul perché non si attivò personalmente per accertarsi se il Mannino avesse denunciato minacce ed intimidazioni ricevute. “Io non so cosa fece Subranni - ha detto - per quanto mi riguarda non ho fatto nulla. Anche se ora non so dire il motivo. C’era il vice De Gennaro, a cui non escludo di aver parlato di queste preoccupazioni, che si interessava dell’attività operativa ma non avevamo strumenti all’epoca per portare avanti iniziative di un certo tipo. Credo che di questo ne parlai anche con Parisi”. Su sollecitazione del Pm, che ha riletto alcune dichiarazioni rese nel 2000 al processo Mannino, Tavormina ha anche ricordato di alcune attività del Ros a tutela della persona dell’ex ministro. Durante la sua deposizione il generale ha anche detto di sentire per la prima volta delle dichiarazioni rese dal generale Subranni (imputato al processo) in cui si riferisce di più incontri avuti con Mannino e Tavormina in cui il politico della Dc “parlò delle accuse a lui rivolte da Rosario Spatola e chiese aiuto per dimostrare l’infondatezza di quelle dichiarazioni”. “Non ne sono a conoscenza - ha detto Tavormina - Poi il nome Spatola non mi dice nulla in questo momento”. In merito alla valutazione che venne fatta sulla minaccia di attentato nei confronti di Mannino durante il dibattimento non sono mancate le contraddizioni sia in sede di esame che in controesame con l'avvocato Milio che ha ricordato come in passato il generale avesse parlato “di intimidazioni con attribuzione di carattere governativo conseguente all'attività politica di Mannino”. Una considerazione che sostanzialmente era condivisa anche dal generale Subranni. Ed è a quel punto che il presidente Montalto è intervenuto per un chiarimento: “Perché vi fu addirittura una modifica del percorso di Mannino nel suo viaggio ad Agrigento se non erano di provenienza Mafiosa? Perché furono adottate misure così drastiche?”. “Secondo la mia prima valutazione erano successi certi episodi e mi interessava di evitare fatti analoghi successi in quel periodo – ha ricordato Tavormina – Poi ci furono nuovi elementi acquisiti che ci fecero intendere che poteva non essere così”. Si quali fossero questi “nuovi elementi” però Tavormina non è riuscito a dare ulteriori delucidazioni.

Su Guazzelli nessun ricordo
Altro tema affrontato è poi quello dell’incontro con il maresciallo Guazzelli, ucciso nell’aprile del 1992. L'ex direttore della Dia ha detto “di non avere alcun ricordo in merito”. Nel 2000, rispondendo alle domande dell'avvocato di Mannino, al processo di quest'ultimo, invece raccontò di aver incontrato il maresciallo poco tempo prima della sua morte (“L'ho conosciuto in una circostanza a Roma quando ero direttore della Dia – disse allora – Lui si stava occupando di alcune indagini su dei siciliani che si erano trasferiti in quella zona, un incarico per conto della Procura di Agrigento. In quella circostanza non escludo che parlammo di quel che si era verificato a Sciacca in prededenza”). Nonostante la sollecitazione del pm però l'unico ricordo nitido è stato quello di esser andato con il Presidente di allora, Cossiga, a trovare la famiglia.

“Corvo 2” questo sconosciuto
“L’anonimo Corvo 2? Questa notizia è completamente uscita dalla mia memoria”. Proseguendo nell'esame il pm Di Matteo ha anche chiesto se al generale fosse mai stato reso noto lo scritto pervenuto a diverse autorità giudiziarie, istituzionali e politiche, pubblicato anche si La Sicilia, in cui si facevano pesanti riferimenti a condotte di personalità pubbliche. Tra questi il presunto incontro tra l’onorevole Mannino ed il Capo dei Capi Totò Riina. “Non ricordavo più l’episodio – ha aggiunto Tavormina – ho dovuto rifarmi a notizie giornalistiche. A mio giudizio non venne presa in considerazione o quasi”. “Qui deduzioni e ragionamenti servono a poco” ha commentato il pm Di Matteo, che ricorda al teste di aver detto molto di più nell’esame risalente al 2000, quando il generale disse di aver parlato con certezza con lo stesso Mannino del Corvo 2. “Sicuramente ho parlato con cognizione di causa – replica Tavormina – la conclusione che avrò potuto trarre, allora così come quando lessi della vicenda, che era indubbiamente un anonimo fatto per danneggiare… ma le posso assicurare che non ricordo assolutamente cosa accadde nella circostanza in cui eventualmente parlai con Mannino. Avemmo occasione di parlarne in maniera accidentale, lo ricevemmo anche noi…”. “No, voi non lo riceveste, la Dia non venne interessata” ha poi ribattuto. E sul perché di questo scritto ne parlò con Mannino il generale Tavormina non ha saputo dare risposta.

La questione Martelli e contatti Ros-Ciancimino
In merito hai contatti tra il Ros e Vito Ciancimino, l'ex direttore della Dia ha escluso categoricamente di aver mai saputo nulla, al contrario di quanto detto dall'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli. L'alto ufficiale ha ribadito di non essere stato informato o dai carabinieri o dalla dottoressa Liliana Ferraro o altri di incontri che i Ros, in particolare l'allora colonnello Mario Mori e l'allora capitano Giuseppe De Donno, avevano con Vito Ciancimino. Secondo l'ex Guardasigilli, invece, il generale Tavormina sarebbe stato informato degli incontri. “Non sapevo di questa iniziativa e mi sarei meravigliato per una attività che, per competenza, doveva essere portata avanti proprio dalla Dia”, ha aggiunto Tavormina, nell'aula bunker del carcere Ucciardone, dinanzi alla Corte di assise di Palermo. Quindi ha confermato quanto detto in Commissione antimafia ovvero che "se avessimo saputo cognizione di ciò io e miei collaboratori che allora rischiavamo la vita avremmo fatto il diavolo a quattro e denunciato pubblicamente una situazione di questo genere”. Rispondendo alla domanda di Di Matteo se avesse rappresentato mai politicamente di eventuali violazioni dell’articolo 4 di costituzione della Dia Tavormina ha spiegato di “aver fatto presente sistematicamente al ministro dell’Interno Scotti, e poi anche a Mancino, che questo organismo, la Dia, non veniva messo nelle condizioni di operare. Nulla più”. L’ex direttore della Dia ha anche confermato che nell’estate del 1993, dopo le stragi, quando era Segretario generale al Cesis, a livello istituzionale si parlava della possibilità di un colpo di Stato. “Ciampi venne insospettito da alcuni fatti. Se ricordo bene provava a mettersi in contatto telefonico con la Presidenza del Consiglio senza riuscirvi e non si capì perché in quella notte non funzionavano i telefoni. Venne fuori anche l’ipotesi che poteva esserci stata una pressione negli organi di guida del paese per cercare di contenere gli effetti negativi sull’applicazione dell’articolo 41 bis”. L'Alto ufficiale ha anche ricordato di aver saputo nel 1993 della revoca degli oltre trecento 41 bis da parte del Ministro della Giustizia Conso. Una notizia che non venne mai riportata dalla stampa se non dopo, nel 2010, dopo alcune indagini condotte in merito dalla Procura. “Non sono in grado di dire chi e quando venni informato – ha detto – Forse è avvenuto in un gruppo di lavoro quando ero Segretario al Cesis. Allora c'erano anche i rappresentanti del Dap e potrei averlo saputo in quell'ambito”. Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 15 gennaio quando verrà sentito Edoardo Fazioli, vice direttore del Dap. Al termine dell'udienza è stato stilato il programma delle prossime udienze. Il 22, salvo cambiamenti, sarà la volta dell'ex direttore del Dap Nicolò Amato quindi, durante una trasferta a Roma, prevista per il 29 e 30 gennaio o per la prima settimana di febbraio, deporranno Arnaldo Forlani, Giovanni Conso, Adalberto Capriotti e Carlo Azeglio Ciampi. Sempre a febbraio, su richiesta del pm Nino Di Matteo, potrebbe esserci anche la testimonianza di uno degli imputati, che è anche teste chiave, Massimo Ciancimino. Sul punto la difesa di Ciancimino si pronuncerà nella prossima udienza.

DOSSIER Processo trattativa Stato-mafia

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