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aiello-giovanni-faccia-da-mostrodi Miriam Cuccu - 16 dicembre 2014
Vito Galatolo continua a collaborare con i magistrati di Palermo e Caltanissetta dopo la rivelazione shock del progetto di morte contro Di Matteo. E dichiara di riconoscere “Faccia da mostro”, il personaggio dal volto deformato che sarebbe coinvolto in molti delitti misteriosi e vicino a Cosa nostra. Anche secondo l’ex boss dell’Acquasanta, che da pochissimo ha fatto il “salto” per diventare collaboratore di giustizia, si tratta di Giovanni Aiello (in foto). L’ex poliziotto indagato per la strage di via d’Amelio, secondo il neopentito, negli anni Novanta avrebbe frequentato vicolo Pipitone, nel quartiere palermitano dell’Acquasanta (regno dei Galatolo) dove Cosa nostra si riuniva ai tempi di Totò Riina. Allora Galatolo non era ancora ventenne, ma sostiene di ricordare bene il volto dell’ex agente accusato di essere vicino ai Servizi segreti deviati, per mesi indagato da quattro procure italiane: Palermo e Caltanissetta per la trattativa, Reggio Calabria e Catania per i suoi presunti contatti con ambienti mafiosi.

Di “Faccia da mostro”, prima di Galatolo, sono molti ad averne parlato: il primo è stato, nel 1995, il confidente Luigi Ilardo (poi ucciso l’anno dopo in circostanze misteriose) che raccontò di un uomo dello Stato, con il viso orribilmente devastato, che sarebbe stato presente in alcuni episodi come il fallito attentato all’Addaura contro il giudice Falcone e l'omicidio di Nino Agostino (poliziotto palermitano ucciso insieme alla moglie nell'agosto 1989). Anche il padre dell’agente, Vincenzo Agostino, guardando una foto di Aiello ha sostenuto di riconoscere in lui “Faccia da mostro”. Colui che, una settimana prima dell’uccisione di Nino, aveva bussato a casa per chiedere del figlio.
Il collaboratore di giustizia Vito Lo Forte ha identificato Aiello come l’uomo con cui spesso si accompagnava, assieme ad un altro uomo di Stato, nel corso di una ricognizione fotografica avvenuta nell’agosto 2009: “Li chiamavamo il bruciato e lo zoppo. Uno aveva il viso deturpato, l’altro camminava con un bastone”. I due sarebbero stati visti da Lo Forte “incontrarsi due o tre volte con Gaetano Scotto, il mio capo famiglia”.
Galatolo aveva già nominato “Faccia da mostro” parlando di ciò che gli avrebbe detto il padre Enzo (anche lui al 41bis) che ne avrebbe parlato sempre in riferimento al fallito attentato all’Addaura e all’omicidio Agostino. Lo scorso giugno la sorella di Vito, Giovanna Galatolo (già collaboratrice, ndr), aveva riconosciuto l’ex poliziotto in un confronto all’americana: “È lui l’uomo che veniva utilizzato come sicario per affari che dovevano restare molto riservati, me lo hanno detto i miei zii Raffaele e Pino”. Naturalmente, Aiello ha allontanato da sé qualsiasi accusa. Eppure sono molti i misteri rimasti insoluti che lo riguardano.
Ieri del “caso Galatolo” se ne è discusso nel corso di una riunione alla Direzione distrettuale antimafia alla quale ha preso parte anche Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia. In questi giorni il neocollaboratore è stato interrogato anche dal procuratore Vittorio Teresi, membro del pool del processo trattativa Stato-mafia di cui fa parte anche il pm Di Matteo. Su Di Matteo pende una condanna a morte che, almeno fino allo scorso giugno, ha raccontato Galatolo, era in piena fase operativa. Delle indagini sul progetto del’attentato se ne stanno occupando i magistrati della Procura di Caltanissetta. L’ex boss ha descritto molte delle fasi preparative: dalle riunioni, al carico di esplosivo (una parte inutilizzabile per infiltrazioni d’acqua) all’ordine che sarebbe arrivato da Matteo Messina Denaro, ultimo superlatitante di Cosa nostra. E dei mandanti occulti che, aveva precisato Galatolo, “sono gli stessi di Borsellino”.

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