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tribunale-palermo-3Il pentito Galatolo svela uno dei progetti per uccidere il pm
di Aaron Pettinari - 3 dicembre 2014
Il tritolo c'era, il progetto di morte pure: far saltare in aria il pm Nino Di Matteo colpendolo in prossimità del Palazzo di Giustizia. Vito Galatolo, l'ex boss dell'Acquasanta, dopo aver rivelato che per l'attentato erano stati raccolti centocinquanta chili di esplosivo, nascosto in un bidone, il pentito ha fornito ulteriori indicazioni sulle fasi di preparazione dell'attentato. Il piano prevedeva l'utilizzo di un'auto imbottita di tritolo da far saltare al momento del passaggio del corteo di macchine che scortano il magistrato. Un attentato che sarebbe stato altamente spettacolare ma che avrebbe potuto coinvolgere troppe persone, con il rischio di suscitare l'indignazione della società civile. Un aspetto quest'ultimo che i boss di Cosa nostra vogliono evitare ad ogni costo.
Si parla anche di questi aspetti i primi di dicembre, quando i capimafia si riuniscono la prima volta per discutere del progetto, sospinti anche dall'arrivo della lettera di Matteo Messina Denaro in cui si ordina la strage parlando anche delle motivazioni per cui si deve uccidere il magistrato ('si è spinto troppo oltre'), e l'idea Tribunale viene scartata. Da quel momento in poi le interlocuzioni con il superlatitante di Castelvetrano si fanno sempre più fitte. Il tritolo viene acquistato dopo una raccolta fondi da 600mila euro. C'è il problema della preparazione dell'autobomba e in un'ulteriore comunicazione “Diabolik” fa sapere che “non c'è problema” perché era già pronto “un artificiere” che sarebbe giunto al momento opportuno. Del resto il capomafia trapanese aveva già comunicato ai palermitani dell'interesse “di entità esterne” per la morte del magistrato della trattativa Stato-mafia. Cosa nostra prosegue nella propria “mission” e da dicembre 2012 a marzo 2013 inizia a studiare i movimenti quotidiani di Di Matteo, il cui livello di scorta al tempo non era ancora a livello massimo.

Gli anonimi in Procura e le parole di Riina
Sul finire di febbraio in Procura arriva un anonimo dove un soggetto che dice di essere uomo d'onore della famiglia di Alcamo dice che da un paio di mesi segue gli spostamenti di Di Matteo proprio per preparare un attentato nei suoi confronti e che anche Totò Riina avrebbe avallato il piano di morte. Un dato quest'ultimo che trova un incrocio con le intercettazioni in carcere del novembre 2013 tra il “Capo dei capi” e la “dama di compagnia” Alberto Lorusso, dove il boss corleonese esterna il proprio pensiero durante l'ora della cosiddetta “socialità” nel carcere milanese di Opera. I due parlano del pm antimafia Antonino Di Matteo. Mentre Riina dice “organizziamola questa cosa”, tira fuori la mano dal cappotto e gesticolando mima il gesto di fare in fretta, come scrivono gli uomini nella Dia nella parte delle intercettazioni depositate questo pomeriggio dai pm nel processo per la trattativa. E poi ancora “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo... Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. Ma l'anonimo di Alcamo non è l'unico a destare preoccupazione. Pochi giorni successivi dal suo arrivo ecco una seconda missiva, ancora una volta senza firma, in cui si parla di “amici romani di Matteo” (inteso Messina Denaro) che “hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo”. E' la stessa lettera in cui si parlava del rischio di un “governo di comici e froci”. Al momento non ci sono prove che l'autore di quelle lettere possa essere lo stesso Galatolo. L'ex capomafia da settimane sta rispondendo ai pm nisseni, che indagano sul piano di morte, ma a preciso quesito ha risposto in maniera negativa. A rendere quei documenti particolarmente importanti è la descrizione al dettaglio delle abitudini del magistrato che oggi vengono anche riscontrate nelle dichiarazioni del pentito dell'Acquasanta. Una cronostoria di un piano di morte per ora sventato ma che, come ha detto Galatolo, “è ancora operativo”.

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