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mori-mario-big4di Aaron Pettinari - 21 novembre 2014
La Corte ha sciolto la riserva sulla richiesta della Procura generale
La mancata cattura nell'aprile 1993 del boss catanese Nitto Santapaola a Terme Vigliatore, gli esami dei pentiti Sergio Rosario Flamia, Filippo Malvagna, Antonino Giuffré, Giovanni Brusca, Angelo Siino e Stefano Lo Verso, l'esame dell'ex colonnello Riccio, e l'acquisizione dela nota Aisi, a firma Arturo Esposito, dell'8 agosto 2014. Sono queste le richieste probatorie ammesse dalla Corte d'appello presieduta da Salvatore Di Vitale, che questa mattina ha sciolto la riserva sulla richiesta di riapertura dibattimentale presentata dai Pg Roberto Scarpinato e Luigi Patronaggio lo scorso 26 settembre. La corte ha esaminato attentamente le memorie prodotte dall'accusa e dalla difesa ed è giunta alla decisione di accogliere solo in parte le richieste dell'accusa.

Il mancato blitz Santapaola
In particolare verrà affrontato in dibattimento il capitolo importante della mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola a Terme Vigliatore, nel messinese. Si tratta di una delle “ombre” che caratterizzerebbe la carriera dell’ex generale dei Ros già imputato, insieme al colonnello Mauro Obinu, per non aver arrestato Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel ’95. Vicende che fanno anche parte delle nuove indagini della Procura di Palermo – nello specifico del pool trattativa Stato-mafia – e confluite nel processo di Appello a carico dei due ex ufficiali dei Carabinieri.
Nella memoria dei pm viene ricordato come Santapaola, allora latitante, “fu intercettato mentre parla con esponenti della criminalità mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto all’interno di un locale”. Di questo venne subito informato Mori, tramite il maresciallo della sezione anticrimine di Messina Giuseppe Scibilia. E l’allora colonnello, che si trovava in quel momento a Roma, replicò che “avrebbe provveduto”. Ed infatti, così come risulta dall’agenda dello stesso Mori, il giorno successivo si recò a Catania. Tutto era pronto per il blitz ma il 6 aprile 1993 avvenne un fatto che fece saltare l'operazione. Il capitano Sergio De Caprio (al secolo “Ultimo”) “mentre si trovava ‘casualmente’ in transito nella zona dove era stato localizzato il giorno prima Santapaola” insieme al capitano Giuseppe De Donno e altri militari del Ros aveva individuato un uomo, scambiato per il latitante Pietro Aglieri. Così ebbe luogo un inseguimento, finito a colpi d'arma da fuoco, dell'incensurato Giacomo Fortunato Imbesi, scambiato per il boss Pietro Aglieri anche se, si legge nel documento di settembre, “non esisteva alcuna somiglianza fisica”.
Le indagini della Procura avrebbero messo in evidenza una serie di incongruenze rispetto alla versione “ufficiale” fornita dai due membri del Ros sulle dinamiche di quell'azione “rappresentando false circostanze, omettendo di riferirne altre determinanti ed arrivando al punto di falsificare dei documenti”.
In particolare verrà anche approfondita la questione dell'irruzione armata effettuata nella villa degli Imbesi, collocata a 50 metri dal luogo dove venne individuato il nascondiglio di Santapaola, con l'impiego di militari provenienti anche da altre sedi fuori dalla Sicilia. Un'irruzione che non viene menzionata in alcun atto ufficiale salvo un verbale di perquisizione (che verrà acquisito) che non indica né il nome dei militari e in cui manca la sottoscrizione delle persone che subirono la perquisizione. Unica firma presente quella del carabiniere Pinuccio Calvi con quest'ultimo che, sentito dagli inquirenti, ha dichiarato che la propria firma è stata falsificata. Altro dato alquanto sconcertante è che tutti i militari del Ros risultanti dagli atti ufficiali e che quel giorno risultavano presenti hanno affermato “di non avere partecipato all’irruzione armata e di non sapere chi fossero gli uomini che l’avevano eseguita”. Ovviamente, a seguito dell’irruzione nella villa, “Santapaola non si recò più nel luogo dove era stato intercettato”. Per chiarire questa vicenda verranno quindi sentiti Giacomo Fortunato Imbesi, Salvatore Mario Imbesi, Sebastiana Pettineo, Carmelo Concetto Imbesi, Mauro Olivieri, Francesco Randazzo, Giuseppe Mangano, Roberto Longu, Pinuccio Calvi, Antonino Ragusa e Giuseppe Scibilia. Inoltre saranno acquisite le documentazioni fotografiche fornite da Fortunato Imbesi e sui luoghi dell'intera vicenda di Terme Vigliatore.

Il caso Flamia
Un ulteriore tema che verrà affrontato al processo d'appello riguarderà il collaboratore di giustizia Sergio Rosario Flamia. Quest'ultimo infatti aveva dichiarato di aver appreso nell'ottobre 1995 da un altro “uomo d'onore” di Bagheria, Domenico Di Salvo, di “tenere lontano” Luigi Ilardo. Dichiarazioni che dimostrerebbero come all'interno di Cosa nostra fosse notoria la collaborazione tra il nipote di Piddu Madonia e le forze dell'ordine. Dichiarazioni secondo la Procura false che potrebbero essere state condizionate da “agenti esterni”. E' lo stesso Flamia, in un'intercettazione in carcere mentre si trova a colloquio con il figlio Antonino, a rivelare i suoi rapporti con i servizi segreti. Un “do ut des” che aveva portato nelle sue casse persino la somma di circa 160mila euro. Un rapporto proseguito persino nelle prime settimane in cui aveva avviato la propria collaborazione con la giustizia. Ed è proprio su questi punti che sarà sentito in aula. Nell'indagine sul neo pentito di Bagheria sarebbe poi emerso anche un altro dato ovvero che l'imputato Mauro Obinu sarebbe attualmente un membro dell'Aisi, seppur privo di computi operativi. Tra i documenti che sono stati acquisiti dalla Corte rientra infatti una nota del servizio di sicurezza, datata 8 agosto 2014 e firmata dal direttore Arturo Esposito dove si chiarirebbe il ruolo dello stesso Obinu.

La vicenda del carabiniere Bonaccorso
La Corte ha anche ammesso l'esame del collaboratore di giustizia Filippo Malvagna su quanto riferitogli da Cosimo Bonaccorso, un carabiniere corrotto a libro paga delle famiglie mafiose di Catania e di Palermo, facente parte della squadra catturandi dei Carabinieri. Secondo quanto raccontato dal pentito il militare avrebbe raccontato di aver appreso nel 1992 che un capitano dei carabinieri proveniente da Roma doveva incontrarsi segretamente con la moglie di Provenzano nelle campagne fra Palermo e Corleone “per un'eventuale collaborazione”.
Un'informazione dirompente e che l'ex boss riferì ai vertici dell'organizzazione mafiosa di Catania i quali gli imposero “l'assoluto silenzio sulla vicenda”. Malvagna, per quel “segreto” a cui era stato messo a conoscenza, temeva per la propria vita, e agli inquirenti ha anche riferito che “il carabiniere Bonaccorso pochi giorni dopo la rivelazione subì un attentato alla vita in quel di Catania”.

Da Riccio a Giuffré, nuove rivelazioni in ballo
“Alla stregua del principio enunciato dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenza del 7-7-2011, nel caso Dan contro Moldavia), appare necessario risentire i seguenti testi e collaboratori di giustizia, giacché si verte sull'attendibilità delle loro dichiarazioni”. E' per questo motivo che la Corte ha accolto l'esame di Michele Riccio, Antonino Giuffré, Giovanni Brusca, Stefano Lo Verso ed Angelo Siino che verrebbero sentiti su vari temi.
In particolare l'ex ufficiale dell'arma, teste principale di questo processo, ha rilasciato ulteriori dichiarazioni nell'interrogatorio del 17 luglio 2014 in merito alle informazioni raccolte dall'infiltrato Luigi Ilardo il quale, pochi giorni prima di essere assassinato, aveva anticipato all’imputato Mori che avrebbe rivelato ai magistrati quanto di sua conoscenza sul generale Subranni e sul ruolo di pezzi deviati delle Istituzioni nella stagione dello stragismo”.
Inoltre vi sarebbero ulteriori spiegazioni a seguito della “rilettura dell'informativa 'Grande Oriente' e dell'informativa 'Apice'” che, secondo l'accusa ha permesso di accertare che “la strumentazione tecnica messa a disposizione del col. Riccio dagli agenti della CIA era assolutamente affidabile per localizzare il latitante senza far correre alcun pericolo all’informatore”. Inoltre, nella memoria di settembre, la Procura generale dichiara l'opportunità di esaminare nuovamente Riccio per capire “l’animus degli imputati nel porre in essere le condotte loro contestate”.
La necessità di ascoltare i collaboratori di giustizia è data, invece, da altre questioni. L'ex boss di Caccamo Antonino Giuffré, che pure aveva ricevuto l‟incarico di uccidere l‟Ilardo direttamente dal Provenzano, ha dichiarato di ritenere che “la notizia della collaborazione dell’Ilardo con le Forze di Polizia fosse pervenuta al Provenzano da fonte istituzionale in particolare da ambienti giudiziari di Caltanissetta”. In base alla richiesta della Procura di questo dovrebbe riferire oltre ai rapporti fra Provenzano e segmenti delle Istituzioni e dei Servizi Segreti e sulla preparazione delle stragi del 1992 e del 1993. E di quella “strategia della tensione” dovrebbero anche parlare i pentiti Giovanni Brusca ed Angelo Siino che dovranno anche aggiungere ulteriori elementi sulle notizie apprese da Cosimo Bonaccorso. Stefano Lo Verso invece dovrebbe riferire in base a quanto scritto nella memoria dei Pg “sui suoi rapporti con Provenzano Bernardo e sulle confidenze ricevute dallo stesso in ordine ai rapporti fra questi e pezzi deviati delle Istituzioni”. Il processo è stato infine rinviato al primo dicembre.

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