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di-matteo-manif-pal-giustiziadi Miriam Cuccu - 18 novembre 2014
L’input per l’attentato sarebbe arrivato nel dicembre 2012. Da soggetti esterni a Cosa nostra
Vito Galatolo si è pentito e davanti agli inquirenti vuota il sacco: “E’ un bidone carico di tritolo” ha rivelato il boss, quello che doveva essere utilizzato per l’attentato a Nino Di Matteo (in foto), fornendo anche i luoghi dove potrebbe trovarsi e i nomi dei personaggi coinvolti. Nello scorso finesettimana le ricerche si sono concentrate in particolare nella zona dell’Acquapark di Monreale. Proprio dove uno degli affiliati ai Galatolo possiede una villetta. Controlli anche nell’Udinese, a Tavagnaccio, dove ha risieduto in passato un soggetto molto vicino alla famiglia del neopentito. Ma le informazioni di “’u picciriddu” (così è conosciuto il figlio di don “Enzo” Galatolo, padrino dell’Acquasanta, ugualmente in carcere) risalgono a giugno, quando il boss viene arrestato nell’operazione “Apocalisse” insieme ad altri esponenti del clan. Nel frattempo, il timore di nuove indagini e perquisizioni, anche a seguito della fuga di notizie sulle inedite rivelazioni, avranno determinato un nuovo spostamento del bidone.

Davanti al procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi ed al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari Vito Galatolo ha deciso di parlare, svelando le dinamiche di un progetto in cui era dentro fino al collo. Il boss, infatti, avrebbe ricoperto il ruolo di coordinatore operativo nella pianificazione dell’omicidio. L’ordine sarebbe arrivato, nel dicembre 2012, da Girolamo Biondino, fratello di Salvatore l’ex autista di Riina. Eppure il neopentito ha parlato anche di entità esterne a Cosa nostra che diedero l’input per progettare l’uccisione di Di Matteo. Al momento, soggetti ancora senza volto né nome ma che il boss avrebbe definito come “gli stessi di Borsellino”. Dopo oltre vent’anni il Paese in cui viviamo è ancora manovrato dagli stessi personaggi che, oggi come allora, utilizzano Cosa nostra come braccio armato.
Già si sarebbero trovati alcuni riscontri alle dichiarazioni di Galatolo nelle carte del blitz “Apocalisse”, che di fatto bloccò il piano di morte del magistrato. Le intercettazioni provano che il 9 dicembre 2012 Galatolo avrebbe dovuto partecipare a un summit top secret con Biondino, ugualmente sorvegliato dalle forze dell’ordine. Anche lui sarebbe stato poi arrestato lo scorso giugno.
La sera prima, l’8 dicembre, Silvio Guerrera, considerato reggente della famiglia di Tommaso Natale, riceve una telefonata del suo braccio destro Roberto Sardisco: “Domani alle dieci”. La conferma dell’appuntamento, secondo gli inquirenti. Poco dopo arriva una telefonata anche dai Galatolo: “... telefonò Vito e ha detto che potete scendere che aspetta a noi per mangiare”.
Il giorno dopo Biondino e Guerrera sono in macchina e si dirigono in via Partanna Mondello. Ma l’incontro salta. Poco dopo essere entrati dal condominio n°31, i due boss escono nuovamente. Nel pomeriggio Guerrera si incontra con Tommaso Masino Contino (presunto capomafia di Partanna Mondello): “Stamattina non ti ho potuto trovare... hanno una cosa urgente, subito” dice il primo al secondo, poi insieme si spostano in macchina. Secondo gli inquirenti, lo stesso giorno i due mafiosi avrebbero incontrato da qualche parte Vito Galatolo. Ora il neopentito dovrà illustrare tutte le dinamiche di cui è stato protagonista se vorrà veramente togliersi quel “peso dalla coscienza”.
Intanto il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza per discutere delle minacce ricevute dai magistrati siciliani e in particolare da Di Matteo. Presenti per l’occasione il prefetto di Palermo, il procuratore generale Roberto Scarpinato, il procuratore facente funzioni Leonardo Agueci e quello di Caltanissetta Sergio Lari, insieme ai vertici nazionali delle forze dell’ordine. “Consideriamo la situazione con molta serietà e attenzione” ha dichiarato Giampiero Massolo, direttore del Dipartimento informazioni per la sicurezza. Ora alle parole seguano i fatti. A cominciare dall’assegnazione del bomb jammer a Di Matteo, che impedirebbe lo scoppio di quel bidone di esplosivo. “Abbiamo deciso di utilizzare ogni mezzo, ogni tecnologia usata in ogni parte del mondo, a tutela dell'incolumità dei magistrati di Palermo" ha detto il ministro dell’Interno Angelino Alfano a ridosso della riunione del comitato. Cosa aspetta, allora, a predisporre il jammer per il pm più esposto d’Italia?

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