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napolitano-dambrosio-2-effIl Presidente della Repubblica: “Quelle righe sono drammatiche”. Ma sul tema ricorda le prerogative del Capo dello Stato.
di Aaron Pettinari - 31 ottobre 2014
Tre giorni. Questo il tempo che è stato necessario ai periti per consegnare la trascrizione della testimonianza resa dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel processo per la trattativa Stato-mafia lo scorso 28 ottobre. Nell'immediata conclusione dell'udienza il Quirinale, con una “nota a reti unificate”, scriveva che il Capo dello Stato “ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali né obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa”. Leggendo le 86 pagine depositate oggi in cancelleria, tuttavia, in più di un'occasione lo “spettro” della sentenza della Corte Costituzionale del 2012. Ed è lo stesso Napolitano a ricordarlo alla Corte. Ad esempio è quel che accade a pag.21 del verbale. Il procuratore aggiunto Teresi chiede apertamente: “Signor Presidente, subito dopo avere ricevuto quella lettera del 18 di giugno, lei ha ricevuto, ha avuto in merito una interlocuzione con il dottore D'Ambrosio? E in caso affermativo, chiese al predetto perché riteneva che lei, signor Presidente, sapesse... Quando lui dice: lei sa di ciò che ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone e sa che in quelle poche pagine non ho esitato a far cenno ad episodi del periodo 89 - 93, eccetera. Cioè, aveste una interlocuzione diretta proprio su questo tema così centrale e così dilaniante, a quanto sembra, per il Consigliere D'Ambrosio?”.

Il Capo dello Stato, dopo aver ricordato i complimenti fatti per lo scritto ha aggiunto: “Non abbiamo mai avuto dei pour parler. A parte diciamo il principio di riservatezza dei colloqui del Presidente, ma vorrei pregare la Corte e voi tutti di comprendere che da un lato io sono tenuto e fermamente convinto che si debbano rispettare le prerogative del Capo dello Stato così come sono sancite dalla Costituzione Repubblicana. Dall'altra mi sforzo, faccio il massimo sforzo per dare nello stesso tempo il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo contributo anche all'amministrazione della Giustizia. Sono, come dire, certe volte proprio su una linea sottile, quello che non debbo dire non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché la Costituzione prevede che non lo dica, e quello che intendo dire per facilitare il più possibile un processo di chiarificazione di una Repubblica e anche lo sviluppo della legittimazione di indagine e processuale della Magistratura”. Una frase quasi enigmatica e che fa capire come, nella sua deposizione, sia stato lo stesso Presidente a porre via via vincoli alla propria deposizione senza appellarsi formalmente alle prerogative Costituzionali. Sugli “indicibili accordi” evocati da D'Ambrosio, Napolitano ha detto comprendere “il concentrarsi su quelle poche righe e l'interrogarsi sul loro significato, data la drammaticità del tono e anche del contenuto” tuttavia ha dichiarato di non avere particolari elementi per chiarire il motivo per cui D'Ambrosio rappresentasse il timore di essere stato considerato allora, cioè nell'89 – 93, utile scriba. E, come ricordato dal pm Teresi, ancora oggi non è dato sapere da chi. Il Capo dello Stato ha escluso di aver mai parlato di ciò con il suo Consigliere giuridico ed aggiunge: “quando lui scrive: 'lei sa che di ciò ho scritto anche di recente' (riferendosi probabilmente al libro della Falcone, ndr). Ma come abbiamo detto tutti lì, in quello scritto non parla dell'utile scriba o nemmeno degli accordi indicabili. Solleva degli interrogativi che non sono da poco, l'interrogativo che qualcuno, sempre diciamo negli ambienti mafiosi, avesse saputo che poteva essere il suo ultimo viaggio (riferito a Giovanni Falcone, ndr), almeno per un certo periodo di tempo, a Palermo o che qualcuno in vari ambienti potesse cooperare a che non diventasse Procuratore Nazionale Anti Mafia. Queste sono le cose che si trovano nel libro e nel suo scritto per il libro e certamente non corrispondono a quelle tre righe, che perciò rimangono tre righe a cui è difficilissimo, a cui è difficilissimo dare una interpretazione”. Ai giudici poi suggerisce anche a chi, forse, poter chiedere qualche interpretazione in più, ad esempio ad “altre personalità che hanno avuto rapporti in quegli anni, come soggetti istituzionali, con D'Ambrosio, possono più facilmente di me essersi fatte delle idee in proposito, non lo so. Ma naturalmente coloro che avevano la responsabilità in tutti gli aspetti della impostazione, della guida e della gestione della politica anti mafia e della lotta contro la criminalità organizzata, erano naturalmente il Ministro della Giustizia, il Ministro dell'Interno, la Commissione Anti Mafia, tutti incarichi che io certamente non ho ricoperto tra l'89 e il 93”. Tuttavia, appare quantomeno strano, che il Capo dello Stato, di fronte ad una richiesta di dimissioni presentata in una lettera così drammatica, non abbia sentito il bisogno di chiedere spiegazioni ulteriori. Un dubbio che, forse, resterà sempre anche perché nessuno, fino a prova contraria, può dire che il Capo dello Stato abbia mentito. 

DOSSIER Processo trattativa Stato-mafia

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