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targa-premio-paolo-borsellino-2014di Anna Petrozzi - 27 ottobre 2014
All’inizio Paolo Borsellino era solo uno splendido sorriso chinato sulla spalla del suo gemello di battaglia. Una foto da appendere sul muro o portare nel portafoglio. Un raro e autentico orgoglio nazionale, lontano anni luce dallo sbandieramento del nulla cui si vorrebbero legare onore e patria.
Non ci saremmo mai potuti immaginare quindici anni fa che inseguendo quel sorriso, quell’ideale dedizione al senso della giustizia e della responsabilità saremmo precipitati nel cuore nero della Repubblica, dentro depistaggi, false testimonianze, pietosi non ricordo, nelle doppie facce e negli inganni. Nel lato peggiore degli esseri umani che ubriachi di prepotenza pensano di poter disporre della vita altrui a piacimento, legittimandosi con questa o quell’altra folle ragione, persino la difesa dello stato, con la s minuscola.
Certo il nostro direttore fin dal primo numero ci aveva parlato di trattativa, di stato-mafia, di collusioni e connivenze a tutti i livelli, ma quando sei molto giovane hai solo voglia di giocarti le tue carte e non ti preoccupi affatto del momento in cui perderai l’innocenza.

Poi Paolo Borsellino è sceso dal quadro, si è fatto vivo nel racconto di sua moglie Agnese, nella sua serenità e forza, nella sua aristocratica e determinata pretesa di verità, in suo figlio Manfredi, limpido e solido nei valori ereditati, in sua sorella Rita, instancabile testimone della storia di un uomo straordinario e normale, innamorato della vita. Poi c’è stato l’incontro con Salvatore, suo fratello. Nelle tante occasioni in cui lo abbiamo ascoltato gridare giustizia e verità ripete sempre una frase che più o meno suona così: “Hanno fatto a pezzi il corpo di Paolo, ma si sono sbagliati se pensavano così di distruggerlo. Una parte di Paolo è viva in migliaia di persone, tanti giovani perbene che vogliono lo stesso Paese che voleva lui”.
E’ vero. Anche se siamo in minoranza e silenziati da una grancassa assordante di pupazzi e burattini, ogni giorno ci sono uomini e donne che si svegliano, lavorano, educano e combattono per non assuefarsi al puzzo del compromesso che appesta l’Italia. Che fanno del loro meglio per capire e non cedere al ricatto su cui è fondata la nostra repubblica: o ti pieghi alla logica del più forte o sei fuori.
Sabato 25 ottobre a Pescara sono state premiate alcune di queste persone che dal loro angolo di mondo cercano di resistere e fare da baluardo a quei valori per cui Paolo Borsellino è andato coscientemente incontro alla morte. Due per tutti: l’imprenditore Tiberio Bentivoglio, ribellatosi alla Camorra e il sindaco di Corleone, Lea Savona. Un uomo e una donna che potrebbero tranquillamente fare il loro lavoro chinando la testa e voltandosi dall’altra parte, ma non lo fanno.
Tra i premiati c’era anche il nostro direttore. Ha voluto condividere il premio con i rappresentanti della redazione lì presenti e dedicarlo al nostro carissimo amico e collega Pablo Medina ammazzato dalla mafia Paraguayana pochi giorni fa.
Ne siamo onorati. Lo consideriamo un riconoscimento non tanto all’impegno e ai sacrifici, ma all’idealismo e alla speranza.
Gli spettatori più importanti della giornata erano i ragazzi delle scuole medie e superiori di Pescara. Noi speriamo che gli sia rimasto questo messaggio: qualsiasi cosa accada, qualsiasi nefandezza vi troviate a fronteggiare nella vita, qualsiasi delusione, qualsiasi terribile verità vi può capitare di capire, resistete, non mollate!
Paolo Borsellino così come Giovanni Falcone erano uomini straordinari, ma non è necessario essere eroi, ognuno può fare la sua parte. Se ci si prende la responsabilità delle proprie azioni si diventa liberi di essere ciò che si vuole essere. Senza padroni, né padrini, né ricatti di sorta a cui sottostare. E’ la lezione di vita e dignità che abbiamo ereditato da questi Uomini, è il maggior patrimonio del nostro Stato, quello con la S maiuscola.

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