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mori-gelliNei nuovi atti depositati la possibile vicinanza di Gelli all’ex capo del Ros
di Lorenzo Baldo - 16 settembre 2014
Palermo. Il generale Mori sarebbe stato iscritto alla loggia massonica “P2” agli ordini di Licio Gelli? Nei nuovi atti depositati al processo sulla trattativa Stato-mafia una risposta definitiva non c’è. Mettendo insieme altri pezzi di questo intricatissimo puzzle, però, l’ombra del “Venerabile” Gelli appare decisamente vicina alla figura dell’ex capo del Ros. Che, volente o nolente, appare sempre di più al servizio di determinate logiche di potere. Dalle carte, inviate ugualmente alla Procura Generale (che dovrà decidere se acquisirle al processo di appello a carico degli ex ufficiali del Ros Mori e Obinu) emergono dettagli decisamente importanti. Le recenti dichiarazioni di Mauro Venturi, un ufficiale dei Carabinieri che nel 1971 lavorava al Sid (Servizio Informazioni difesa, ex Sismi, attuale Aise, dove Mori ha prestato servizio dal ’72 al ’75, ndr), confluite in un verbale di interrogatorio sono alquanto emblematiche.

All’epoca Venturi era responsabile di segreteria del Raggruppamento centri di controspionaggio di Roma (una sorta di coordinamento dei vari centri del Sid). Dal ’72 al ’75 Mori diviene il numero 2 dell’Ufficio di Venturi. Ma soprattutto Mori è un vero e proprio “pupillo” di Federico Marzollo, ex ufficiale dei Carabinieri al Servizio Informazione Difesa, di fatto la persona più vicina all’ex direttore del Sid Vito Miceli (uomo di Licio Gelli, che aveva predisposto la struttura parallela del Sid finalizzata ad organizzare un colpo di Stato tra il ’73 e il ’74 chiamata la Rosa dei Venti, ndr). Nelle carte depositate si legge che lo stesso Mori aveva “il vizio degli anonimi” elaborati dal Servizio per poi essere mandati alle varie agenzie di stampa. Secondo Venturi Mori “era considerato nel Sid dell’epoca come il soggetto designato da Marzollo per gestire i rapporti con ‘Op’ di Mino Pecorelli”, a suo dire l’ex capo del Ros si sarebbe recato più volte nella sede dell’agenzia di “Op” per “redigere anonimi con le macchine di ‘Op’” affinché il destinatario ne attribuisse la provenienza a Pecorelli, ovviamente con la consapevolezza dello stesso direttore di “Op”.

Le fonti
L’ex capo del Ros aveva come “fonte fiduciaria” l’imprenditore Gianfranco Ghiron, fratello di Giorgio Ghiron, noto alle cronache come l’avvocato fiduciario di Vito Ciancimino (coinvolto nell’inchiesta della Procura di Palermo sul patrimonio dell’ex sindaco mafioso, già condannato a cinque anni e quattro mesi per riciclaggio, deceduto nel 2012, ndr). Secondo Mauro Venturi lo stesso Gianfranco Ghiron, oltre ad essere una “fonte” del Sid, sarebbe stato introdotto nei servizi segreti americani. Di fatto i fratelli Ghiron (entrambi deceduti, ndr) lavoravano per il Sid mantenendo come unico riferimento Mori. A detta dello stesso Venturi Gianfranco Ghiron sarebbe stato legato alla “destra più nera” e “per questo si trovava benissimo con Mori che all’epoca era nero quanto lui”. “Mori negli anni di permanenza al Sid nel mio ufficio cercava insistentemente di convincere anche me ad iscrivermi alla P2 – racconta ancora Venturi ai magistrati – e in particolare diceva sempre che non era una loggia massonica come tutte le altre del passato. Mi disse che Gelli in quel momento storico era interessato come non mai ad affiliare persone del Sid e mi propose di andare insieme a casa di Gelli dicendomi che io, come toscano, gli sarei stato particolarmente gradito. Io ero titubante e preoccupato delle eventuali conseguenze…”. Venturi specifica quindi che lui non si iscrisse mai alla P2 sottolineando l’atteggiamento protettivo dell’ex capo del Ros. “Mori mi disse di non preoccuparmi perché era garantito per tutti quelli del Sid un inserimento in liste protette, separate da tutte le altre liste”.

Vecchi verbali recuperati
In un verbale del 1975 reso da Gianfranco Ghiron al giudice istruttore di Brescia Giovanni Arcai (che indagava sulla presenza dell’eversione nera a Brescia a un anno dalla strage di Piazza della Loggia, ndr) lo stesso Ghiron parla tranquillamente del suo rapporto di amicizia, confidenza e di collaborazione con Mario Mori per poi specificare l’esistenza di una “fonte” chiamata “Amedeo Vecchiotti” che aveva come nome di copertura “Piero”. Questa “fonte” si trovava in carcere per reati legati all’eversione nera. Ghiron mette quindi in contatto la sua fonte “Piero” con Mario Mori. Ghiron racconta di aver ricevuto un biglietto firmato “Piero” del 5 novembre ’74 (consegnato ai magistrati dell’epoca), in questo biglietto “Piero” dice testualmente: “Ho saputo che la settimana prossima Licio Gelli partirà dall’Italia per andare in Francia e dalla Francia in Argentina perché è stato messo in pre-allerta in vista di un mandato di cattura. Comunicalo immediatamente e con urgenza a Mori. Dico ciò perché se la partenza di Gelli danneggia mister Vito (Miceli, ndr) lo fermi, oppure se pensano che è meglio che vada lo lascino andare. Mi raccomando che queste notizie non arrivino mai a Maletti, uno che si caca sotto di fronte a un giudice di 34 anni e per questo attacca un collega suo superiore. Uno che si comporta così è un concentrato di merda”. In quegli anni al Sid c’era una forte spaccatura tra l’ex generale Gianadelio Maletti e l’ex capo del Sid Vito Miceli. Il magistrato di 34 anni citato è indubbiamente l’ex giudice istruttore di Padova Giovanni Tamburino (fino allo scorso giugno capo del Dap, ndr), che stava indagando sulla Rosa dei venti. I magistrati del pool hanno per altro riscontrato, attraverso documenti dell’Aise, che spesso il criptonimo utilizzato da Mori per determinate operazioni era quello di “dottor Giancarlo Amici”.

Una fototessera mancata
In un recente interrogatorio reso da Giovanni Tamburino (ugualmente confluito nei documenti depositati al processo trattativa e inviati alla Procura Generale) l’ex giudice istruttore di Padova spiega le ragioni per le quali nel dicembre del ’74 aveva mandato al Sid una richiesta urgente con la quale chiedeva che fosse trasmessa all’Autorità Giudiziaria di Padova un’immagine fotografica di Mario Mori. Tamburino sottolinea che quella richiesta era collegata alla sua inchiesta sulla Rosa dei venti a seguito dell’arresto dell’ex generale Amos Spiazzi per associazione eversiva. L’ex capo del Dap racconta ai magistrati che lo stesso Spiazzi (legatissimo a Federico Marzollo) aveva ammesso di avere attivato la “costola veneta” della Rosa dei venti, seguendo determinati ordini dalla “linea di comando”, a seguito di un incontro avvenuto sul lago di Garda con un “capitano dei carabinieri” il cui nome non aveva mai saputo. Il giudice Tamburino avrebbe voluto far vedere la foto di Mori (che in quel periodo era appunto un capitano dei Carabinieri) ad Amos Spiazzi, ma 20 giorni dopo la ricezione della fototessera di Mori, a seguito di una sconcertante decisione della Cassazione, l’inchiesta sulla Rosa dei venti gli era stata tolta e non se ne era fatto più nulla. Tamburino si era sentito letteralmente defraudato, ma col passare degli anni si era reso conto che togliendogli quell’inchiesta paradossalmente gli era stata risparmiata la vita.

Il grande vecchio
In questa spy-story c’è un grande vecchio che, a suon di ricatti, ha tenuto in pugno (e probabilmente, in parte, ancora tiene) un Paese intero: Licio Gelli. Quello stesso “Venerabile” che inevitabilmente entra nelle nuove indagini del pool e che a suo tempo aveva animato l’inchiesta “Sistemi criminali” istruita principalmente dall’attuale Procuratore Generale di Palermo Roberto Scarpinato. La lettera anonima recapitata nei giorni scorsi al dott. Scarpinato potrebbe essere partorita da quelle stesse “menti raffinatissime” collegate al “protocollo Farfalla”; quegli apparati, che deviati non sono, probabilmente fautori delle lettere anonime inviate in questi mesi al pm Nino Di Matteo. E’ fin troppo evidente che queste “entità” sono letteralmente irritate da queste inchieste. Nonostante la stragrande maggioranza delle istituzioni – ai suoi massimi livelli – continui a manifestare insofferenza nei confronti delle indagini sul biennio stragista ‘92/’93 c’è ancora la possibilità di ricostruire la storia più occulta del nostro Paese. Ma è decisamente una lotta contro il tempo.

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