di Aaron Pettinari - 20 luglio 2014
“Il protocollo farfalla esiste abbiamo la prova documentale”. A dirlo è stato il vice presidente della Commissione antimafia, Claudio Fava, intervenuto al convegno conclusivo della tre giorni di commemorazioni per le stragi di via d'Amelio. Dichiarazioni importantissime se si considera che si tratta di uno degli oggetti più oscuri che avrebbe regolato i rapporti tra i servizi segreti e il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Un accordo segreto, all’insaputa dell’autorità giudiziaria, creato apposta per regolare il flusso delle informazioni provenienti dai boss mafiosi reclusi in regime di 41 bis e che permetteva ai rappresentanti dei servizi di entrare ed uscire dalle carceri senza lasciare traccia. Affermazioni, quelle del vice presidente ex Sel (oggi al gruppo Misto, ndr) che ribaltano quanto dichiarato in passato dal Presidente, Rosy Bindi. Era lo scorso marzo, quando la Commissione Parlamentare antimafia si trovava a Palermo per audire i magistrati della Procura di Palermo in seguito alle minacce subite dagli stessi (tra cui anche quegli ordini di morte di Riina proclamati dal carcere di Milano, ndr), il Presidente Bindi aveva escluso l'esistenza del protocollo farfalla rispondendo così ad una domanda del nostro direttore Giorgio Bongiovanni: “Per quel che ci riguarda abbiamo fatto un pezzo di strada, questo protocollo non esisteva. Magari esistevano dei comportamenti che giustamente ad un certo punto si è sentito la necessità di regolare”.
Onorevole Fava, lo scorso marzo la Presidente della Commissione antimafia Bindi ha negato l'esistenza del protocollo fantasma. Lei questa sera ha parlato di nuovi elementi che dimostrano tutt'altro. Ha parlato di prove.
“In Commissione per il momento abbiamo fatto delle audizioni. Abbiamo chiesto conferma dell’esistenza di questo protocollo al ministro della Giustizia e al ministro dell’Interno in quanto l’amministrazione penitenziaria e il servizio di sicurezza fanno riferimento a questi due rami e alla Presidenza del Consiglio. E le risposte avute da loro è stata la smentita dell' esistenza. Noi non ci siamo fermati, abbiamo continuato. Un lavoro di Commissione che è presieduta dalla stessa onorevole Bindi, non certo un lavoro fatto solo da alcuni di noi. E' durante queste iniziative che alla fine il direttore dell’Aisi, non so con quanta felicità, si è trovato costretto ad esibire la prova fisica, cioè il testo scritto di questa convenzione, che recupera un protocollo già costruite in passato e che non esisteva nel senso fisico. Il protcollo farfalla è stato poi ripreso in una convenzione scritta dal Dap e dei Servizi ed è oggetto tutt'ora della preoccupata attenzione di questa Commissione”.
Preoccupazione in che termini?
Da parte mia perché credo che un uso non attento di quel che prevede questa convenzione rischia di aprire delle falle preoccupanti nel sistema di gestione e di impermeabilità che si è costruito in questi anni attorno ai detenuto al 41 bis. La preoccupazione che dentro le carceri italiane qualcuno dei servizi possa essere mandato non per prevenire gli attentati ma per avere notizie dall’interno delle carceri per sapere cosa stava per accadere. Preoccupazione che certi soggetti potessero in qualche maniera intervenire se qualche detenuto avesse avuto qualcosa da raccontare avviando una collaborazione con la giustizia. Una preoccupazione legittima che è stata anche confermata da alcuni magistrati.
Ha detto che prossimamente a Roma ascolterete la testimonianza del direttore del carcere di Opera. Approfondirete il tema delle dichiarazioni di Riina con il detenuto Lorusso?
Certamente non lo ascolteremo per parlare del carcere di Opera. Ma ci concentreremo in particolare sulla gestione del detenuto Salvatore Riina.