Ibridi connubi nella deposizione dell’ex boss catanese
di Lorenzo Baldo - 3 luglio 2014 - Audio
Palermo. Ritardi. All’italiana, si potrebbe dire. Sta di fatto che l’audizione dell’ex boss catanese Maurizio Avola all’udienza odierna al processo Trattativa inizia con tre ore di ritardo. Nonostante la procura di Palermo avesse provveduto da metà giugno a informare chi di dovere della citazione del suddetto teste, allo stesso Avola viene comunicato ufficialmente solamente questa mattina (con tutte le conseguenze che una simile tempistica comporta). Decisamente uno strano ritardo, di cui, allo stato, non è dato sapere se sia o meno riconducibile al Dap, al suo legale o ad altri. Solo alle 13:00 si entra nel vivo. Il killer del direttore de “I Siciliani” Pippo Fava è collegato in videoconferenza da un sito riservato. Rispondendo alle domande del pm Francesco Del Bene Avola ripercorre la sua carriera criminale che lo ha portato a compiere più di 80 omicidi per conto della cosca Santapaola. Per quasi 10 anni, dal 1984 fino al 1993, è un feroce assassino di Cosa Nostra, nonché esperto di esplosivi. Nel mese di febbraio del ’93 viene arrestato, un anno dopo decide di collaborare. Da quel momento parla di fatti di mafia, ma anche di politica, istituzioni e servizi segreti. In tutti questi anni i nomi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri tornano molto spesso nelle sue dichiarazioni.
“Dietro le bombe del ‘92 e ‘93 ci sarebbe il disegno politico di una lobby imprenditoriale. I personaggi che avrebbero stretto un patto scellerato con Cosa Nostra appartengono al mondo dell’alta finanza, della politica e dei servizi deviati”, aveva detto fin dall’inizio della sua collaborazione. Maurizio Avola aveva già raccontato di alcune riunioni svoltesi nella provincia di Messina. “Eravamo agli inizi degli anni ‘90 e Nitto Santapaola era latitante da quelle parti. Anche lui (Santapaola, ndr) avrebbe preso parte a quegli incontri organizzati con Dell’Utri. I motivi delle visite siciliane del manager di Publitalia erano due: porre un freno agli attentati organizzati da noi catanesi contro la Standa e pianificare una serie di investimenti della mafia nei Paesi dell’Est”. Ma l’ex boss aveva anche parlato del piano per eliminare l’ex pm Antonio Di Pietro. “In epoca successiva alle stragi, durante un colloquio con Marcello D’Agata (consigliere di Nitto Santapaola, ndr) – aveva raccontato Avola agli investigatori –, questi ebbe ad accennarmi al proposito di ‘fare un altro favore ai politici’ uccidendo il dottor Antonio Di Pietro”, precisando che l’eliminazione di Di Pietro sarebbe stata richiesta a Cosa Nostra “per tutelare presunti interessi illeciti dell’on. Bettino Craxi e del sen. Cesare Previti, messi in pericolo dalle indagini del magistrato”. In aula Avola racconta di quell’incontro avvenuto all’hotel Excelsior di Roma, in cui erano presenti Cesare Previti, il finanziere Pierfrancesco Pacini Battaglia, i boss Eugenio Galea e Marcello D’Agata, il massone Michelangelo Alfano e un tale “Sariddu” che poi aveva scoperto essere l’ex avvocato barcellonese condannato per associazione mafiosa Rosario Pio Cattafi. L’ex killer aveva già raccontato ai magistrati di quanto era venuto a sapere all’interno di Cosa Nostra in merito alle dichiarazioni dei boss catanesi Aldo Ercolano (Vice di Sanpapaola, ndr) ed Eugenio Galea, di ritorno da una riunione con Totò Riina in cui si era deciso di “attaccare lo Stato” e di “creare un nuovo partito politico nel quale inserire uomini di Cosa Nostra incensurati, che avrebbero così potuto curare direttamente gli interessi di Cosa Nostra”. Davanti alla Corte di Assise presieduta da Alfredo Montalto l’ex boss specifica che quel nuovo partito “doveva intervenire e si dovevano cambiare tutte cose”. “Stiamo aspettando un segnale forte da Dell'Utri e da Michelangelo Alfano, un grosso massone, che non conosco”, gli avrebbe infatti confidato Eugenio Galea. Per seguire l’iter di quella strategia stragista, tra fine aprile e i primi di maggio del ‘92, l’ex killer di Cosa Nostra era stato mandato a Firenze proprio per studiare gli obiettivi da colpire attraverso determinati atti intimidatori. Sul punto specifico lo stesso Avola aveva già spiegato agli inquirenti che in quel periodo Cosa Nostra aveva come “obiettivo ultimo quello di dare una ‘spallata’ al vecchio sistema politico e creare le condizioni idonee perché si affermasse quella nascente forza politica di cui Galea aveva appreso nel corso di quella riunione (Forza Italia, ndr)”. Tutto ciò con azioni di tipo terroristico da rivendicare con il nome di “Falange armata”. Davanti alla Corte l’ex boss catanese spiega che quella sigla non apparteneva assolutamente al repertorio di Cosa Nostra. Di fronte ad alcune contestazioni del pm per qualche suo vuoto di memoria, Maurizio Avola ricostruisce (a volte faticosamente, altre più speditamente) episodi e circostanze già cristallizzate nei verbali di diverse procure.
Quell’esplosivo “militare”
“Prima della strage di Capaci consegnammo a Termini Imerese (Pa) alcuni pacchi con dell’esplosivo che proveniva dalla ex Jugoslavia. Si trattava di panetti da 5 chili avvolti in un involucro chiuso dentro nascosti in casse su cui c'era la scritta T4”. A domanda del pm Di Matteo Avola specifica l’appartenenza “militare” di quell’esplosivo.
Cattafi, il principe nero
Si torna quindi a parlare dell’ex avvocato di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) Rosario Pio Cattafi, considerato anello di congiunzione tra clan siciliani, apparati dello Stato e alta finanza. Alcuni anni fa lo stesso Avola aveva già tracciato il profilo criminale di quest’ultimo. Come è noto Cattafi è stato arrestato nel 2012 nell’ambito dell’operazione antimafia “Gotha 3”, condannato a 12 anni per associazione mafiosa e attualmente è detenuto al 41bis. “Tramite Cosa Nostra so chi è Saro Cattafi, ma di persona non lo conosco – aveva dichiarato alcuni anni fa Avola –. So, per quello che mi fu detto da Calogero Campanella, che apparteneva ai servizi segreti, che scambiava favori con personaggi dei servizi, ci faceva dei favori, degli omicidi e loro ci facevano passare della droga, coprivano i reati, diciamo … questo io l’ho saputo nel febbraio 1994, tramite un trasferimento in aereo da Catania ad Ancona, ho viaggiato insieme a Calogero Campanella, che era il capo decina della famiglia Santapaola … eravamo tradotti tutti e due con l’aereo militare … certe volte delle discussioni [da Barcellona Pozzo di Gotto, ndr] le portava il Gullotti tramite il Cattafi, invece di venire lui a Catania, li portava il Gullotti; cioè il referente era Gullotti per i catanesi … Io so che [Cattafi, ndr] ha avuto un incontro a Roma con un certo Battaglia, se si chiama Filippo non lo so … io so che si dovevano incontrare con altri personaggi a Roma per fare una certa … e comunque si doveva fare questo favore a dei socialisti [uccidere Antonio Di Pietro, ndr] che si stavano organizzando per rientrare nelle fila del … io sono cresciuto vicino ad un consigliere della famiglia Santapaola e dovevo essere io uno degli autori, perché ero un killer fidato della famiglia … era il ‘92, dopo le stragi di Capaci, era settembre … a me, come mi dicevano i consiglieri, il favore si doveva fare a Craxi e il socialismo che ritornava un po’ alla normalità … [Cattafi, ndr] ha fatto incontrare queste persone in albergo … il consigliere nostro con persone di Roma in un albergo romano per concordare la strage, perché la strage la dovevamo fare noialtri … [l’albergo era, ndr] l’Excelsior a Roma… che si doveva fare questa operazione diciamo noi altri e ritornare un po’ nella normalità … perché Catania è tartassata ormai da blitz, pentiti … [questo attentato si doveva fare, ndr] al Nord Italia … serviva in parte ci serviva perché essendo un’altra grossa strage al Nord, ci toglieva il pensiero della Sicilia”. E ancora: “so che [Cattafi, ndr] ha avuto degli incontri con Carletto Campanella, dove voleva … voleva avvisare Benedetto Santapaola che lo stavano arrestando … e lui parlava con Carletto Campanella di traffichi di droga che lui faceva favori per i servizi segreti, in cambio passava un quantitativo enorme di droga … solo che il Carletto Campanella era al 41 bis e non è riuscito a fare filtrare la notizia a Catania … non lo so se è riuscito a parlare che era carcerato o era libero … lui raccontava a Carletto Campanella che aveva fatto dei favori, in servizi segreti … Cattafi. Il Cattafi, sì … e entravano enormi quantitativi di droga dalle frontiere, cioè non facevano fare le perquisizioni … poi ho sentito anche D’Agata Marcello, sentire parlare di questa persona che aveva queste amicizie [nei servizi segreti, ndr]”. Pur senza entrare troppo nello specifico (a volte con qualche esitazione a fronte delle contestazioni del pm), l’ex killer di Cosa Nostra conferma di fatto in aula queste precedenti dichiarazioni. Che, per quanto riguarda Cattafi e i suoi legami “extra Cosa Nostra”, si intersecano con quelle rese da Filippo Malvagna lo scorso 27 giugno.
Strane convergenze
Nella scorsa udienza il nipote dell’ex boss catanese Giuseppe Pulvirenti, detto “U Malpassotu”, aveva raccontato di essere andato a visionare un immobile che si trovava tra Taormina e Letoianni destinato a diventare sede di riunioni di mafia “dove dovevano partecipare imprenditori, gente delle istituzioni, si parlava di roba di massoneria. E dove dovevano essere decisi dei grossi affari che si prospettavano per la Sicilia”. A detta dello stesso Malvagna Cattafi era proprio “una delle persone più interessate a portare questi personaggi in questa abitazione” in quanto aveva “agganci con
il mondo dell'imprenditoria, qualcuno delle istituzioni, cioè faceva parte della massoneria”. Prossima udienza giovedì 10 luglio con l’audizione del collaboratore di giustizia Antonino Galliano.
AUDIO by Radio Radicale
Processo Bagarella Leoluca + 9 (Trattativa stato-mafia)
Palermo, 3 luglio 2014 - 3h 46' 41"
DOSSIER Processo trattativa Stato-Mafia
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