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ingroia-antoniobig2di Aaron Pettinari - 11 maggio 2014
L'ex pm commenta la sentenza e aggiunge: “Lo Stato non doveva permettere la fuga in Libano”
“Marcello Dell'Utri era l'ambasciatore di Cosa nostra all'interno di uno dei gruppi finanziari più potenti del Paese”. Con queste parole l'ex pm Anonio Ingroia, durante la requisitoria al processo di primo grado contro l'ex senatore di Forza Italia, aveva definito il ruolo dello stesso. Vent'anni dopo la corte di Cassazione ha messo definitivamente un punto sulla vicenda Dell'Utri condannando quest'ultimo a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
“E' possibile dire che, seppur dopo tanti anni, finalmente giustizia è fatta – commenta lo stesso Antonio Ingroia – Da parte di chi come me, ma penso che possa valere lo stesso per il collega di allora Nico Gozzo ed il nostro procuratore capo Gian Carlo Caselli, ha istruito quel procedimento avviando le indagini nel 1994 questa sentenza può essere vista con soddisfazione perché conferma la solidità dell'impianto probatorio ed accusatorio.

Un procedimento che in vent'anni è stato oggetto di una continua campagna di denigrazione e di disinformazione. Penso alle parole spese per etichettare l'indagine come 'campata sul nulla' o 'approntata per fini politici' in quanto Dell'Utri era entrato in politica ed era un uomo di Berlusconi. Accuse che stravolgevano la realtà in quanto si è poi rappresentata la verità, ovvero che Berlusconi è entrato in politica per sfuggire alla giustizia mentre Dell'Utri si è messo in politica per garantire gli interessi dell'organizzazione mafiosa come sempre aveva fatto. Questa sentenza sgombra il campo da queste accuse, e per questo si può essere soddisfatti, anche se c'è un misto di amarezza”.

In che termini parla di amarezza?
Io non parlo soltanto da ex pm, ma da cittadino. La mia idea di giustizia è che ognuno debba rispondere di ciò che ha commesso. Partendo da questo presupposto ecco che oggi questa sentenza genera in me un doppio sentimento. Da una parte, come dicevo in precedenza, la soddisfazione ed il sollievo. Dall'altra l'amarezza per una giustizia che solo apparentemente è uguale per tutti. Ed i motivi sono diversi. Per arrivare a questa sentenza è davvero passato troppo tempo e i tempi lunghi sono nemici della giustizia. Per un poveraccio la sentenza definitiva spesso arriva dopo pochi mesi, per un potente arriva troppo tardi. Ci sono voluti 20 anni per Dell'Utri, vent'anni durante i quali ha potuto fare di tutto, dentro e fuori il Parlamento. E' stato il braccio destro di chi ha guidato il nostro Paese per tanti anni continuando a commettere anche altri reati protetto da un Parlamento di inquisiti che in un'occasione lo ha pure salvato dall'arresto. Di fronte ad una palese attività di inquinamento probatorio noi chiedemmo l'arresto alla Camera e, nonostante non vi fosse una maggioranza composta da membri di Forza Italia, il Parlamento permise la sottrazione all'arresto rispedendo al mittente la richiesta del Gip di Palermo. Una storia che è proseguita anche con il tentativo di espatrio a Santo Domingo, dove Berlusconi aveva comprato per lui persino una villa, alla vigilia della prima sentenza della Cassazione. Noi aprimmo anche un procedimento penale. Poi la Cassazione, in una sentenza che possiamo con un eufemismo definire bizzarra, decise per l'annullamento con rinvio in Appello della prima sentenza Dell'Utri.
E si resta amareggiati se si guarda alla situazione di oggi perché di fatto si è consentito ad un condannato di sfuggire all'esecuzione della condanna recandosi in Libano. Un condannato che oggi campeggia con la sua foto sulle prime pagine di tutti i giornali, ospite in un ospedale di Beirut.

Cosa rappresenterebbe per lo Stato italiano la mancata estradizione di Dell'Utri?  
Sarebbe una sconfitta ed uno schiaffo a tutti i cittadini onesti che si ispirano a quel principio di responsabilità di cui parlavo precedentemente. Sarebbe l'ulteriore conferma che i potenti in un modo o in un altro trovano sempre l'escamotage per restare impuniti, approfittando del cavillo o dell'inghippo giuridico pur di farla franca. Il legale libanese di Dell'Utri si dice certo di poter assicurare la scarcerazione al proprio assistito evitando proprio l'estradizione. Certo non conosco nel completo le leggi libanesi ma se accadesse una cosa del genere lo Stato italiano sarebbe doppiamente colpevole per non essersi premunito nell'evitare una situazione del genere. Il pericolo di fuga di Dell'Utri era evidente perché c'era già stato il precedente di Santo Domingo. Anche allora i giornalisti avevano provato a telefonare all'ex senatore e rispondeva una segreteria telefonica in spagnolo. Sarebbe stata necessaria un'ordinanza di carcerazione preventiva o quantomeno la diffusione di un preallarme a tutte le polizie di frontiera che avrebbero fermato ed impedito la fuga di Dell'Utri.

Secondo lei si può essere ottimisti o pessimisti rispetto all'estradizione di Dell'Utri? Recenti indagini hanno dimostrato che anche il latitante Matacena, in contatto con Scajola, stava cercando di recarsi in quello Stato.
Storicamente il Libano è sempre stato sede di latitanze dorate. Matacena alla fine è riuscito ad evitare l'arresto passando dagli Emirati Arabi dove non ci sono gli accordi internazionali che invece sono presenti con il Libano. Certo ora sarà una battaglia molto dura perché bisogna capire se quello Stato riconoscerà la configurazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. E personalmente credo che questa debba essere una battaglia che qualsiasi Governo dovrebbe avere tra i primi punti della propria agenda. Nella consapevolezza che la nostra normativa giuridica presenta i reati di associazione mafiosa e di concorso esterno si deve fare in modo che anche gli altri Stati riconoscano questo tipo di reato. Va trovato il modo per raggiungere un accordo chiaro con tutti gli altri Stati, europei e non solo. Perché non è possibile che vi siano Paesi che possano ospitare persone condannate per mafia. E questa dovrebbe essere una priorità della nostra politica nazionale. Altrimenti avremo sempre fughe di questo tipo.  

La sentenza di condanna nei confronti di Dell'Utri quanto può rafforzare l'accusa nei confronti dello stesso rispetto al contesto della trattativa Stato-mafia?
La condanna di Dell'Utri è sicuramente importante perché mette definitivamente un paletto in quanto egli è stato ambasciatore di interessi di Cosa nostra. Da questo presupposto si rafforza l'imputazione in quanto i rapporti avuti fino al 1992 rafforzano la credibilità di Dell'Utri come mediatore dell'interesse di Cosa nostra anche per la conclusione della trattativa e l'individuazione del nuovo referente politico “post prima Repubblica”. Sicuramente per i colleghi che stanno seguendo il processo trattativa questa sentenza rappresenta un bel passo avanti. E a chi dirà che Dell'Utri è stato assolto per il periodo successivo al 1992 si può comunque replicare che nel processo per concorso esterno non sono stati acquisiti diversi elementi probatori che sono invece stati raccolti in questi anni, e che giustamente entrano nel dibattimento sulla trattativa Stato-mafia, che mettono in evidenza proprio la continuità di contatti di Dell'Utri con Cosa nostra anche nel periodo successivo.

Guardando all'Italia di oggi alla vigilia delle europee. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un partito fondato da Cesare Previti, condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari, da un latitante condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e da un condannato in via definitiva per frode fiscale, questo partito si prepara ad affrontare le elezioni europee. Come siamo arrivati a tutto ciò e perché il nostro Paese si è assuefatto a un simile obbrobrio?
Purtroppo dobbiamo con amarezza registrare che, al di là di questi casi limite, noi abbiamo un Paese che da decenni e decenni ha deciso di convivere con la mafia. Le classi dirigenti che si sono avvicendate negli anni hanno dato questo tipo di esempio. Se si escludono i momenti di vera emergenza la politica ha fatto dell'antimafia una lotta di facciata senza lo sviluppo di un progetto o di una strategia volta alla reale eliminazione del fenomeno. La convivenza con la mafia, l'accettazione della convivenza con i poteri criminali è purtroppo nel Dna del nostro Paese, presente persino all'origine dello Stato italiano. E questo a causa della devianza illegale insita nella nostra classe dirigente. Questa tendenza oggi appare sempre più evidente e diffusa. Il ricorso alle condotte illecite è stata abitudine non solo per raggiungere i propri interessi ma anche per risolvere conflitti politici e per mantenere il proprio potere, ricorrendo persino agli omicidi ed alle stragi. E' questa la parte più oscura del nostro Paese che non siamo riusciti a rimuovere e che purtroppo trova terreno fertile nella tendenza dalla tolleranza e all'indulgenza da parte della società. La famosa trattativa Stato-mafia, l'ultima indagine da me condotta come magistrato, credo che abbia riepilogato molto bene questo sistema di connivenza. Quando io mi sono detto pessimista è stato perché osservavo questo sistema che, così come è oggi, non lascia speranze per cambiare le cose. L'unico modo per cambiare è quello di rivoluzionare e rivoltare il sistema, spazzando via la classe dirigente ma anche creando una nuova rivoluzione culturale. Dobbiamo dire che c'è anche una parte sana dell'Italia che con alti e bassi riesce a contrapporsi a questa situazione. Spesso però è storia che ha prevalso quella che ha fatto della connivenza con l'illegalità la propria base. E il ventennio di berlusconismo, che poi è stato quello di Previti, di Dell'Utri, e così via è stato la rappresentazione enfatica di questa Italia. E non è soltanto “eliminando l'enfasi” che si risolve il problema. Anzi, abbiamo visto come questa tendenza all'illegalità abbia riguardato indistintamente tutti gli schieramenti della politica, sia quello di destra che quello di sinistra.

Ciliegina sulla torta abbiamo un premier che continua ad incontrare un condannato per frode fiscale per discutere di riforme: davvero non c’è più speranza per l’Italia?
Beh questa immagine è emblematica. Al di là della considerazione politica che si può fare su Renzi, figlio del ventennio berlusconiano, sia per l'uso dell'immagine e degli slogan che sul piano dei contenuti. Basta anche guardare l'uso che si fa anche della lotta alla corruzione e della lotta alla mafia. Penso alla declamazione della nomina di Cantone, bravissimo magistrato, come Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, senza che poi venga cambiata la legislatura o che gli vengano forniti i poteri giusti per fare vera pulizia. Oppure lo sbandieramento delle buone intenzioni manifestate nella lettera a risposta alla provocazione di Roberto Saviano. Tante parole professate per poi “partorire un topolino”. Basti guardare quanto avvenuto nella tormentata vicenda per la riforma del 416 ter. Una legge che a mio parere non ha risolto nulla dei problemi che c'erano. Per questo credo che la strada per arrivare ad una nuova Italia sia ancora lunga e difficile. Però con questo non significa che dobbiamo lasciarci abbattere. Tutt'altro. E sentenze come quella Dell'Utri dimostrano che c'è un presidio dentro la magistratura volto a riaffermare il principio d'uguaglianza di fronte alla legge. Sentenze che contribuiscono ad alimentare proprio la speranza che vi possa essere un cambiamento.

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