Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di-matteo-sc-argentinadi Jean Georges Almendras - 27 aprile 2014
Sostegno sudamericano al giudice di Palermo, Nino Di Matteo condannato a morte da Cosa Nostra
Sono le dieci del mattino di sabato 19 aprile 2014. Un grande cartellone risalta al margine di una piazza alberata nel quartiere Parque Independencia, all’incrocio tra la Via Montevideo e Bulevar Oroño, della città di Rosario, a pochi metri dai Tribunali. Il cartellone recita: “TODOS SOMOS FISCAL DI MATTEO” (Siamo tutti il giudice Di Matteo). Lo sostiene un gruppo di persone: giovani, uomini e donne, persino bambini e adolescenti, guidati dal direttore e fondatore della rivista italiana AntimafiaDuemila Giorgio Bongiovanni e da un membro della Redazione del sito web Antimafia argentina, l’avvocato e giudice di distretto Juan Alberto Rambaldo. Il cartellone è collocato di fronte al consolato italiano. E' una mattinata di sole e da un altoparlante viene manifestato l’appoggio cittadino ad un giudice italiano che a Palermo, in Sicilia, sta conducendo un processo storico (che mette in cattivissima luce lo Stato italiano), e per questo motivo è stato condannato dalla mafia (o, a giudicare dai vincoli che legano entrambi, dallo Stato?) Il processo del quale si sta occupando Di Matteo cerca di far luce in primo luogo sulle negoziazioni o trattative avvenute tra lo Stato e la mafia attorno agli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a Palermo, nel 1992.

Ma si lega anche con gli attentati esplosivi avvenuti in altre bongiovannicittà di Italia, (Roma, Firenze e Milano) avvenute nel 1993, che costarono la vita a cittadini italiani. Quindi vengono presi in esame i possibili legami tra uomini d'onore (i mafiosi) e uomini di Stato. Si tratta di omicidi ideati, pianificati e compiuti da mafiosi siciliani, in connivenza, niente più e niente meno che con personaggi dello Stato italiano come servizi segreti, generali, carabinieri, politici, ecc? Ed è appunto questo l’oggetto delle indagini di Di Matteo, poiché tutto lascerebbe intendere che lo Stato italiano ebbe, e ha ancora oggi a che vedere con le tragedie che colpirono l’isola siciliana provocate dal cancro che da oltre 150 anni tormenta questo popolo e il pianeta. Un cancro che ha nome e cognome: Cosa Nostra.
Dando uno sguardo al passato possiamo dire che i tragici eventi di Palermo che hanno motivato questa manifestazione risalgono al 1992 (ovviamente senza dimenticare le migliaia di vittime cadute in periodi antecedenti) ma ancora oggi nel 2014 si sentono le ripercussioni. E' forse per un capriccio del giudice Di Matteo, e di altri magistrati suoi collaboratori, che stanno svolgendo un processo che mira a smantellare un’impunità repellente che ha come stendardo proprio lo Stato italiano, che le acque turbolente degli anni '90 si sono estese fino ai giorni nostri? Assolutamente no. Non si tratta di un capriccio e non è un caso che adesso si stiano ancora mescolando i fatti del passato. È tutto frutto di un’indagine (principalmente inerente la Mafia siciliana) iniziata dai giudici Falcone e Borsellino 22 anni fa. Un lavoro di investigazione che purtroppo sfociò nella morte di entrambi, seminando terrore e sangue per le strade dell’isola. Un lavoro di investigazione che prosegue ancora oggi, con gli stessi rischi di allora, ma fortunatamente con alcune differenze. Una delle quali, la più importante, è la dimostrazione esplicita di solidarietà cittadina verso i magistrati che hanno a carico questa indagine e l’appoggio incondizionato di alcuni mezzi di comunicazione italiani, emblematici della lotta Antimafia, come ad esempio “Il Fatto Quotidiano” e la rivista “AntimafiaDuemila”, oltre ad alcuni giornalisti di "La Repubblica" a Palermo e il Movimento Popolare delle Agende Rosse di  Salvatore Borsellino, fratello di Paolo assassinato dalla mafia nel 1992.
todos-somos-di-matteoPer esprimere una considerazione, l'appoggio cittadino offerto al pubblico ministero nella città di Rosario, non è un fatto isolato. Si tratta di un episodio coerente che si inserisce nella linea della coscienza antimafiosa che inizia ad avere ripercussione mondiale, superando i regionalismi che non fanno altro che circoscriverla e limitarla. Sebbene la mappa del dominio della tradizionale mafia italiana si sviluppa in un certo territorio, il che ci permette di individuare con chiarezza come e in che modo questo cancro umano si sia sottilmente insediato nei centri di potere dell'Isola, avviene anche - e non è cosa da poco - che la mappa geografica del suo antagonista - l'antimafia - si trovi anche essa saldamente posizionata, tanto in Sicilia come fuori dalla stessa. Sono stati fatti passi avanti sotto quell'aspetto, ma è necessario – anzi è urgente - incrementare quella coscienza antimafiosa a livello internazionale.  
Come dicevamo prima, dalle dieci di quel sabato, sulle vie di Rosario si è sentito l’eco di un'indagine che oltre ad essere storica, risulta emblematica e di esempio per il mondo intero, perché starebbe per portare allo scoperto di fronte all'opinione pubblica italiana e mondiale, che lo Stato italiano ebbe tra le sue fila uomini che scesero a patti con la mafia e quindi contribuirono a far sì che quel cancro chiamato Cosa Nostra si ramificasse ancora di più nell'Isola, rafforzando deviazioni e degrado istituzionale. Lascia intendere l’importanza di questa indagine, della quale è titolare operativo il giudice Nino Di Matteo, insieme ai magistrati Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia, e Francesco Del Bene, il fatto che tutti loro, ed in particolare Di Matteo, sono stati condannati a morte dalla mafia. Lo ha detto chiaramente il boss Salvatore "Toto'" Riina durante un dialogo con un esponente dell'organizzazione criminale "Sacra Corona Unita", Alberto Lorusso, nel carcere dell’Opera di Milano, ma che fu provvidenzialmente intercettato dalla polizia giudiziaria della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo.
03Sotto il cielo azzurro rosarino e circondato da un gruppo di persone integrato da italiani, argentini, paraguaiani, uruguaiani e cileni il giornalista e fondatore della rivista AntimafiaDuemila, Giorgio Bongiovanni, ha dichiarato alla stampa locale che il "giudice Antonino Di Matteo è in questo momento il simbolo della lotta antimafia in Sicilia ed è stato condannato a morte da tutti i capi della mafia. Questo significa che sono migliaia i soldati mafiosi che possono ammazzare il magistrato in qualunque momento. Dopo le stragi che provocarono la morte dei giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel 1992, sono emerse complicità di uomini di Stato. Quando un capo della mafia dà un ordine di morte, va compiuto. Per questo motivo questa volta i cittadini italiani, e cittadini di tutto il mondo, vogliono esprimere la propria solidarietà con la loro presenza fisica per proteggere questo giudice e tutti i giudici che lottano contro la mafia. Questo è il motivo di questa convocazione".
"E quali rivelazioni potrebbe fare emergere questo processo denominato "trattativa Stato-mafia"?" ha chiesto a Bongiovanni il giornalista Paulo Menotti del diario rosarino El Ciudadano presente alla manifestazione. E Bongiovanni ha risposto che il giudice Di Matteo “potrebbe rivelare le connessioni tra governi e istituzioni dello Stato  e Cosa Nostra. Abbiamo ottenuto grandi risultati, ma ancora c’è molto da fare per sconfiggere la mafia. Infatti, questo giudice, affiancato da altri magistrati, sta conducendo un processo che per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana vede imputati davanti alla Corte non solamente mafiosi come sempre in passato. Questa volta ci sono ex senatori, ex ministri, alte cariche della polizia coinvolti con la mafia. Per questo motivo Di Matteo è oggetto di minacce ogni giorno, perché può scoprire qualcosa di molto inquietante come l'alleanza tra lo Stato italiano e la mafia".
Riguardo le connessioni della mafia il direttore di Antimafia Duemila ha detto che “le connessioni della mafia hanno a che vedere soprattutto con il 06commercio, con il narcotraffico, con la vendita di armi. Attività che spingono loro a creare delle connessioni tra loro e con i mafiosi colombiani, argentini, messicani, europei, ecc. La questione è che, con il potere che hanno, possono corrompere uno Stato intero. Le mafie fatturano in nero in Europa, e particolarmente in Italia, 150.000 milioni di euro l’anno. È una cifra mostruosa, in nero, e cash. Si tratta di camion e navi carichi di banconote."  
Ha aggiunto inoltre che “Ci sono forti connivenze mafiose tra italiani e ‘rosarini’, la mafia non deve essere considerata un fenomeno folcloristico, perché è invece un fenomeno che può devastare una società, una nazione. Le mafie si infiltrano nelle opere pubbliche. Se un governo ha in progetto di costruire qualcosa, un quartiere, un ospedale o altri edifici pubblici, offrono le tangenti fino ad appropriarsi dell’intero progetto di costruzione. Con il potere del denaro e con la minaccia della violenza, finiscono per imporsi. Così comprano i politici, ma anche l'appoggio dei cittadini comuni. In Sicilia, la mafia conta con un milione di voti. Quindi, un politico che vuole essere scelto è obbligato a parlare con il capo della mafia."  
La manifestazione si è svolta senza contrattempi. Senza disordini. Le porte e le finestre della sede consolare italiana sono rimaste chiuse. Nessuno al suo interno ha ricevuto i manifestanti. Senza alterare l'ordine pubblico questi sono rimasti sul posto circa 45 minuti. Il traffico circostante danzava all'unisono della melodia routinaria di una città che, secondo le autorità e la stampa, è frustata dal flagello dal narcotraffico e dalla corruzione nelle fila della polizia. A contrastare questa realtà, caratterizzata da contrattempi che rivelano sfacciatamente il deterioramento di questa società e la negligenza dei suoi governanti, un gruppo di rosarinos vicini al giornalista italiano e tutti i suoi collaboratori hanno manifestato pubblicamente - e liberamente - a favore di un operatore della giustizia al di là delle frontiere del suo paese.04 La parola d’ordine? Difendere il magistrato, cercare il modo di impedire che rimanga solo, che venga isolato, che sia vulnerabile.  
Oggi il Giudice Antonino Di Matteo vive scortato da una dozzina di uomini. Si vivono le stesse scene degli anni 90, quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino circolavano per le strade di Palermo in veicoli blindati, con gente armata, e l’occhio vigile. Nell'anno 2014, Di Matteo è condannato a morte. La sua libertà è stata infranta. Ma non la sua coscienza, né la sua etica. Ed a Palermo si vivono le stesse paure di due decenni fa. Nella zona di Palermo Centrale, dove risiede il Giudice, molti palermitani hanno scelto di vendere le proprie case perché vicine, troppo vicine, alla sua, ed allora meglio allontanarsi dall’area dove potrebbero esplodere 500 chili di tritolo. La paura della morte prevale nelle strade di Palermo. Antonino Di Matteo ed i magistrati che lo affiancano vivono letteralmente blindati. La storia si ripete. Anche se non proprio. Nonostante l’ipocrisia e gli intrighi dello Stato e del sistema politico cerchino di minare la coscienza della legalità e dell'antimafia, questa è cresciuta, si è sviluppata. E ancora più importante: ha attraversato le frontiere. Antonino Di Matteo è difeso dai suoi uomini di scorta e dai liberi cittadini della sua terra nativa e del mondo.  
Osservando i manifestanti con il loro striscione, due decenni dopo gli orribili attentati contro i magistrati Falcone e Borsellino, sembra che il giudice Antonino Di Matteo e tutti coloro che rimpiangiamo la loro assenza e la loro causa, cerchiamo intensamente – attraverso questi presidi, le "nuove" investigazioni e l’attacco frontale che questo implica – di fare giustizia, cancellare ogni orma di quel macabro festeggiamento nella prigione dell’Ucciardone di Palermo, dopo la morte dei magistrati, quando i capi mafiosi che ordinarono le stragi, ben consapevoli della reale situazione brindarono con champagne l’esito della mortale missione. Ma sicuramente arriverà il giorno in cui il brindisi sarà molto differente, perché sarà con lo champagne della giustizia.
Forza coraggioso Nino, perché non sei solo.

Traduzione a cura di Maria José Lastra

ARTICOLI CORRELATI

"Scorta civica" per i pm minacciati dalla mafia

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos