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di-matteo-nino-big4Intervista al pm Nino Di Matteo
di Lorenzo Lamperti - 18 aprile 2014
Il processo sulla trattativa Stato mafia rimane a Palermo. La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha respinto la richiesta di rimessione del processo presentata di Giuseppe De Donno, Mario Mori e Antonio Subranni, i tre ex ufficiali dei carabinieri imputati nel procedimento. Il pm Nino Di Matteo commenta la decisione della Cassazione in un'intervista ad Affaritaliani.it, nella quale dice la sua anche su Totò Riina, Bernardo Provenzano e voto di scambio.

Dottor Di Matteo, come ha accolto la decisione della Cassazione di non spostare da Palermo il processo sulla trattativa Stato-mafia?
L'ho accolta con la consapevolezza e la soddisfazione che non è stato violato il principio costituzionale del giudice naturale. C'è sollievo perché se fosse stato spostato il processo si sarebbe verificato un grave precedente che, per il futuro, avrebbe messo in mano agli imputati, e non solo agli imputati, l'arma della minaccia e della violenza nei confronti dei magistrati per spostare un processo dalla sua sede precostituita per legge.

Ha temuto veramente che potesse verificarsi una cosa di questo genere?
Sono stato sempre convinto che la richiesta fosse giuridicamente infondata ma, ovviamente, insieme ai miei colleghi abbiamo atteso con trepidazione la decisione della corte.

Questo era solo l'ultimo di una serie di tentativi di spostare il processo da Palermo. Lei percepisce il desiderio di "silenziare" un processo come questo?
Non voglio parlare delle mie convinzioni e delle mie percezioni. Mi limito a ricordare i fatti. Già in passato sono state sollevate numerosissime eccezioni processuali per spostare il processo ad altra sede giudiziaria. E' stato anche inutilmente intentato un procedimento di ricusazione nei confronti del giudice dell'udienza preliminare il cui accoglimento avrebbe comportato la retrocessione del processo alla fase precedente all'udienza preliminare. Non è stato il primo tentativo di far spostare altrove il processo o di farne regredire lo stato. Speriamo invece che da adesso in poi si possa andare avanti discutendo nel merito le rispettive posizioni per arrivare il più presto possibile a un giudizio da parte della corte.

Le minacce di Riina dal carcere rischiano di fare presa?
Vengono chiamate minacce ma più propriamente dovrebbero essere chiamati auspici, per non dire ordini, di fare attentati. Su queste vicende ci sono indagini in corso. Il dato più scontato è che a pronunciare più volte quelle frasi e ad auspicare un ritorno alla strategia stragista non è stato un mafioso qualunque ma il soggetto che nella storia della mafia si è dimostrato il più spietato e accanito stragista. Lo Stato, inteso in tutte le sue articolazioni, farebbe un gravissimo errore (che per ora per fortuna non ha commesso) se sottovalutasse la pericolosità delle esternazioni di Riina.

Negli scorsi giorni c'è stata la riforma del 416 ter sul voto di scambio. Che opinione ha di questa riforma?
Rispetto a quanto da anni molti magistrati, io compreso, auspicavamo la riforma che è stata approvata rappresenta un'occasione perduta. Si sarebbe potuto e dovuto fare di meglio. Era molto più incisiva la prima versione uscita dal Senato che prevedeva una punibilità dell'accordo consapevole anche quando la parte politica si fosse limitata alla semplice promessa di una disponibilità futura. La diminuzione delle pene rispetto all'ipotesi originaria è un dato molto negativo, così com'è negativo che si verifichi una situazione per la quale lo scambio politico-elettorale e mafioso venga aprioristicamente considerato meno grave rispetto a qualsiasi altra condotta di appartenenza a Cosa Nostra. Oggi l'ottantenne affiliato a un'organizzazione mafiosa ma magari non più operativo e completamente ai margini dell'attività criminale può essere condannato alla pena giustamente rigorosa al 416 bis. Un politico che consapevolmente stringe accordi con il mafioso in vista della sua elezione viene condannato con pena molto più lieve. Questo è frutto di un gravissimo pregiudizio culturale che avverte la pericolosità della mafia soltanto nell'ala militare, nel picciotto, nell'affiliato puro e ritiene invece meno grave i fenomeni di collusione tra mafia e politica che dovrebbero invece essere aggrediti.

La voglia di andare a toccare i "piani alti" della mafia, la cosiddetta "zona grigia", continua a non esserci?
Evidentemente ancora non tutti hanno percepito, o vogliono percepire, che per fare un vero salto di qualità nella lotta contro le organizzazioni mafiose bisogna fare di tutto per reciderne i rapporti con la politica e le istituzioni in genere. Per questo considero la riforma del 416 ter un'ulteriore occasione persa per fare quel salto di qualità.

Il giurista, e candidato alle elezioni europee con il Pd, Giovanni Fiandaca ha parlato di "stato di necessità" riferendosi alla trattativa Stato-mafia. Lei che ne pensa?
Dal punto di vista strettamente giuridico sosterrò la mia tesi nella sede appropriata del processo. Storicamente posso però affermare un dato che viene completamente trascurato nel libro di Fiandaca e Lupo. Ogni qualvolta le istituzioni hanno aperto un dialogo con la mafia o semplicemente quando la mafia si è convinta che tale dialogo fosse cercato dalle istituzioni si sono accresciuti non solo il potere e il prestigio criminale di Cosa Nostra, ma si è rafforzata nei capi di Cosa Nostra la convinzione che la violenza e gli attentati fossero paganti. Mi sorprendo quando giuristi e storici della portata di Fiandaca e Lupo trascurano completamente un dato fattuale che invece è decisivo. Ormai è assodato anche nelle sentenze definitive che, intrapreso il percorso stragista, Riina ha avuto la sensazione che le istituzioni lo stessero cercando e abbia trasmesso l'esigenza a tutta Cosa Nostra di fare altre stragi, evidentemente per gettare sul piatto della bilancia del dialogo con lo Stato tutto il peso della propria forza intimidatrice.

Lei sarebbe a favore di una revoca del 41 bis per Bernardo Provenzano?
La Procura di Palermo ha espresso un parere favorevole esclusivamente sulla considerazione che Provenzano, per le sue attuali condizioni di salute, in questo momento non può trasmettere ordini all'esterno, nonostante si trovi in una condizione detentiva non di 41 bis. Il 41 bis è un istituto assolutmente fondamentale ed è necessario che venga mantenuta la normativa nella sua attuale veste. Spero che, al di là del singolo caso concreto, determinate situazioni non vengano in futuro strumentalizzate per potere poi attaccare l'istituto del 41 bis che è un istituto decisivo per il futuro della lotta alla mafia.

Negli scorsi mesi in diverse città d'Italia si sono costituite le cosiddette "scorte civiche" e lo scorso sabato 12 aprile si è tenuta una manifestazione in suo sostegno. Lei che cosa prova vedendo che tante persone normali le manifestino in varie sedi vicinanza e solidarietà?
In questi mesi ho constatato una grande ed entusiasmante voglia da parte di semplici cittadini, spesso nemmeno appartenenti ad associazioni, di verità e di giustizia. Credo che questa volontà diffusa nel Paese costituica lo stimolo per noi lo stimolo più forte per andare avanti con l'impegno e la determinazione di sempre. Questa solidarietà e questa partecipazione costituiscono l'antidoto contro le difficoltà e le tante diffidenze, anche istituzionali, che hanno caratterizzato tante vicende dell'ultimo periodo.

In uno Stato ideale ci sarebbe bisogno di striscioni per sostenere un magistrato che dovrebbe essere sostenuto anche dalle istituzioni?
In una situazione ideale i cittadini debbono avere sempre la possibilità e soprattutto la pretesa che la magistratura vada avanti senza condizionamenti, paure, prudenze o calcoli opportunistici. Interpreto gli striscioni, le manifestazioni e le scorte civiche solo come un'esigenza diffusa di verità e di una giustizia che sia veramente uguale per tutti, anche per i potenti e per i colletti bianchi.

Non le viene mai da pensare "ma chi me l'ha fatto fare"?
Mi reputo un uomo fortunato perché faccio il lavoro che sognavo di fare quando ero un giovane studente universitario. Credo che comunque valga sempre la pena di fare ciò che si reputa giusto fare.

twitter@LorenzoLamperti


Tratto da: affaritaliani.it

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