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ingresso-viminaleA margine della manifestazione nazionale salta l’incontro con il ministro dell’Interno
di Lorenzo Baldo - 12 aprile 2014
Roma.
“Siamo in momento storico decisamente particolare: Berlusconi ai servizi sociali, l’arresto del latitante Dell’Utri, lo strano spostamento di 200 detenuti al 41bis e l’effettivo svuotamento del 416ter. E proprio in questo momento è ancora più determinante fare sentire la propria voce in ogni luogo e in ogni momento verso quei magistrati che stanno lottando con tutte le loro forze per portare avanti processi importanti come quello sulla trattativa Stato-mafia. Ognuno di noi deve fare la propria parte: cittadini, istituzioni, giornalisti”.
Le parole forti dell’on. 5Stelle, Giulia Sarti, sono arrivate dopo una mattinata di amarezze. Da tempo era stata programmata la manifestazione odierna (indetta dal movimento delle “Agende Rosse” di Salvatore Borsellino e dalla “Scorta civica”) da realizzarsi in piazza Beniamino Gigli, legata alla richiesta esplicita del “jammer” per Di Matteo. “Questo è un Paese anomalo – ha sottolineato la Sarti – in quanto si prendono degli impegni che non vengono mantenuti, mi riferisco alle promesse del ministro Alfano, fatte lo scorso mese di dicembre, sulla disponibilità del dispositivo anti-bomba ‘jammer’ al pm Nino Di Matteo. Le persone che manifestano oggi sono qui proprio per chiedere il rispetto di quelle promesse che non sono state mantenute.

L’unico modo che si ha per far sentire la propria voce è quello di fare pressione, in maniera civile, ma allo stesso tempo forte e compatta, perché non si può più tornare indietro. Finché non si otterrà la messa a disposizione del ‘jammer’ nei confronti del magistrato più esposto d’Italia quale è Di Matteo non smetteremo di chiederlo a gran voce. E’ doveroso e giusto andare fino in fondo. Se ci sono questioni tecniche da risolvere che si risolvano, ma non tra mesi o anni! Quanto tempo deve attendere questo Paese per mettere in sicurezza chi è nel mirino della criminalità organizzata? Non siamo più in grado di aspettare, basta!”.

Antefatto
Sono due gli episodi che vanno ricordati per capire il significato della giornata di oggi. Il primo riguarda la conferenza stampa tenuta a Palermo dallo stesso Alfano il 3 dicembre scorso. In quella occasione (dopo l’incontro del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza), alla domanda di Antimafia Duemila sulla mancata risposta all’interrogazione parlamentare dell’on. Luigi Di Maio del 14 ottobre 2013 (relativa alla effettiva disponibilità del “jammer” per Nino Di Matteo), il ministro dell’Interno aveva risposto che per il dott. Di Matteo il dispositivo anti bomba “era stato reso disponibile”. manifestazione-romaQuel giorno Alfano non aveva però specificato che il dispositivo anti-bomba “offerto” a Di Matteo era di quelli di prima generazione che portavano con sé pericolose controindicazioni per la salute umana e quindi lo stesso pm si era visto costretto a rifiutarlo. Il secondo episodio riguarda invece l’audizione del Ministro dell’Interno in Commissione parlamentare antimafia durante la trasferta milanese della commissione il 16 e 17 dicembre 2013. In quei giorni Alfano aveva risposto in tutt’altro modo ad una domanda dell’on. Giulia Sarti relativa all’effettivo utilizzo del “jammer” in Italia. “E’ altrettanto certo che un uso di questi dispositivi è stato già fatto anche in zone civili”, era stata la laconica risposta del ministro. “Riguardo al mezzo elettronico cui faceva riferimento l’onorevole Sarti – aveva specificato Alfano durante la sua audizione milanese – noi l’abbiamo già reso disponibile, salvo un’accurata verifica tecnica. Essendo dotato di una forte potenza elettromagnetica, può produrre effetti collaterali molto significativi alla salute e, quindi, è assolutamente da studiare”. Il Ministro aveva quindi sottolineato che si stava riferendo ad un’apparecchiatura “certamente utilizzata nei teatri di guerra, dove le zone frequentemente desertiche consentono di limitare al minimo i danni degli effetti collaterali”, per poi ribadire che, secondo le sue previsioni, lo studio che si stava effettuando si sarebbe concluso presto. “Non posso dire l’ora o il giorno, ma mi sento di dire che si concluderà in un ristrettissimo lasso di tempo, certamente nei prossimi giorni”, aveva sentenziato.
Da quel giorno sono passati 4 mesi e di questi test non si è saputo più nulla. Nel frattempo, al di là del fatto che a Nino Di Matteo è stato innalzato il livello di sicurezza, non sono minimamente diminuiti i rischi per la sua incolumità. E del “jammer” non si è più avuta alcuna notizia.   

L’incontro fantasma
Alcune settimane fa lo stesso Alfano aveva dato la disponibilità ad incontrare Salvatore Borsellino. Il fratello del giudice assassinato il 19 luglio 1992 aveva quindi concordato la data di oggi per realizzare questo incontro. Successivamente a quel primo accordo era però calato uno strano silenzio da parte del Viminale. Che si è concretizzato definitivamente oggi con la risposta degli agenti della Digos venuti ad accogliere Salvatore Borsellino e una delegazione di manifestanti: il ministro Alfano non c’è, è al convegno del Nuovo Centrodestra, al Viminale non c’è nessuno. Per Borsellino tanta rabbia e amarezza di fronte a quella che a tutti gli effetti è stata una reale mancanza di rispetto. viminale-2Che rispecchia fedelmente il disinteresse istituzionale ad affrontare la questione tanto delicata della sicurezza per Di Matteo. O forse Alfano ha avuto timore ad affrontare chi non avrebbe più accettato le sue menzogne sapientemente recitate davanti alle telecamere quattro mesi fa? Dopo un’ora di trattative è stato concesso unicamente di depositare al Viminale le circa 6000 firme di quelle persone che, impossibilitate a venire, hanno voluto ugualmente unirsi alla richiesta del “jammer” per Di Matteo. Ecco allora che Salvatore Borsellino insieme a quattro rappresentati della società civile e dell’informazione sono stati ricevuti da un paio di funzionari del gabinetto del ministro. In un’atmosfera surreale Borsellino ha spiegato quindi le motivazioni di quell’incontro ricordando per l’ennesima volta le tappe che hanno portato a quella manifestazione. Ai due silenti funzionari ha raccontato le promesse mai mantenute da Alfano, le evidenti contraddizioni e le sue spudorate menzogne. “Perché di questi test non si sa più nulla?”, “questo dispositivo anti-bomba avrebbe potuto evitare le stragi vent’anni fa”, ha ricordato il fratello di Paolo Borsellino ai due attoniti interlocutori. Senza alcun tentennamento ha evidenziato quindi quella che è stata una evidente “normalità” dell’utilizzo del “jammer” per la visita romana del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a fronte di una dichiarata “anormalità” del suo stesso utilizzo per i magistrati condannati a morte dalla mafia. Dopo aver consegnato centinaia di fogli firmati da uomini e donne di tutta la penisola l’ingegner Borsellino e la piccola delegazione sono usciti accompagnati dagli agenti della Digos. Prima di accomiatarsi gli è stato “promesso” che in caso il ministro Alfano avesse avuto la possibilità di incontrarlo sarebbe stato avvisato. Con un senso di disillusione e amarezza Salvatore Borsellino ha lasciato quindi il Viminale per ricongiungersi con quel popolo variegato che da anni sta sostenendo la causa di giustizia e verità intrapresa da quest’uomo. Centinaia di persone con striscioni e manifesti colorati si sono spostati da Piazza Beniamino Gigli fino alla piazza di fronte al Ministero dell’Interno. “Non ci fermeremo – ha ribadito con forza Salvatore Borsellino – fino a quando non avremo risposte chiare, fino a quando non verrà disposto il bomb-jammer per Nino Di Matteo”.

Foto © ACFB

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