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villa-brusca-confi-bagheria-c-joan queraltLa mala gestione dei beni confiscati
di Miriam Cuccu - 4 marzo 2014
Una seria lotta alla mafia dovrebbe mettere ai primissimi posti il miglioramento della gestione dei beni confiscati, indispensabile per aggredire i patrimoni dei mafiosi. Ma la strada è ancora lunga.
Intanto, qualche dato: complessivamente i beni confiscati sono, stando alle statistiche del 2012, 11.238. Di questi, quasi 4000 (3.995) aspettano ancora di essere destinati dall’Agenzia nazionale, mentre 1.666 sono bloccati da ipoteche bancarie. I restanti (1.376) sono inagibili o da ristrutturare.

Non si tratta di numeri forfettari ma di dati precisi forniti da Libera alla conferenza nazionale svoltasi a Roma, dove l’associazione ha allertato le istituzioni sull’emergenza del fenomeno. Un esempio a caso? La centralissima Toscana: apparentemente sopra la nota ‘linea della palma’ che delimita le terre di mafia, la regione ha attualmente 57 beni confiscati, ma di questi soltanto 19 risultano essere in gestione.
Sul totale dei beni confiscati 3.808 sono appartamenti, 2.245 terreni agricoli, 1.209 locali generici, 963 box e garage, 415 ville, 202 capannoni. Quelli utilizzati per finalità istituzionali e sociali sono 5.859 (5099 ai Comuni, 760 allo Stato per motivi di sicurezza, soccorso o altro), mentre per 907 la consegna non è stata ancora effettuata. Parlando di distribuzione territoriale è la Sicilia ad essere in pole position con 4.892 beni, segue la Calabria con 1.650, la Campania con 1.571 e la Puglia con 995.

Proposte e passi avanti
Così, a pochi giorni di distanza dalla morte del “prefetto del popolo” Fulvio Sodano – grazie al quale è stata stipulata la “Carta degli impegni libera terra Trapani” che consente di rendere più rapide le procedure di confisca dei beni ai mafiosi – don Ciotti lo ricorda citando le sue parole: “L'inceppamento di alcuni meccanismi e alcune mancate previsioni normative impongono una radicale revisione nella gestione dei beni confiscati”, “È dimostrato che la confisca é lo strumento più valido per aggredire i patrimoni mafiosi, rendendo i crimini dei boss non paganti e pertanto inutili”. Il presidente di Libera calca la mano sull’importanza di poter disporre “di una normativa senza inutili orpelli che la appesantiscano, lo diceva Sodano e adesso, ancora una volta, lo ribadiamo anche noi. Se non c'è uno scatto deciso anche contro la corruzione non andremo avanti, a volte si muore di troppa prudenza, la situazione del nostro Paese non può più attendere, é un problema di giustizia sociale”. Indispensabile, prosegue don Ciotti, “riformare l'Agenzia nazionale dei beni confiscati. E' inutile mantenere tante sedi sparse in Italia. Meglio una sola, centrale, a Roma, presso la presidenza del Consiglio dei ministri”, ma anche “garantire l'accesso al credito per le cooperative di giovani”, utilizzare correttamente i prossimi fondi europei della programmazione 2014-2020 e chiedere “che i grandi pranzi coi capi di Stato e i ministri si facciano coi prodotti di Libera derivanti dai terreni confiscati alle mafie”.
Un segnale positivo è arrivato proprio dall’Unione europea, che ha finalmente approvato la direttiva sul congelamento e il sequestro dei beni di provenienza illecita, nel quale è compresa anche la possibilità di riutilizzare i beni a fini sociali. “Un passo importante nella lotta al crimine organizzato” ha commentato l’eurodeputato Rita Borsellino che però, ha sottolineato, “da solo non basta” dato che “purtroppo si è deciso di non includere tra le norme minime comuni alla confisca senza condanna in caso di morte dell'imputato, una fattispecie, presente nell'ordinamento italiano, che ha permesso di infliggere duri colpi alla criminalità organizzata”.

Lo Stato spreca, la mafia investe
Il valore totale dei beni confiscati si aggira intorno ai 30 miliardi di euro, una enorme ricchezza che potrebbe essere adoperata per la collettività ma che spesso, invece, cade in disuso, o nel peggiore dei casi ritorna nelle mani delle cosche. Fallimento, perdita di posti di lavoro, revoca dei fidi bancari e delle commesse di fornitori e clienti, vendita (anche se a norma di legge dovrebbe essere solo un'ipotesi residuale) aumento dei costi di gestione (dovuti alla regolarizzazione di pagamenti e contratti), e una gestione spesso conservativa degli amministratori giudiziari sono solo alcune delle conseguenze provocate dalla cattiva amministrazione dei beni confiscati. Basti pensare che, su 1708 imprese (623 in Sicilia, 347 in Campania, 161 in Calabria e 131 in Puglia) solo una sessantina risultano attive. Circa la metà operano nel commercio (471) e nelle costruzioni (477), seguite da quelle alberghiere e della ristorazione (173); 92 sono invece le aziende confiscate che operano nel settore dell'agricoltura. Ma non mancano le attività immobiliari e quelle finanziarie, l'informatica e i servizi alle imprese, le imprese manifatturiere e di trasporto, quelle che si occupano sequestro-bagheria-c-joan queraltdi sanità e servizi sociali e persino le società di produzione e distribuzione di energia elettrica, acqua e gas. Le confische più recenti hanno riguardato, infatti, alcuni impianti fotovoltaici e parchi eolici in Sicilia, Calabria e Puglia. Quasi la metà delle aziende confiscate sono società a responsabilità limitata (796) seguite da imprese individuali (408), società in accomandita semplice (247) e in nome collettivo (141). Delle 1708 aziende confiscate in Italia, 497 sono uscite dalla gestione, mentre 1211 sono ancora in gestione dell'Agenzia nazionale.
A fronte di tutto questo le mafie, che dispongono di enormi quantità di denaro liquido, escono vincenti dove lo Stato fatica invece a sopperire alle gravi difficoltà in cui versano operai ed imprenditori, fino a presentarsi come i veri garanti del successo imprenditoriale. La realtà è che l’infiltrazione mafiosa nei circuiti dell’economia legale – veri e propri paradisi per il lavaggio del denaro sporco – determina, con l’esistenza di imprese che si reggono in massima parte sui proventi dei traffici illeciti, una pericolosa anomalia sul mercato, le cui leggi sono inevitabilmente sballate a scapito delle aziende pulite. Dove lo Stato spreca, la mafia investe, e tanto. Oltretutto, ci sarebbero tre miliardi di euro fermi in un fondo unico gestito da Equitalia che il prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, aveva chiesto di adoperare: “Come mai non vengono assegnati al ministero dell'Interno che ha difficoltà persino a pagare la benzina per le volanti o per chi cerca i latitanti?” chiedeva. Di questi tre miliardi, però, Equitalia ne ha finora usato solo 106 milioni.

Quale soluzione?
È ancora Libera a fornire delle linee guida per rimettere in piedi i patrimoni precedentemente gestiti dai boss: spazio ai piani di sviluppo aziendale, alle partnership, alla gestione di tipo manageriale ed al monitoraggio fino alla completa uscita delle aziende dai meccanismi dell’economia mafiosa. L’iniziativa promossa, denominata “Io riattivo il lavoro”, si propone di velocizzare i tempi dal sequestro alla confisca dei beni, fornire aiuti economici e fiscali, incentivi alla creazione di cooperative di lavoratori e possibilità per gli enti di acquisire aziende, come già accade per i beni immobili, a fini sociali. Potenziare gli organici ricorrendo al Fondo unico della Giustizia, e passare alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, per poter così garantirne una maggiore capacità d'intervento rispetto alle molteplici competenze che devono essere attivate per il riutilizzo sociale di tutti i beni confiscati alle mafie, realizzare una banca dati aggiornata per monitorare costantemente l’utilizzo dei beni.
Resta ora da verificare se il nuovo presidente del consiglio Matteo Renzi abbia davvero a cuore questi temi. “La lotta alla mafia diventerà una delle priorità del governo” ha dichiarato in risposta all’appello lanciato dallo scrittore Roberto Saviano, assicurando che allerterà in questo senso anche gli altri paesi della Ue ed elencando cinque grandi mosse per combattere la “Mafia Spa” di concerto con la Commissione parlamentare antimafia. Proprio in questi giorni la commissione, guidata dalla presidente Rosy Bindi, si trova a Palermo per fare chiarezza sulla gestione dei beni confiscati. Sono stati programmati una serie di incontri con gli amministratori giudiziari, a seguito dell’audizione del prefetto Giuseppe Caruso, ma uno dei temi caldi è anche quello dei nuovi assetti di Cosa Nostra dopo gli ultimi ordini di morte di Totò Riina al pm palermitano Nino Di Matteo.

Foto in alto: la villa confiscata a Giovanni Brusca (© Joan Queralt)

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