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di Aaron Pettinari - 14 febbraio 2014
L'ex mafioso dell'Acquasanta non era tra gli esecutori

E' tutt'altro che smontata la nuova inchiesta sul fallito attentato all'Addaura contro il giudice Giovanni Falcone agli inizi dell'estate del 1989. E' dei giorni scorsi la notizia della ritrattazione del collaboratore di giustizia Angelo Fontana in merito alla sua partecipazione nelle fasi di esecuzione. L'ex boss dell'Acquasanta, che aveva accusato il cugino Angelo Galatolo di aver partecipato al fallito attentato, era a quel tempo in America.
A scoprirlo è stato Giuseppe Di Peri, il legale di un altro cugino omonimo di Angelo Galatolo, imputato in un altro processo, il quale ha trovato un foglio che dimostra l'obbligo di firma a New York che aveva Fontana proprio nel periodo del fallito attentato.

Dopo che le carte sono state trasmesse da Palermo a Caltanissetta per competenza territoriale, il collaboratore di giustizia, detto “l'americano” proprio per la sua lunga permanenza negli States, è stato nuovamente interrogato dal pubblico ministero nisseno Gabriele Paci ed ha riconosciuto il proprio errore tuttavia ribadendo che le cose raccontate sull’Addaura sono vere in quanto le avrebbe sapute da altri. Dopo l'ammissione di colpa la Procura nissena, diretta da Sergio Lari, non ha potuto fare a meno di aprire un fascicolo per calunnia e autocalunnia.
A prescindere dalla propria presenza o meno non si può ignorare il riscontro della polizia scientifica che incastra proprio Angelo Galatolo, che era stato già condannato nel primo processo per la bomba piazzata da Cosa nostra davanti alla villa del giudice Giovanni Falcone, nel giugno 1989.
E' sua infatti la macchia di sudore rinvenuta ventuno anni dopo su una maglietta che era stata abbandonata accanto alla borsa carica di esplosivo. Da alcune “cellule epiteliali di sfaldamento nella zona a contatto con le ascelle” era stato estratto un profilo genetico che si è scoperto appartenere al boss.
E' così che trova conferma la ricostruzione offerta dal pentito Angelo Fontana, condannato all’ergastolo per l’uccisione dello spacciatore dell’Acquasanta Francesco Paolo Gaeta, che ha svelato i retroscena del fallito attentato durante gli interrogatori con il pm Nicolò Marino, l'aggiunto Domenico Gozzo e il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari. “Galatolo aveva il telecomando in mano – aveva raccontato il collaboratore - era dietro uno scoglio, a circa 50 metri, in un incavo tracciato dal mare. Poi, l'attentato non si fece perché Nino Madonia fece segnale a tutti di rientrare dopo aver notato la presenza della polizia sugli scogli”. Secondo il racconto del pentito Angelo Galatolo, che aveva in mano il telecomando, si gettò in mare (e il telecomando si perse). Quindi l'unico aspetto incongruente è solo nella sua partecipazione al commando di uomini dell'Acquasanta e di Resuttana.
Fontana ha anche raccontato che ai preparativi dell'attentato aveva assistito proprio Gaeta. “Faceva il bagno e riconobbe sugli scogli Angelo Galatolo che si dava alla fuga perché individuato dagli uomini della scorta di Falcone”. Gaeta, tossicomane, era ritenuto un personaggio inaffidabile. “Per questo motivo – ha rivelato il pentito – Vito Galatolo, padre di Angelo, appariva preoccupato: se a questo lo pigliano, diceva, ci consuma a tutti”.
sempre secondo quanto riferisce Fontana, Vito Galatolo, all’inizio cercò di tenere sotto controllo Gaeta, ma poi decise di eliminarlo. Per questo motivo si rivolse a Fontana che per quell’omicidio ha avuto l’ergastolo.

L'attentato e il processo
Era il 21 giugno del 1989 quando, a pochi metri dalla villa al mare dove il giudice Giovanni Falcone trascorreva le vacanze con la moglie, fu scoperta una borsa sportiva che conteneva 58 candelotti di un esplosivo micidiale. Cosa nostra voleva uccidere oltre a Falcone anche i magistrati elvetici Carla Del Ponte e Claudio Lheman, ospiti in quel periodo a Palermo per un' indagine riservatissima sul riciclaggio in Svizzera di denaro sporco della mafia siciliana. Il progetto fu sventato soltanto per un improvviso cambiamento di programma.
L’indagine sul fallito attentato a carico di ignoti è stata archiviata nel 1994 e riaperta solo dopo le dichiarazioni di Giovan Battista Ferrante. La sentenza di primo grado è stata pronunciata dalla Corte di Assise di Caltanissetta il 27 ottobre del 2000 che ha condannato Salvatore Biondino, Salvatore Riina e Antonino Madonia a 26 anni di reclusione ciascuno; Francesco Onorato a 10 anni e Giovan Battista Ferrante a 3 anni. Assolti invece per non aver commesso il fatto Angelo e Vincenzo Galatolo.
Il 14 gennaio 2002 si è aperto a Caltanissetta il processo di secondo grado. L'8 marzo 2003 la Corte ha ridotto la pena ai pentiti Giovan Battista Ferrante e Francesco Onorato, il primo è stato condannato a due anni e 8 mesi, il secondo a 9 anni e 4 mesi. Il Collegio giudicante presieduto da Giacomo Bodero Maccabeo ha confermato l'assoluzione per Vincenzo e Angelo Galatolo, zio e nipote. Sono stati invece condannati a 26 anni di carcere per tentativo di strage i boss Toto' Riina e Antonino Madonia.
I giudici non hanno trattato la posizione di Salvatore Biondino, che in primo grado aveva avuto inflitti 26 anni di reclusione. Il pg, dopo aver impugnato la sua posizione, ha rinunciato.
I giudici hanno inoltre rigettato l'istanza avanzata dal difensore di Madonia che aveva chiesto l'acquisizione delle dichiarazioni del confidente Luigi Ilardo, il quale affermava che nell'attentato all'Addaura i servizi segreti “deviati” avrebbero avuto un ruolo fondamentale.
Il 6 maggio 2004 la Corte di Cassazione ha confermato le condanne a 26 anni di carcere inflitte dalla Corte d'Assise d'Appello di Caltanissetta ai boss Salvatore Riina, Salvatore Biondino e Antonino Madonia annullando con rinvio le assoluzioni di Angelo e Vincenzo Galatolo, le cui posizioni saranno poi riesaminate dalla seconda sezione della Corte d'Assise d'Appello di Catania a cui i giudici romani hanno rimandato gli atti.
a Suprema Corte ha confermato inoltre la condanna a 9 anni e 4 mesi per il collaboratore di giustizia Francesco Onorato. Mentre è diventata già definitiva la pena di due anni ed otto mesi inflitta a Giovan Battista Ferrante che all'epoca non aveva impugnato la sentenza di secondo grado.
Il 20 giugno 2005 infine i giudici della Corte di Assise d’Appello di Catania hanno condannato i boss Vincenzo e Angelo Galatolo, rispettivamente a 18 e 13 anni di reclusione. I due sono ritenuti colpevoli di avere avuto un ruolo nel fallito attentato a Giovanni Falcone. Questa sentenza è poi stata resa definitiva dalla Suprema Corte. Il 19 dicembre 2007 Angelo Fontana, deponendo al processo per la rapina al deposito dei Monopoli di Stato ha fornito la nuova ricostruzione dell’attentato che differisce proprio con la ricostruzione della Cassazione.
Mentre quest'ultima scrive che la bomba sarebbe arrivata via mare, Fontana afferma che il commando arrivò via terra. Diversi sono anche i componenti della squadra e il luogo dove la bomba sarebbe stata preparata. Diversa è infine la collocazione dell’attrezzatura da sub oggetto della perizia. Secondo Fontana si trovava all’interno della borsa e non fuori come afferma la Cassazione.

L'inchiesta sui Dna
Dalle analisi compiute dagli esperti della polizia scientifica erano emersi anche altri tre profili di Dna, estratti dalla cinghia di una maschera, dalla muta da sub e dal telo lasciati davanti alla villa di Falcone. Gli esperti hanno fatto i confronti dei codici genetici con i mafiosi già condannati (Salvatore Biondino, Antonino Madonia e Vincenzo Galatolo), nonché con i nuovi indagati (Salvo Madonia, Gaetano Scotto, Raffaele Galatolo e Angelo Galatolo classe 1960). Ma nessuno di loro ha i Dna di quelli che per il momento restano per le indagini "Individuo 1, 2 e 3".
Inoltre quei Dna non appartengono neanche al poliziotto Nino Agostino (ucciso il 5 agosto 1989) e al collaboratore del Sisde Emanuele Piazza (scomparso nel marzo 1990), che le dichiarazioni del pentito Vito Lo Forte hanno tirato dentro la vicenda dell'Addaura in uno scenario di scontro fra servizi segreti deviati e servizi segreti "buoni". Secondo Lo Forte, i primi avrebbero organizzato l'attentato; i secondi, con Agostino e Piazza, l'avrebbero sventato. Una ricostruzione valutata con grande prudenza a Caltanissetta proprio perché il pentito in alcune sentenze dei giudici di Palermo è stato valutato come poco attendibile.

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