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viola-marcello-c-blogsiciliaIntervista al procuratore di Trapani
di Miriam Cuccu - 14 dicembre 2013
L’operazione Eden coordinata dalla Dda di Palermo, che ha permesso l’arresto di trenta soggetti legati al boss latitante Matteo Messina Denaro, rappresenta un risultato storico. Per una schiera di fedelissimi, tra cui nomi insospettabili e parenti (la sorella Patrizia Messina Denaro, il nipote Filippo Guttadauro e tre cugini) sono scattate le manette e la latitanza dell’imprendibile boss di Castelvetrano potrebbe andare incontro a non poche difficoltà. “L’operazione – ha spiegato il procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato –  è la prosecuzione di un cammino iniziato nel 2009. Ancora una volta sono stati colpiti i patrimoni dell’organizzazione, in particolare le aziende che consentivano di mantenere i detenuti e i loro familiari, ma anche lo stesso latitante. Non è un caso che in questa operazione siano stati contestati diversi reati di intestazione fittizia di beni, perché il principale interesse dei boss mafiosi, ancora prima della libertà, è la conservazione del proprio patrimonio”. “Abbiamo ulteriormente disarticolato la rete di fiancheggiatori e prestanome del boss - ha poi dichiarato la Principato - perché abbiamo fatto terra bruciata attorno a lui e ci auguriamo che tutto questo ci conduca al risultato che tutti noi auspichiamo da tempo, il suo arresto”.
Marcello Viola (foto), procuratore a Trapani e più volte oggetto di minacce mafiose insieme ad alcuni sostituti della procura, conosce bene le difficoltà che comporta un territorio come quello del trapanese, dove la primula rossa di Castelvetrano da vent’anni sfugge alla cattura grazie a una rete di sostenitori e alla complicità del silenzio.

L’operazione Eden ha portato all’arresto di trenta persone, tra cui familiari e fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro. Un risultato di tale portata che conseguenze può comportare per la sua latitanza dorata, che prosegue pressoché indisturbata da vent’anni?
Si tratta di un’operazione di fondamentale importanza, sia sotto il profilo dell’aggressione ai patrimoni, sia perché fa pesantemente terra bruciata attorno al capomafia latitante. Messina Denaro potrebbe andare incontro a difficoltà dato che sono stati recisi una serie di collegamenti importanti, diretti, familiari, soggetti di assoluta, totale e certa affidabilità. C’è dunque la speranza che questo smuova qualcosa e che possa condurre alla cattura.

L’operazione può quindi aver reso più vicino l’arresto di Matteo Messina Denaro?
Sul punto sono positivo. C’è uno sforzo enorme da parte dello Stato e il venir meno dello stato di latitanza di un soggetto, tanto più di un soggetto di tale caratura criminale, rappresenterebbe ovviamente un momento importante di riaffermazione del prestigio del nostro territorio. Sono convinto che questa operazione possa essere un passaggio di fondamentale importanza.

In particolare, è stata svelata la figura della sorella del boss, Patrizia Messina Denaro, la quale avrebbe preso le redini del comando del mandamento. Quanto potrebbe essere stata determinante all’interno del clan mafioso?
Condivido pienamente le valutazioni della dottoressa Principato, che si occupa personalmente delle indagini. In quanto soggetto non coinvolto direttamente ritengo che Patrizia Messina Denaro sia una figura di prestigio notevole all’interno della struttura criminale e del complesso di riferimento per questo legame di sangue così forte ma, credo, anche per una posizione di forza da lei assunta direttamente.

Ci sono buone probabilità che Matteo Messina Denaro, come molti degli storici boss arrestati in passato, si rifugi da sempre a casa sua, nel trapanese. Cosa impedisce realmente di catturare il capomafia in una porzione relativamente ridotta di territorio?
L’esistenza di una rete fittissima di complicità, di protezione, di legami. Non è una rete di tipo astratto e generico ma si fonda su un sentimento di legami fortissimi, su una sorta di consenso. Messina Denaro ha ottenuto consenso erogando sul territorio benefici, protezioni, vantaggi di qualsivoglia natura garantendo una serie di risultati diciamo “utilitari” che fanno sì che vi sia un ritorno. Ma è un discorso difficile, se si fosse compreso l’ostacolo da rimuovere avremmo già raggiunto l’obiettivo.

Nell’ultimo periodo si sono susseguiti una serie di arresti e sequestri patrimoniali che hanno messo sotto scacco, uno dopo l’altro, diversi imprenditori accusati di avere legami con il boss latitante. Che lettura ci può dare delle recenti operazioni che hanno svelato nomi insospettabili di suoi fedelissimi collaboratori?
E’ un versante di particolare importanza. L’aggressione al patrimonio mafioso è determinante in una situazione nella quale l’associazione mafiosa, come qualunque altro soggetto, si trova a vivere in un contesto di crisi economica generale. Intervenire sui patrimoni, tagliare alla base le utilità e i profitti delle attività criminali non può che essere decisivo, perchè mette in difficoltà l’associazione. Sono convinto che la serie di fenomeni, che in altre occasioni ho definito “fibrillazioni criminali”, siano in qualche modo direttamente legate a una strategia generale di contrasto da parte dello Stato che riguarda il versante patrimoniale.. In questo momento vi sono in trattazione, davanti al tribunale, delle misure di prevenzione patrimoniali in particolare tra le più rilevanti, e noi come procura sosteniamo l’accusa. Trapani, ad ogni modo, si sta rivelando una posizione particolarmente importante e delicata.

In riferimento alle minacce di cui lei è stato oggetto insieme ad alcuni sostituti, che risposte avete ricevuto dalle istituzioni e qual è oggi la situazione, dal punto di vista della sicurezza, che la Procura di Trapani deve affrontare?
La situazione si è fatta pesante, vi è stata una serie ripetuta di episodi che hanno interessato la mia persona e non solo, che hanno riguardato anche la sicurezza della struttura, del palazzo, del materiale investigativo. È quindi una situazione molto complessa, che è stata sicuramente aggredita nella sua capacità globale da una serie di episodi, di minacce, di pressioni, di interferenze. Penso, per esempio, al rinvenimento di quella parte di congegno – una microspia, sprovvista dei collegamenti per trasmettere il segnale audio, piazzata accanto alla porta d’ingresso riservata ai magistrati, ndr – . Ciò ha creato un momento di pressione e di tensione nell’ufficio.
Bisogna quindi cercare di leggere e decifrare la situazione nel suo complesso e gli effetti che ha determinato, anche alla luce di una serie di dinamiche del contesto criminale e mafioso. La risposta dello Stato sicuramente c’è stata, gli organi preposti alla sicurezza si sono messi in azione, quantomeno a Trapani. La Prefettura di Trapani e gli organi di polizia si sono attivati al massimo delle loro potenzialità. Sono lieto, tra l’altro, di avere ricevuto un segno importante da parte del Ministro dell’Interno Alfano, che ha dato un segno diretto di vicinanza alla Procura di Trapani. Non ho idea delle evoluzioni future ma posso assicurare che c’è il massimo dell’attenzione, siamo intervenuti nella maniera più forte possibile anche in questo caso sulla struttura e sulla tutela del segreto investigativo. Stiamo andando incontro ad un notevole sforzo nella serie di indagini, di oggettiva delicatezza, di cui ci occupiamo sotto il profilo che ci compete in merito alle misure di prevenzione. Il tribunale di Trapani sta operando bene, con notevole impegno e una serie di vicende e di attività investigative. Per il resto possiamo solo cercare di prestare attenzione, e per attenzione intendo anche ad altri segnali, oltre alla decifrazione di ciò che questo quadro possa voler dire.

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