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Giulio Andreotti Le trame golpiste del generale De Lorenzo, i rapporti con Gelli e Sindona, gli omicidi di Ambrosoli e dalla Chiesa. Tra i protagonisti c’è sempre il Divo.
di Peter Gomez e Marco Travaglio - 7 maggio 2013

Chi non vuol far sapere una cosa – diceva Giulio Andreotti – non deve confidarla neanche a se stesso”. È forse l’unica legge che abbia sempre rispettato. Non c’è praticamente scandalo della Prima Repubblica che non l’abbia visto coinvolto, anche se è sempre uscito indenne da tutto: 26 richieste di incriminazione alla commissione parlamentare Inquirente (regolarmente respinte) e due processi penali (mezzo prescritto per mafia; condannato in appello e assolto in Cassazione per l’omicidio Pecorelli).

I banchieri di Dio.
Nel 195 5 è ministro delle Finanze. Il conte Marinotti, patron della Snia-Viscosa, gli presenta Michele Sindona, un fiscalista che ha fatto fortuna nella natia Sicilia commerciando al mercato nero con la mafia e gli Alleati. Andreotti resta colpito dalla sua “genialità”. Intanto non si accorge dei debiti miliardari accumulati da Giambattista Giuffré, “il Banchiere di Dio”: un ex impiegato di banca di Imola che raccoglie risparmi promettendo interessi del 70-100% e li spiega alle Fiamme Gialle come “un miracolo della divina provvidenza”. Ma ha ottimi santi in Paradiso e non succede nulla. Fino al crac. Nel 1958, ad accusare Andreotti in Parlamento per omessa vigilanza provvede il suo successore, il psdi Luigi Preti. Il Divo verrà scagionato da una commissione d’inchiesta.

Banane & aeroporti. Nel ‘64 salta fuori una truffa che, in barba alle gare d’asta, permetteva di assegnare la commercializzazione delle banane a imprese amiche. Finisce nei guai l’ex ministro dc Trabucchi. Ma l’Ad dei Monopoli Banane è un raccomandato diAndreotti.Lui,sullasuarivista “Concretezza”, ricorda l’esempio di Di Nicola che mai raccomandò nessuno, ma poi elogia l’arte del “nobile interessamento”, “routine pesante non priva d’incomprensioni e amarezze. Onore a Di Nicola, ma anche a quanti servono il prossimo in un modesto contatto umano”.
A proposito di pie raccomandazioni, fa molto chiacchierare la vicenda del nuovo aeroporto di Fiumicino, costato decine di miliardi più del previsto, costruito su aree dei Torlonia e affidato per la progettazione al col. Giuseppe Amici, condannato per collaborazionismo col fascismo. Una commissione parlamentare criticherà Andreotti: ordinò accertamenti su Amici, ma poi in Senato riferì gli esiti “affrettatamente”, coprendo le sue responsabilità.

Golpe & dossier. Agli anni di Andreotti alla Difesa risalgono le manovre golpiste del generale De Lorenzo. E le schedature del Sifar su 150mila cittadini. Compreso Scelba, “reo” di avere un’amante. Due colonnelli dell’Arma lo informano di avere indagato sulla sua vita privata e lui apostrofa il Divo in piena Camera : “È vero che stai indagando su di me?”. Lui naturalmente nega. Così come negherà di aver saputo qualcosa delle manovre di De Lorenzo e del Sifar. Pietro Nenni nei suoi diari si domanderà: “E allora, a chi faceva capo il Servizio?”. Proprio al Divo spetta far distruggere i fascicoli del Sifar nell’inceneritore di Fiumicino. Invece qualcuno li fotocopia e li passa a Gelli, che li nasconde all’estero per ricattare tutto e tutti. Nel ’66 Andreotti lascia la Difesa per l’Industria: per traslocare il suo archivio vengono mobilitati sei camion militari.

Petroli/1. Nel 1973 tre pretori di Genova – Almerighi, Brusco e Sansa – scoprono che dal 1966 il Parlamento ha approvato sgravi fiscali ai petrolieri in cambio di tangenti ai partiti di governo: 13 miliardi in sei anni. Tra i beneficiari c’è Andreotti, il cui nome in codice (“Andersen”) viene ritrovato nel taccuino dell’ufficiale pagatore dell’Unione Petrolifera.L’Inquirente archivia, cioè insabbia.

Bombe & bobine. Nel ’74 Andreotti torna alla Difesa. Il generale Maletti del Sid indaga sul golpe Borghese del 1970 e gli consegna un rapporto di 56 pagine. Lui riferisce al Parlamento, ma il giornalista Mino Pecorelli l’accusa di aver alleggerito il “malloppo” trasformandolo in “malloppino”. Il capitano Labruna racconterà che a fine luglio ‘74, in una riunione nello studio del Divo, si era deciso di tagliare dalle bobine degli interrogatori le parti in cui si citavano Gelli e altri fedelissimi di Andreotti coinvolti nel golpe. C’è poi il mistero di Guido Giannettini, il giornalista legato alla destra eversiva e al Sid, vicinissimo al Divo. Che però lo smaschera con una clamorosa intervista. Le sue reticenze al processo sulla strage spingono i giudici a chiedere all’Inquirente di indagarlo per falsa testimonianza. Invano.

Petroli/2. Nel 1974 i ministri della Difesa, Andreotti, e delle Finanze, Tanassi (Psdi) nominano il generale Raffaele Giudice comandante della Guardia di Finanza. Si scoprirà poi per la sua nomina i petrolieri hanno pagato tangenti a Dc, Psi e Psdi. E che Andreotti ha ricevuto varie lettere di raccomandazione pro Giudice dal cardinal Poletti. Giudice, iscritto alla P2, blocca subito le indagini su un mega-contrabbando di combustibili che ha causato un’evasione fiscale per 2mila miliardi. La Procura di Torino chiederà all’Inquirente di processare Andreotti per interesse privato. Richiesta respinta.

A Fra’ che te serve? Nel 1975 i fratelli palazzinari Gaetano, Francesco e Camillo Caltagirone, alla canna del gas, ottengono prestiti dall’Italcasse (noto feudo Dc) per 209 miliardi. Sono intimi di Andreotti ed elemosinieri della sua corrente. Pecorelli minaccia di pubblicare le fotocopie di una serie di assegni “consegnati brevi manu” al Divo. Nel 1979 verrà ucciso: delitto senza colpevoli.

Sindona, mafia e P2. Nel 1973, all’hotel Woldorf Astoria, davanti al gotha della mafia italo-americana, Andreotti celebra Sindona come “il salvatore della lira”. Il banchiere ricambia, finanziando la campagna referendaria Dc contro il divorzio. Un anno dopo fa crac. Elabora un piano di salvataggio che costerebbe ai contribuenti italiani 257 miliardi. E inizia a ricattare la Dc e Andreotti, che lo appoggia e lo incontra durante la latitanza. Ma la Banca d’Italia, col governatore Baffi e il vicedirettore Sarcinelli, si oppone. E così il commissario liquidatore della Banca Privata, Ambrosoli. Nel 1979 i giudici di Roma arrestano Sarcinelli e incriminano Baffi con accuse false. E un killer della mafia uccide Ambrosoli. Che, sulle sue agende, annotava: “Andreotti è il più intelligente della Dc, ma il più pericoloso”, “Andreotti vuol chiudere la questione Sindona a ogni costo”. Nei diari di Andreotti, Ambrosoli non è mai citato. “Ambrosoli se l’è cercata”, dirà Il Divo. Nel 1984 la Camera discute delle sue responsabilità politiche nel caso Sindona. L’aula è semideserta. Il Pci si astiene. Andreotti è salvo. Due anni dopo Sindona muore per un caffè al cianuro.

Gelli ed Eni-Petromin
. Il 17 marzo 1981 i giudici milanesi Turone e Colombo scoprono gli elenchi (incompleti) della P2: 962 persone, fra cui molti fedelissimi di Andreotti. I giornali ne parlano dal ’74. Marco Pannella, nel ‘77, ha rivolto un’interrogazione ad Andreotti per sapere se avesse ricevuto Gelli a Palazzo Chigi. Ma lui ripete di aver conosciuto Gelli solo di vista, negli Anni 50, all’inaugurazione della Permaflex di Frosinone. Bugia smentita da vari testimoni. Tra le carte sequestrate al Venerabile, i numeri di telefono di Andreotti e uno strano bigliettino di auguri del Divo: “Siate come l’uccello posato per un istante su dei rami troppo fragili,che sente piegare il ramo e che tuttavia canta sapendo di avere le ali”. Clara Canetti vedova di Roberto Calvi rivelerà che secondo il marito era Andreotti il vero capo della P2 (e aveva subìto “minacce di morte direttamente da Andreotti”, prima di finire impiccato a Londra). Tesi ripresa anche da Craxi nel-l’articolo “Belfagor e Belzebù”. Lo scontro fra Bettino e Giulio risale all’affare Eni-Petromin: un megacontratto concluso nel 1984 dal governo Andreotti per importare petrolio dall’Arabia Saudita, con tangente del 7% (100 miliardi) gli andreottiani e alla sinistra Psi ostile a Craxi per scalzarlo dalla segreteria.

Le ombre Moro e Dalla Chiesa. Nel 1982 il generale Dalla Chiesa viene inviato a Palermo come prefetto. Lì, abbandonato da tutti, viene ucciso da Cosa Nostra dopo 100 giorni. Nel suo diario ricorda l’ultimo incontro con Andreotti: “Andreotti mi ha chiesto di andare e, naturalmente, date le sue presenze elettorali in Sicilia si è manifesta per via indiretta interessato al problema; sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardo per quella parte di elettorato cui attingono i suoi grandi elettori … Il fatto di raccontarmi che intorno al fatto Sindona un certo Inzerillo morto in America è giunto in una bara e con un biglietto da 10 dollari in bocca, depone nel senso”. Nel 1986 Andreotti sarà interrogato come teste al maxi-processo. E smentirà il diario di Dalla Chiesa: il generale “dev’essersi confuso”. Nel 1990, durante i lavori di ristrutturazione di un covo milanese delle Br perquisito nel ‘78 dagli uomini di Dalla Chiesa, vengono ritrovate 400 pagine di documenti del sequestro Moro: lettere inedite e una copia del memoriale già consegnato ai giudici dall’Arma 12 anni prima. Pecorelli aveva insinuato che il documento fosse incompleto. Ora c’è la conferma: il nuovo memoriale contiene riferimenti a Gladio e accuse durissime ad Andreotti. Nel‘92 è proprio Cosa Nostra, col delitto Lima e la strage di Capaci, a sbarrargli la strada verso l’agognato Quirinale. E a trascinarlo davanti ai tribunali degli uomini. E poi a quello della Storia.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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