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agenda-rossa-borsellino-bigdi Lorenzo Baldo - 18 maggio 2013
La notizia rilanciata oggi da Repubblica relativa al video dei vigili del fuoco dove si vedrebbe l’agenda rossa di Paolo Borsellino accanto ai suoi resti ha creato un notevole clamore mediatico. Di fatto nel filmato che Antimafia Duemila ha visionato si vede una sorta di quaderno dal colore rosso accanto ad un corpo carbonizzato nel quale non si distinguono la testa e le braccia, privo di gambe, incastrato tra la parte anteriore di una macchina e il marciapiede. Nei 20 secondi durante i quali l’operatore dei pompieri filma questo dettaglio, quella che viene indicata come la possibile agenda rossa del giudice giace intatta sul suolo costellato di detriti e pezzi di carne umana.

Il filmato, però, lascia aperti alcuni interrogativi. Secondo la ricostruzione dei funzionari della Dia di Caltanissetta il cadavere ripreso in quel momento dal cameraman dei vigili del fuoco (a cui fa riferimento Repubblica) non è quello di Paolo Borsellino. Il corpo del giudice si trovava infatti nel giardinetto antistante il portone di ingresso dello stabile dove abitava la madre del magistrato e non incastrato tra una macchina e il marciapiede. Successivamente nel video, una ventina di secondi dopo le riprese del quaderno di colore rosso, avviene un cambio di immagine: si vede un lenzuolo che viene alzato al di sopra del corpo mutilato del giudice Borsellino. La fisionomia del suo volto, seppur annerito, è decisamente riconoscibile; è evidente che la salma del magistrato è posizionata in un altro luogo, lontano dalla macchina e dal marciapiede. Un minuto dopo l’immagine del giudice cambia prospettiva. In pochi istanti che racchiudono tutto l’amore e la pietà umana si vede il marito di Rita Borsellino che, in ginocchio, accarezza il volto del giudice assassinato sul quale sembra quasi di vedervi un sorriso.
Per quanto riguarda quindi il cadavere ripreso dai pompieri accanto al quaderno di colore rosso gli investigatori ipotizzano che potrebbe essere quello dell’agente di scorta Claudio Traina. E’ evidente che il “dettaglio” di quell’agenda rossa accanto al corpo carbonizzato non è stato a suo tempo particolarmente attenzionato dagli investigatori e quindi la segnalazione di Repubblica merita decisamente ulteriori approfondimenti investigativi. Ma le possibilità che l’agenda rossa fosse nelle mani di Borsellino al momento dello scoppio dell’autobomba sono davvero minime. Il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino aveva deciso di guidare personalmente la macchina nel tragitto da Villagrazia di Carini a via D’Amelio. Il giudice si trovava da solo nell’auto, presumibilmente aveva appoggiato la sua valigetta, dentro la quale era riposta la sua agenda rossa, sul sedile posteriore, o sul pianale posteriore. Una volta arrivato sotto casa della madre era sceso a suonare al campanello del civico 19. Per quale motivo Borsellino sarebbe dovuto scendere dalla macchina tenendo in mano la sua preziosa agenda? Di fatto si trattava di attendere qualche minuto fino a quando sua madre sarebbe scesa e insieme sarebbero andati dal cardiologo per una visita di controllo dell’anziana signora. Ma se invece quell’agenda fosse stata nelle mani del giudice, come è possibile ritrovarla integra nonostante l’esplosione dell’autobomba? Come è noto i 90 chili di esplosivo posizionati nel bagagliaio della fiat 126 hanno scatenato l'inferno in via D’Amelio. Il famigerato “Semtex-H”, un esplosivo di produzione cecoslovacca contenente T4 e Pentrite (venduto legalmente fino al 1989, dopodichè in dotazione soltanto alle Forze Armate e soprattutto merce di scambio tra ambienti legati ai servizi e la criminalità organizzata), ha carbonizzato e sbriciolato corpi, bombardato muri, polverizzando letteralmente qualunque cosa trovasse sulla sua traiettoria. Come potrebbe quindi essere rimasta integra un’agenda fatta di carta investita da una fiammata violentissima? Gli investigatori ricordano che nell’immediatezza dello scoppio dell’autobomba le stesse armi in dotazione agli agenti di scorta scoppiavano per la reazione termica. Resta infine appesa ad un filo la domanda su chi fosse l’uomo in abiti civili vicino all’auto di Borsellino nei minuti successivi alla strage. E sono le stesse dichiarazioni dell'ispettore Giuseppe Garofalo, in servizio il 19 luglio ‘92 alla Sezione Volanti della Questura di Palermo, ad alimentare gli interrogativi. “Ricordo – aveva raccontato Garofalo agli investigatori – di avere notato una persona, in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell’auto. A questo proposito non riesco a ricordare se la persona menzionata mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l’ho vista con la borsa in mano o, comunque, nei pressi dell’auto del giudice. Di sicuro io ho chiesto a questa persona chi fosse per essere interessato alla borsa del giudice e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi. Sul soggetto posso dire che era vestito in maniera elegante, con la giacca, di cui non ricordo i colori. Ritengo che se mi venisse mostrata una sua immagine potrei anche ricordarmi del soggetto”. A quel punto i funzionari della Dia hanno sottoposto all'attenzione dell'ispettore Garofalo il video che riprendeva Giovanni Arcangioli mentre si allontanava da via D’Amelio reggendo la valigetta di Paolo Borsellino. Ma l'ispettore ha escluso che si potesse trattare della stessa persona in quanto l'abbigliamento del personaggio appartenente ai Servizi era completamente diverso dallo stile casual di Arcangioli. Il 16 novembre 2005 davanti agli inquirenti Garofalo aveva ravvisato “forti somiglianze tra l'Adinolfi (il tenente colonnello del Ros di Palermo Giovanni Adinolfi, ndr) e il soggetto qualificatosi in forza ai Servizi ed interessatosi della borsa”, poi però in data 20 gennaio 2006, visionando nuovamente insieme agli investigatori le immagini dell'attentato Garofalo “non riconosceva nessuno (neanche l'Adinolfi) ravvisando somiglianze con un soggetto (non meglio identificato) non corrispondente alla figura dell'Adinolfi”. Sulla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino restano quindi intatti molti interrogativi, dubbi e ipotesi investigative. Il caso sollevato da Repubblica riaccende nuovamente l’attenzione su quella che a ragione è stata definita “la scatola nera della Seconda Repubblica”. E sono gli stessi che l’hanno fatta sparire a preoccuparsi che non possa più riaffiorare dagli archivi di Stato.

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