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provenzano-bernardo-web2di Miriam Cuccu - 15 maggio 2013
La ricerca dei superlatitanti da parte di pochi coraggiosi militari sembra non essere gradita dai vertici delle forze dell'ordine in Sicilia. Dopo il maresciallo Saverio Masi, attuale capo scorta del pm Nino Di Matteo, che ha denunciato l'atteggiamento di aperta ostilità dei capi dell'Arma, ora un altro carabiniere dichiara di essere stato ostacolato nelle sue indagini sulla cattura di Provenzano e Messina Denaro. E di aver presentato più volte relazioni di servizio sistematicamente ignorate o depistate. Si tratta del luogotenente Salvatore Fiducia, impegnato in un filone investigativo separato rispetto a quello del maresciallo (tali erano stati gli ordini ricevuti di evitare qualsiasi comunicazione orizzontale) ma che li avrebbe visti entrambi impegnati nella medesima ricerca del covo dei due capimafia.
Dopo aver incontrato i legali di Masi, gli avvocati Giorgio Carta e Francesco Desideri, Fiducia ha deciso di presentare un esposto circostanziato agli episodi avvenuti tra il 2001 e il 2004 quando, a un passo dalla cattura di 'Binnu' Provenzano, avrebbe ricevuto inspiegabili ordini di non proseguire le indagini. Ordini che il luogotenente si sarebbe sentito ripetere nel 2011, quando era impegnato nella ricerca del covo del boss trapanese Messina Denaro, tuttora latitante.

In particolare Fiducia presentò, nel 2004, una relazione basata sulle confidenze di Giuseppe Calcagno, che descrisse a lui e al suo collega, l'appuntato Favara, la nuova struttura di Cosa nostra nel mandamento di Porta Nuova-Corso Calatafimi-Santa Rosalia-Pagliarelli-Centro. Calcagno, che divenne in seguito collaboratore di giustizia, raccontò ai due carabinieri del ruolo di Gianni Nicchi, giovane referente del mandamento in contatti diretti proprio con Provenzano. In seguito alla consegna della relazione di servizio, tramite la quale dovevano essere allertati i pubblici ministeri, Fiducia ne chiese al Comando una copia, che gli venne negata con un divieto di accesso agli atti amministrativi di 50 anni. E quando la Commissione, accogliendo il ricorso del carabiniere in base al quale aveva diritto alla visione del documento entro trenta giorni per riesaminarla, il comandante del Nucleo Operativo del Comando Provinciale di Palermo, il colonnello Gosciu, informò Fiducia di non aver inviato la relazione in Procura e di non esserne più in possesso.
Secondo la ricostruzione dei due legali Fiducia venne ostacolato più volte e i suoi superiori, pur di evitare lo sviluppo delle indagini in corso, lo mandarono contro la sua volontà in Iraq per la conoscenza che aveva dell'arabo. Al suo ritorno si ritrovò trasferito alla Stazione dei Carabinieri di San Lorenzo a Palermo, dove attualmente lavora.
Nel corso della conferenza stampa gli avvocati Carta e Desideri hanno parlato del nuovo 'corvo' di Palermo, che il 18 settembre scorso ha inviato per posta, a casa del sostituto procuratore Nino Di Matteo, una lettera di dodici pagine i cui contenuti spaziano dall'archivio di Riina al ruolo svolto da alcuni politici a conoscenza della trattativa: “Teniamo a precisare che questo 'corvo' non può essere Fiducia e neanche Masi, che già nel 2010 si è esposto con le sue dichiarazioni. Masi sostiene che si tratti di qualcuno che ha lavorato con lui nello stesso reparto e nello stesso periodo. Un personaggio al quale si è rivolto, pregandolo di denunciare questi stessi fatti, ma che ha scelto una via intermedia”.
L'avvocato Carta ha poi spiegato come “prima Masi poi Fiducia, nelle loro indagini, individuano dei casolari dove sarebbero presenti i latitanti, ma anziché essere incoraggiati e dotati di strumenti tecnici, uomini e mezzi, viene ordinato loro di interrompere tutto, o di coordinarsi con il Ros” rischiando di non avere più la gestione delle indagini e perdendole di vista.
Così proseguì indisturbata la superlatitanza di 'zu Binnu' fino al 2006, dopo 41 anni in cui il boss si nascondeva, col beneplacito di alcune figure istituzionali, nei pressi di Corleone. Sullo sfondo, quella trattativa Stato-mafia che dopo l'arresto di Totò Riina era passata nelle mani di Provenzano.
Inutilmente i due militari hanno cercato, da dieci anni a questa parte, di denunciare il pesante clima di ostilità che incontravano appena si profilava la possibilità di catturare i boss di Cosa nostra. Masi, comparso il 21 dicembre 2010 come testimone nel processo contro gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Mauro Obinu per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso, dichiarò all'autorità giudiziaria di essere stato ostacolato dai suoi superiori nelle indagini, che il maresciallo seguiva nel suo tempo libero. Destinato sistematicamente ad altre mansioni, Masi per compiere gli appostamenti nei casolari usciva anche in orari notturni servendosi di vetture private. Per questo è stato condannato in primo grado per falso e tentata truffa. Il militare avrebbe infatti cercato di farsi annullare una multa da 100 euro dichiarando che si trovava in servizio, anche se con la propria autovettura. Una circostanza che, nell'ambiente degli addetti ai lavori, si rivela sempre più frequente e necessaria a causa della carenza di mezzi, ma soprattutto per non essere riconosciuti. Quasi mai, di regola, vengono adoperate macchine anonime, specie a Palermo, dato che è estremamente facile risalire all'intestatario del veicolo. Per questo i militari preferivano usare una macchina di loro proprietà o intestata ad amici e familiari. Specialmente a seguito dell'arresto, in epoca recente, di un sottufficiale dell'Arma del reparto operativo che avrebbe riferito alle associazioni malavitose i veicoli che venivano impiegati dalle forze dell'ordine per fare i sopralluoghi.
In base a quanto sostenuto dagli avvocati Carta e Desideri, altri due carabinieri avrebbero intenzione di testimoniare di aver subito il medesimo trattamento da parte dei capi dell'Arma: “Quando siamo stati a Palermo abbiamo incontrato un altro carabiniere, di cui al momento non possiamo rivelare il nome, che dichiara di avere ricevuto gli stessi ordini e subito gli stessi ostacoli, sempre nello stesso periodo e sempre su latitanti di grosso calibro come quelli in questione. Questo terzo carabiniere, insieme a un altro che non abbiamo ancora incontrato, è disponibile a riferire all'autorità giudiziaria di aver subito lo stesso tipo di atteggiamento riscontrato da Masi e Fiducia”. Uno scenario che conferma come uomini appartenenti alle istituzioni si siano messi di traverso per impedire, fino al 2006, la cattura di Bernardo Provenzano. E che continuano, da oltre vent'anni, a proteggere la latitanza di Matteo Messina Denaro.

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