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gozzo-nico-big0di Nico Gozzo - 24 aprile 2013
La critica ai provvedimenti giudiziari - quella non pregiudiziale cui siamo stati, purtroppo, abituati negli ultimi venti anni - e' uno dei fondamenti dello stato democratico. Il giudice, il pubblico ministero, possono, direi quasi devono, essere criticati per i provvedimenti che emettono, ed anche per le cose che dicono, con motivazione idonea, e nel pieno rispetto della funzione giudiziaria.
Questo e' quello che ho sempre pensato, e lo ribadisco oggi di fronte alle considerazioni di Giorgio Bongiovanni (che, come si vedrà, non condivido) a margine della conferenza stampa che ha seguito l'esecuzione di otto nuove ordinanze di custodia cautelare per la strage di Capaci.
Dunque, non mi stupisce certo che possano essere avanzate considerazioni critiche al riguardo.
Fatto e', comunque, che su queste considerazioni vi sono molte cose da specificare, nel pieno rispetto dei rispettivi ruoli. In primo luogo, il fatto che una parte essenziale di quanto riportato non corrisponde a quanto, a mio avviso, è stato detto in conferenza stampa, e soprattutto a quanto è stato anche soltanto pensato.

Ho il privilegio di lavorare con il dott. LARI ormai da quattro anni, e conosco bene quali siano le sue idee sulle stragi del 1992, idee condivise –grazie ad una efficacissima circolazione delle notizie - da tutti i colleghi della DDA che seguono le indagini ed anche da me, e che sono semplici e chiare, sempre le stesse, ribadite in tante occasioni.
Ed allora:

1.    in primo luogo, e' improprio e fuorviante parlare di mandanti esterni. Tutte le prove raccolte, tutti gli elementi agli atti, depongono per una associazione mafiosa che non necessita di soggetti che dall'esterno "comandano" ed "impongono" una linea, lasciando Cosa Nostra ad essere solo una "agenzia del crimine", un gruppo di killers che viene via via assoldato da questo o quel potente, che sarebbe, dunque, il vero responsabile degli eccidi compiuti dall'associazione. Diceva qualcuno che ne capiva qualcosa di mafia che Cosa Nostra, la Cupola, non accetta qualcosa di sovraordinato, un terzo (quarto o quinto) livello che la comanda e le dà ordini. Cosa Nostra e' tendenzialmente autarchica, e cerca di essere il più possibile autosufficiente.

2.    Questo non significa in alcun modo che non vi possano essere stati concorrenti esterni, quelli che "tentano di orientare" (per usare le parole di Falcone riportate nell'articolo) le azioni della mafia. Quell'area grigia della contiguità, della insipienza, quella palude in cui vennero inghiottiti tanti uomini dello Stato cui lo Stato non fu in grado di garantire la vita. Il Procuratore in conferenza stampa ha proprio fatto riferimento ad una circostanza che l'articolo cita per parlare dei "mandanti". Ha detto, infatti, che il vero punctum dolens delle indagini, il "buco nero" più importante, ha una data ben precisa: 4 marzo 1992. Otto giorni prima dell'uccisione di Salvo Lima, due mesi prima di Capaci, Riina ricevette Sinacori, a margine di una riunione di appartenenti alla Cupola palermitana. Sinacori era appena rientrato con l'aereo da Roma dove prima si trovava con un commando di killers di Cosa Nostra per uccidere Falcone con mezzi preferibilmente "ordinari", con le armi in pugno, e con estrema facilità, viste  anche le abitudini di Falcone. Riina, però, decise il "salto di qualità", lo disse a Sinacori, gli disse che erano state prese nuove decisioni. E queste decisioni, subito dopo, le comunicò anche, nello stesso luogo, a Brusca, chiedendogli di reperire l’esplosivo per Capaci, e dicendogli che  la strage si sarebbe fatta sull’autostrada che dall’aeroporto porta a Palermo. Riina, dunque, decise che la strage doveva avvenire con metodologia terroristico mafiosa, che doveva essere il più possibile "teatrale", che doveva indurre insicurezza per la pubblica incolumità. Che doveva scuotere le certezze, portare paura e raccapriccio. Ma per fare questo, erano richieste conoscenze e metodologie diverse, come quelle già utilizzate in altri casi da Cosa Nostra, di tipo terroristico per l'appunto. E qui entrò in gioco Rampulla, che è un uomo d’onore, ed in quanto tale venne utilizzato. Certo, non si nega che Rampulla ha avuto anche altre “appartenenze”, era persona certamente vicina ad ambienti della destra eversiva, per esempio a Rosario Cattafi. Persona a lungo sospettata di vicinanza ai c.d. “servizi deviati”. E’ un capitolo su cui tante volte, in questi venti anni, è tornata questa Procura. Un capitolo, purtroppo, non riaperto dalla “collaborazione” di Cattafi, che lo ha portato unicamente a parlare di trattativa. E non di cose forse ancora più scomode.

3.    Quello che ha voluto dire il Procuratore e' chiaro, ma lo esplicito qualora non fosse stato ancora compreso: e' al 4 marzo 1992 che si deve datare un possibile "tentativo di orientamento" della pentola in ebollizione che era Cosa Nostra dopo la debacle del primo maxi processo, appena concluso con le tantissime condanne della sentenza definitiva della Cassazione. Qui si deve scavare, su chi ha potuto influire sulla decisione di Cosa Nostra di “cambiare registro”. Su questo punto essenziale, non a caso, poco e' stato raccolto in tutti questi anni. Qui non ci sono mai stati neanche i ritardati ricordi, maturati dopo 17 anni per la vicenda della c.d. "Trattativa". Qui qualcuno potrebbe sostenere che c'e' stato, forse, insufficiente impegno dello Stato a ricercare cosa fosse accaduto.

4.    Perché questo impegno insufficiente? Perché lo Stato ha seguito, anche nelle sue articolazioni investigative e giudiziarie, tante altre "sirene": inizialmente, subito dopo le stragi, si diceva che le stragi non erano tutte uguali, che Falcone era stato ucciso da Riina, mentre Borsellino da Provenzano, e che le stragi del 1993 erano cosa diversa. Tutto falso. Un unico filo rosso (o nero) lega tutte quante le stragi, dal 1992 al 1994, e si chiama Graviano. I Graviano sono sempre presenti. Sempre. Dopo questo indirizzo errato nelle indagini, si è arrivati, nelle indagini su via d’Amelio, alla stagione dei falsi pentiti come Scarantino. Poi, mutati i tempi, di fronte ad una richiesta sacrosanta di verità che veniva dalla cittadinanza, forse le forme di possibile depistaggio sono mutate. Si è passati alle false "bombe investigative", che sembrano raggiungere risultati incredibili, che sembrano squarciare il velo delle ipocrisie, quelle “bombe” che ci portano dritti al cuore del potere, che ci fanno sentire quello che avevamo sempre sospettato e che avremmo voluto sentire nelle aule giudiziarie, il massimo possibile. Le indagini relative sono lunghe e difficili, e raramente hanno un esito processuale. Questo voleva dire il Procuratore quando riferiva che "non ci sono mandanti esterni". Oltre ad essere improprio il termine “mandanti”, come abbiamo detto prima, in punto di fatto nessuno può negare, e nessun magistrato inquirente ha mai affermato, che ci sono prove su “mandanti esterni” delle stragi. Non c’è neanche il minimo necessario per parlarne in una conferenza stampa. Figuriamoci perché la Procura di Caltanissetta possa promuovere processi. Che sono l'unico scopo che deve muovere un magistrato del Pubblico Ministero, che non può certo tendere a fare "scoop", o ad orientare le masse.

5.    Deve dirsi, poi, che la conferenza stampa riguardava una indagine, quella nuova su Capaci, quella che noi chiamiamo già "Falcone Bis", che riguarda i capi criminali che hanno reperito l'esplosivo di Capaci. E lo hanno fatto giovandosi anche delle conoscenze di un esperto di esplosivi da cava, che ha indicato le modalità (tunnel il più piccolo possibile, con meno "vie di fuga", metodologia di posizionamento dell’esplosivo, etc...). Un esperto che in tempi andati, ed a margine di un interrogatorio, Gioacchino La Barbera, il collaboratore (non Arnaldo, il poliziotto, come erroneamente indicato nell’articolo), indicava come un parente di Brusca, come quest'ultimo ha confermato – senza sapere nulla delle dichiarazioni di La Barbera. Tutto l'esplosivo utilizzato ha, dunque, adesso una sua giustificazione. Una parte proviene da Brusca e da una cava siciliana. Una parte proviene da Graviano e dalle bombe di profondità. Sappiamo come e' stato trovato, come e' stato composto, come e' stato piazzato. Le consulenze tecniche concordano. Il buco nero delle prime indagini è stato colmato, su questo segmento probatorio siamo arrivati al 99% della verità. Tra le vecchie indagini della dott.ssa Boccassini, il dibattimento seguito dal dott. Tescaroli, e le nostre nuove indagini, 45 mafiosi di alto rango, tutta la Cupola di Cosa Nostra, ed importanti uomini d’onore esecutori, sono stati assicurati alla Giustizia. Mi pare un risultato da non disprezzare, in un paese in cui moltissime stragi sono “senza volto”, anche avuto riguardo agli esecutori. Ma anche a noi, come ai familiari, questo non basta. E continueremo a cercare a 360°, come abbiamo fatto sino ad oggi, in silenzio ed operosamente.

6.    Il Procuratore rispondeva, in conferenza stampa, ad uno dei numerosissimi libri sulle stragi, l'ultimo uscito, che, con un tempismo incredibile, che solo in Italia può trovare eguali, ha avuto ospitalità su di un settimanale. Un articolo dato alle stampe quattro giorni prima di una operazione, quasi a volerla “indirizzare”. Se fossi un complottista, direi che ci sono dietro i soliti servizi. Ma io sono uso a stare con i piedi per terra, e dico che c'è stata una insufficiente tenuta della notizie dell’ormai prossima esecuzione dell’ordinanza, e l'autore del libro ha pensato che non ci fosse occasione migliore per lanciarlo che in corrispondenza di una nuova ordinanza su via d’Amelio. Ed ecco lo scoop. Basato, però, su dati falsi, o che, allo stato, non possono assurgere neanche lontanamente al ruolo di prove. Si parlava, in quell'articolo, di guanti di lattice trovati nel cratere di Capaci (facendo balenare, dunque, che fossero nel cunicolo, riportati alla luce dall'esplosione) dicendo che non trovavano spiegazione nelle dichiarazioni dei pentiti. Ma questo, allo stato, non è vero: i guanti sono a quasi cento metri dal cratere, ed i pentiti parlano diffusamente di questi guanti. Tra questi proprio quel La Barbera della Famiglia di Altofonte, quello, per intenderci, che parlava con Gioe' in via Ughetti del c.d. "attentatuni". Un pentito che sulla strage e' risultato pienamente confermato. Una prova. Non fumo. Arrosto. Non abbiamo bisogno di fumo, non abbiamo bisogno di raccogliere e mettere in fila tutte le cortine fumogene che sono state disseminate sul cammino degli investigatori in tutti questi anni: alla fine, sempre fumo avremo in mano. E per trovare la verità abbiamo la necessità di cose fondate e serie. Le cose infondate non diventano fondate con il semplice passaggio del tempo. Occorre provare che quanto era stato raccolto, e che non sosteneva più una data ricostruzione, sia falso. Per via d'Amelio l'abbiamo fatto. Ma è una operazione difficile, che richiede giustamente sangue sudore e lacrime. E che non consente un semplicistico ragionamento (siccome c'è stato un possibile depistaggio, tutte quelle indagini sono certamente un depistaggio) che equipari le risultanze che hanno dignità e solidità di prove, a "rumors", a "gossip", a fatti che della prova non hanno, allo stato, alcuna caratteristica e consistenza.

7.    Il Procuratore parlava in una conferenza stampa relativa ad una ordinanza di custodia cautelare. Parlava di prove. Davanti alla Commissione parlamentare si parla anche di possibili scenari, non solo di prove. Si può parlare anche di sospetti. Anche noi lo abbiamo fatto. Riportare, dunque, le parole dell'ex Procuratore Nazionale Grasso in quella sede per contrapporle a quelle del Procuratore Lari mi pare improprio.

Concludendo, abbiamo dimostrato, in questi anni, di fare le indagini senza guardare in faccia nessuno. Lo abbiamo fatto anche quando qualcuno sostenne che questa Procura aveva iscritto per “deferenza” chi faceva dichiarazioni su di un potente, invece di chi era oggetto delle dichiarazioni. Ma quel dichiarante dopo pochi mesi è finito in carcere, e non per nostra mano, proprio per calunnia di quel potente. Nessuno ci ha mai chiesto scusa di quelle accuse tanto infondate quanto false, che facevano a pugni con la nostra storia di magistrati.
Ma dire che il dott. Lari dichiara che “non ci sono mandanti esterni”, senza spiegare cosa intende, e senza neanche chiedere a lui stesso spiegazioni prima di scriverlo, rischia di produrre, chiaramente senza intenzione, ma senza motivo la delegittimazione di un intero ufficio, oltre che dello stesso Sergio Lari; e questo proprio in un momento in cui – come giustamente avete scritto in altri casi – i magistrati non dovrebbero essere lasciati soli, o, peggio, essere isolati.
Nico Gozzo


Stimato dott. Gozzo,
penso che riconoscere gli errori sia una delle regole primarie del giornalista. Inizio quindi subito a riconoscere l’errore relativo al lapsus legato a La Barbera cui mi sono riferito nel mio articolo. In merito ai punti da lei citati nella sua lettera ci tengo però a ribadire alcuni concetti. Fin dal primo numero di Antimafia Duemila abbiamo seguito i processi sulle stragi, ritengo quindi di conoscere a fondo i fatti trattati. Per quanto riguarda la persona di Elio Ciolini, lei e il procuratore Lari non avete risposto in merito. Si trattava di un invasato, di un visionario o forse di un appartenente ai Servizi segreti? Al momento non è dato saperlo. Sicuramente non era un esponente di Cosa Nostra e se non lo era viene a cadere  “il mito” (al quale indubbiamente credeva anche Falcone) che Cosa Nostra non prende ordini da nessuno. Come mai allora delle decisioni strategiche vitali ne hanno contezza anche soggetti esterni che per altro arrivano a condividerle? L’esempio più eloquente resta l’episodio citato da Gaspare Spatuzza in merito alla presenza di un personaggio esterno a Cosa Nostra all’interno del garage nel quale si stava imbottendo di esplosivo la Fiat 126 utilizzata poi nella strage di via D’Amelio. Ci avevano ugualmente abituato all’altro “mito” relativo al fatto che Cosa Nostra non utilizzava mai nei propri attentati esecutori “esterni”, ma anche questo è venuto a cadere, così come cadrà il dogma che la mafia non prende ordini da nessuno.
Gentile dott. Gozzo, di fatto lei non mi ha risposto sulla questione relativa ai legami di Antonino Gioè con Paolo Bellini, un personaggio sotto copertura legato ai Servizi segreti. Né tantomeno c’è stata risposta in merito al bigliettino ritrovato nei pressi del cratere di Capaci sul quale era annotato un numero telefonico appartenente ad un agente dei Servizi segreti. Potrei elencarle molti altri buchi neri emersi grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia (soprattutto quelli che facevano parte della c.d. “Cupola”) del calibro di Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè e Salvatore Cancemi. Parafrasando ciò che mi ha scritto riguardo “un unico filo rosso (o nero)” che “lega tutte quante le stragi, dal 1992 al 1994, e si chiama Graviano” basterebbe riprendere le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza in merito al riferimento a Dell’Utri e Berlusconi fatto dallo stesso Graviano (“…ci siamo messi il Paese nelle mani…”). Potrei continuare ulteriormente ma non credo che questa sia le sede adatta. E comunque, al di là di tutto ciò, resto convinto che voi magistrati, ancora più di noi giornalisti, riuscirete a trovare le risposte a tutti questi interrogativi in quanto in questi anni avete cercato le verità, dimostrando di voler continuare a cercarla.
La mia osservazione al procuratore Lari, persona che ritengo intelligente e colta, è un’altra e riguarda la sua metodologia comunicativa. Nello specifico riguarda l’informazione rivolta alla gente comune, così come ai giornalisti, in merito alle risultanze investigative su una strage che ha letteralmente distrutto la nostra Repubblica. A mio avviso dire all’intera collettività che non ci sono mandanti esterni nella strage di Capaci - così come ha affermato il procuratore Lari - significa mentire a se stessi. E questo perché il dott. Lari, così come lei, dott. Gozzo, e come tutti i giusti e gli onesti di questo Paese, sapete benissimo che uomini di Stato, potenti e mafiosi hanno deciso la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta.
So bene che un magistrato deve parlare solo sulle prove acquisite, ma ritengo che un magistrato sia anche un uomo con un pensiero, capace di esprimere concetti, idee , che si forma delle certezze per poi esprimerle alla gente che, ignara e innocente, aspetta di sapere la verità.  Ecco perché ribadisco che secondo me il procuratore Lari ha sbagliato e quindi sottolineo quanto ho scritto nel mio articolo: “Caro dott. Lari, non sarebbe stato meglio dire pubblicamente ‘Non ci sono le prove per accertare l'esistenza dei mandanti esterni, ma siamo convinti che Cosa nostra è stata ispirata e condizionata da altri poteri in seno allo Stato e fuori dallo Stato?’”.
Caro procuratore Gozzo, le scrivo dopo aver presenziato all’udienza del processo “Borsellino quater” nel quale il mio collega Lorenzo Baldo, a nome della redazione di Antimafia Duemila, ha testimoniato di fronte alla Corte di Assise. E’ esattamente questo spirito di servizio che anima il nostro lavoro. Senza alcuna presunzione e con grande umiltà ritengo quindi di poter dire che abbiamo dimostrato con il cuore (e seguiteremo a farlo) di volere sostenere voi magistrati antimafia che continuate a far camminare sulle vostre gambe le idee e gli insegnamenti dei vostri e nostri fratelli caduti.
Giorgio Bongiovanni

In foto: Nico Gozzo

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