di Aaron Pettinari - 3 aprile 2013
Nelle due lettere inviate alla Procura di Palermo, la prima arrivata sul tavolo del procuratore di Palermo Messineo, la seconda su quello dell'aggiunto Vittorio Teresi, non vi sono solo le minacce al pm della trattativa Stato-mafia e a quella di un non specificato “collega nisseno”. All'interno delle missive, identiche nel contenuto e scritte al computer, vi sono una serie di elementi gravi che contribuiscono ad alzare il livello di guardia non solo nei confronti di uno dei magistrati più esposti d'Italia ma anche sulla sicurezza dell'intera Nazione, per un colpo di mano politico sulla falsa riga di quello avvenuto immediatamente dopo la stagione stragista. L'anonimo, che si descrive come “uomo d’onore della famiglia trapanese di Alcamo” (una qualifica che già apre a diversi interrogativi sulla reale identità dell'autore della missiva) scrive che l’eliminazione di Nino Di Matteo è stata decisa “in alternativa a quella di Massimo Ciancimino”, ed “è stata chiesta dagli amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr), perché questo paese non può finire governato da comici e froci”.
A dare l'assenso sarebbe stato la stessa primula rossa di Castelvetrano che a sua volta “ha coinvolto altri uomini d’onore, anche detenuti. Persino Riina, tramite il figlio è d'accordo”. Parole che vanno sì pesate, ma che detengono una forte probabilità di attendibilità se si considera che lo stesso anonimo ha raccontato per filo e per segno tutti gli spostamenti di Di Matteo indicando persino i luoghi dove sarebbe più scoperto. L'attentato si sarebbe dovuto verificare in maggio con armi ed esplosivo nascosti in alcuni depositi nel palermitano. “Ho conosciuto altri affiliati della famiglia di Palermo - scrive con qualche sgrammaticatura - è stato deciso di fare il lavoro entro maggio. I due delitti (l'altro a cui fa riferimento è quello a Ciancimino ndr) sono stati commissionati anche da altre famiglie. Le armi sono custodite in un deposito di viale Regione Siciliana. Di Matteo lo dovremo affrontare con un commando di due macchine e tre moto. Ciancimino, una moto di supporto più uno scooter dovrebbe bastare. Lui usa la bicicletta, esce col cane, una volta alla settimana va in via Bentivegna, dalla polizia”. Proprio la minuzia di particolari con cui vengono riferiti gli spostamenti delle due “vittime” ha fatto sobbalzare sulla sedia tanti addetti ai lavori. In riferimento al magistrato nisseno l'anonimo scrive: “Ho sentito dire che stanno studiando anche i movimenti di un magistrato di Caltanissetta, uno che quando torna a Palermo passa sempre da via… (e indica la via, ndr)” e in merito è stata aperta un'indagine a Palermo. Quindi l'anonimo conclude: “Io ho una coscienza, ci chiedono di ammazzare altri giudici. Non diteci che non sapevate nulla”.
Il ritorno alla “strategia stragista” è preso in seria considerazione dagli inquirenti. Secondo Messineo: “Il clima complessivo è tale da destare la massima attenzione perché ci sono numerose analogie tra la situazione attuale e il ’92: abbiamo lo stallo istituzionale, una fase di confusione politica e un’imminente elezione del capo dello Stato. Questo è il motivo per cui abbiamo chiesto l’adozione di nuove misure di sicurezza, scattate immediatamente, con una apprezzabile sensibilità istituzionale”. Anche il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, titolare delle indagini sul progetto di attentato a Di Matteo, è convinto che “Stiamo vivendo un momento storico simile a quello del ‘92 quando, purtroppo, gli esposti anonimi vennero sottovalutati”. Chiari i riferimenti alle vicende di quegli anni quando veline, telefonate misteriose (come quelle di Falange Armata su cui è stato aperto un nuovo filone d'indagine sulla trattativa), lettere (vedi quella di Ciolini che anticipava l'omicidio Lima ndr), lasciavano intendere l'imminenza di un'azione eclatante volta da una parte a destabilizzare il Paese, dall'altra a stabilizzarlo secondo un “nuovo ordine”. Così come era avvenuto nel 1994. L'ultimo a parlarne era stato il pentito Gaspare Spatuzza riferendo del famoso incontro nel gennaio di quell'anno con il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, al bar Doney di Via Veneto a Roma. “Quando a Roma viene Graviano prima dell'attentato contro i carabinieri all'Olimpico di Roma (poi scampato per un guasto al telecomando ndr), di cui su sua richiesta dovevano rafforzare la portata per uccidere il piu' alto numero di militari mi viene data indicazione di recarmi in un bar della capitale, il Doney. Lì incontrai Giuseppe Graviano che aveva un'espressione felice. Mi disse che aveva definito tutto e ottenuto tutto quello che ci aspettavamo. La serietà di queste persone, aggiunse, ha permesso di ottenere tutto quello che chiedavamo, che non erano come quei quattro 'crasti' (cornuti, ndr), i socialisti, che si erano presi i voti senza poi fare nulla”. “Chiesi – aggiunge il pentito- se tra queste persone serie c'era Berlusconi, quello di Canale 5. Disse di sì e che c'era un nostro paesano, Dell'Utri. Ci avevamo messo, disse, il Paese nelle mani. Comunque l'attentato a carabinieri si deve fare per dare il colpo di grazia”. E secondo gli inquirenti, quest'ultimo, potrebbe essere un tassello importante dell'ultima fase della “trattativa” giunta oltre la stagione delle bombe.
L'incertezza in cui naviga oggi l'Italia riporta alla memoria tutti questi fatti e il riferimento dell'anonimo ad un possibile scenario politico (“questo paese non può finire governato da comici e froci”) apre ad un'inquietante possibilità in cui Cosa nostra e le organizzazioni criminali tornano protagoniste, alla ricerca di nuovi agganci con le istituzioni.
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