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dellutri-marcello-big3Chiesto l'arresto per “pericolo di fuga”
di Aaron Pettinari - 25 marzo 2013 - VIDEO
Quella di oggi è una giornata che resterà impressa comunque nella storia. Diciassette anni dopo l'avvio delle indagini, aperte nel 1994 dalla Procura di Palermo e sfociate nell'ottobre del 1996 nel rinvio a giudizio, la Corte d'appello di Palermo ha condannato Marcello Dell'Utri imputato di concorso esterno in associazione mafiosa confermando la pena di 7 anni. L'ex senatore è stato condannato anche a risarcire le spese legali delle parti civili che si erano costituite contro di lui, il Comune e la Provincia di Palermo: al Comune Dell'Utri dovrà versare 7.800 euro, mentre alla Provincia dovrà rimborsarne 3.500, come prevede il dispositivo.
Aspettando di leggere le motivazioni della sentenza può dirsi certo che Marcello Dell'Utri ha intrattenuto rapporti con Cosa Nostra, come specificato nella sentenza di primo grado e confermata successivamente anche in secondo, sin dagli anni Sessanta e Settanta. Quando portò negli uffici della Edilnord, a colloquio con l'amico Silvio Berlusconi, il boss Stefano Bontade, insieme ad altri soggetti appartenenti all'associazione mafiosa. E' di fatto da quel momento che ha assunto il ruolo di “mediatore” tra la mafia siciliana e l'impero economico dell'amico imprenditore. Ruolo che dopo il 1980, in seguito all'assassinio di Bontade, avrebbe mantenuto anche nell'epoca corleonese di Totò Riina e Bernardo Provenzano fino agli anni delle stragi iniziate nel 1992.

Il primo grado
Il primo processo ha avuto inizio il 5 novembre del 1997 davanti al Tribunale di Palermo presieduto da Leonardo Guarnotta. Dopo sette anni si è concluso l'11 dicembre del 2004 con la condanna dell'imputato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, più due anni di libertà vigilata, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento per le parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo. Nelle motivazioni della sentenza veniva evidenziato come vi fosse “la prova che aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l'imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perchè era in corso il dibattimento di questo processo penale".

Il secondo grado
Il 16 aprile 2010 ha inizio il secondo grado innanzi alla Corte di appello, presieduta da Claudio Dall'Acqua che il 19 giugno dello stesso anno ha rivisto parzialmente la condanna riducendo la pena a sette anni, a fronte di una richiesta di 11 anni formulata dal procuratore generale Antonio Gatto. I giudici avevano ritenuto provati i rapporti tra Dell'Utri e la mafia soltanto fino al 1992 mentre lo avevano assolto per i fatti successivi.
Nelle 641 pagine di motivazione della sentenza viene fornita un'importante conferma all'impianto accusatorio dei giudici di primo grado. Si parla espressamente di “amichevoli rapporti” mantenuti da Dell'Utri negli anni “con coloro che erano gli aguzzini del suo amico e datore di lavoro”. E “che gli consentivano di porsi in diretto collegamento con i vertici della potente mafia siciliana”: prima Stefano Bontade, il più influente esponente dell'epoca, e poi Salvatore Riina. I giudici ricostruiscono le fasi del patto che porterà anche all'arrivo ad Arcore di Vittorio Mangano. Non uno “stalliere”, ma la garanzia contro i sequestri.
Del resto così era stato deciso negli uffici della Edilnord quando, prosegue il documento, Stefano Bontade “si impegnò personalmente ad assicurare con la sua indiscussa autorità mafiosa indicando a Berlusconi proprio l'imputato (Dell'Utri, ndr) per ogni eventuale futura esigenza” “e contestualmente stabilendo che avrebbe mandato o comunque incaricato specificamente qualcuno che gli stesse vicino”. In cambio l'imprenditore aveva iniziato a versare importanti somme di denaro all'associazione mafiosa. Una vicenda che si intreccia, sottolineano i giudici, “con il tema dei pagamenti avvenuti per la cosiddetta 'messa a posto' relativa alle antenne televisive che Fininvest avrebbe cominciato a gestire iniziando ad acquisire nel palermitano alcune emittenti Tv”.
Siamo all'inizio degli anni Ottanta, protagonisti della violenta guerra di mafia che avrebbe
lasciato sul campo di battaglia lo stesso Stefano Bontade, ma non i rapporti dell'imprenditore milanese con l'associazione criminale.
“Infatti – si legge nel documento – anche dopo la morte di Bontade, nell'aprile del 1981 e
l'ascesa in seno all'associazione mafiosa di Riina”, Dell'Utri “ha mantenuto i suoi rapporti con Cosa Nostra specificamente adoperandosi, fino agli inizi degli anni '90, affinché il gruppo imprenditoriale facente capo a Silvio Berlusconi continuasse a pagare cospicue somme di denaro a titolo estorsivo in cambio di 'protezione' a vario titolo assicurata”.
Un'operazione che l'imputato ha potuto portare avanti grazie proprio a quei rapporti mai
interrotti negli anni con Antonino Cinà e Vittorio Mangano, “i due esponenti mafiosi in contatto con i vertici di Cosa Nostra i quali hanno accresciuto nel tempo il loro peso criminale proprio in ragione del fatto che l'imputato ha loro consentito di accreditarsi come tramiti per giungere a Silvio Berlusconi, destinato a diventare uno dei più importanti esponenti del mondo economico-finanziario del paese, prima di determinarsi anche verso un impegno personale in politica”.
Tale condotta, scrivono in un modo un po' sbrigativo i giudici, può però “ritenersi sussistente” solo fino a quando è provato il pagamento da parte di Silvio Berlusconi “delle somme richiestegli a favore di Cosa Nostra”. Ossia fino al 1992, “difettando invece elementi certi per affermare che ciò sia avvenuto anche negli anni successivi ed in particolare dopo la strage di Capaci e nel periodo in cui, dalla fine del 1993, l'imprenditore Berlusconi decise di assumere il ruolo a tutti noto nella politica del Paese”.
Secondo i giudici mancherebbero infatti “prove inequivoche e certe di concrete e consapevoli condotte di contributo materiale ascrivibili a Marcello Dell'Utri aventi rilevanza causale in ordine al rafforzamento dell'organizzazione criminosa”. E quindi non sarebbe provato neppure il “patto elettorale” tra le cosche e Forza Italia, ai tempi della “discesa in campo” del Cavaliere.
Tuttavia il documento non esclude che tra “la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, in
concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia … all'interno di Cosa Nostra
maturò diffusamente la decisione di votare per la nuova formazione così come confermato da tutti i collaboratori di giustizia esaminati al riguardo”. Segno che la tra le fila di Cosa Nostra quel partito doveva rappresentare quantomeno una garanzia.

L'annullamento parziale della Cassazione
La sentenza di appello era stata parzialmente annullata il 9 marzo 2012 dalla Cassazione, che aveva accolto il ricorso della difesa di Dell'Utri. Confermata l'assoluzione per le accuse successive al 1992, e per le quali la sentenza è diventata definitiva, la quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Aldo Grassi, nelle motivazioni depositate il 24 aprile successivo, aveva spiegato che risulta"probatoriamente dimostrato" il comportamento di Dell'Utri "di rafforzamento dell'associazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa nostra di somme non dovute da parte di Fininvest. Tuttavia - aveva ritenuto la Cassazione - va dimostrata l'accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasciò Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982. Dopo il quale – aveva stabilito la Cassazione – i rapporti sarebbero proseguiti, ma senza la prova che ci fosse tra le parti un “reciproco interesse”. Su questo aspetto, la Cassazione aveva disposto un nuovo giudizio davanti a una diversa sezione della Corte di Appello di Palermo, quella presieduta da Raimondo Lo Forti, che si è pronunciata oggi.

Il processo d'appello bis
Il nuovo processo d'Appello si era aperto il 18 luglio del 2012. Durante la sua requisitoria il pg Luigi Patronaggio ha ripercorso le tappe fondamentali dell'intero procedimento penale, soffermandosi anche sulla figura di Vittorio Mangano, in passato definito “eroe” ed anche oggi ricordato amichevolmente dall'ex senatore. Per il pg il contributo esterno a Cosa Nostra fornito da Dell’Utri “si protrae ben oltre il 1992”. “La condotta di Marcello Dell’Utri non può limitarsi a un concorso a un’estorsione – aveva sottolineato –. Ma parliamo di due condotte che si esplicano attraverso la mediazione di un’estorsione da un lato e dall’altro attraverso la funzione di garanzia delle attività di Berlusconi protette e agevolate da Cosa nostra. Dell’Utri ha agito per un fine personale ben preciso giovandosi anche della vicinanza con Vittorio Mangano. Dell’Utri, se non avesse avuto alle spalle la potenza di Cosa nostra avrebbe fatto all’interno di Fininvest la scalata che ha fatto? Da oscuro impiegato di banca sarebbe andato a capo di Publitalia? Senza questo ‘valore aggiunto’ di Cosa nostra l’imputato dove sarebbe arrivato? Che carriera politica poteva fare?”. Secondo Patronaggio gli attentati a Silvio Berlusconi e alla Standa negli anni Ottanta e Novanta si inserivano “nell’ottica di un rapporto complesso tra i due. La tensione e le pressioni costanti su Berlusconi permettono a Dell’Utri di uscirne rafforzato sia nella sua posizione di garanzia nei confronti dell’amico, che nei confronti della mafia per la sua posizione di mediatore”. Sugli attentati a danno dell’allora imprenditore Berlusconi “i pentiti parlano di interventi ai massimi livelli mafiosi per fare cessare gli attentati, il nome che fanno è quello di Marcello Dell’Utri”. Il pg aveva poi ricordato come, secondo i collaboratori di giustizia, della vicenda si interessarono anche i “palermitani” e in particolare Totò Riina “perché non si poteva fare uno sgarro a Dell’Utri”, che avrebbe pagato “tre milioni al mese di pizzo per la Standa”.
Nella seconda parte della propria requisitoria il sostituto procuratore generale, prima di chiedere alla Corte di confermare per Marcello Dell’Utri la condanna a 7 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, aveva ripercorso i fatti inerenti gli anni che vanno dal '78 al 1982.  Secondo il pg “c'era continuità dei rapporti fra l’imputato e il duo Bontade-Teresi, rapporti coltivati con il dichiarato fine di proteggere i familiari e le attività economiche di Silvio Berlusconi, da un lato, e dall’altro, di permettere a Cosa Nostra ragguardevoli guadagni, costituiti dalle ‘regalie’ per la protezione, elargiti generosamente da Silvio Berlusconi nonché di permettere alla stessa organizzazione di rafforzarsi sulla piazza milanese, di intrecciare rapporti con il mondo della finanza e dell’imprenditoria anche al fine di riciclare  e reinvestire gli enormi profitti derivanti dalla imponente attività di traffico internazionale di sostanze stupefacenti che, in quegli anni, quella organizzazione svolgeva fra il Medio Oriente, l’Europa e gli Stati Uniti”. Il pg aveva evidenziato come Marcello Dell’Utri nel periodo ‘78/’82 nel quale lavorava per l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda “continuava ad intrattenere rapporti con Teresi e Bontade per affari di vario tipo, anche illeciti, quali quelli legati al reimpiego di capitali mafiosi”. Per quanto riguarda la posizione di “garanzia” il pg aveva poi sottolineato che lo stesso Berlusconi “sapeva” che per ogni problema relativo ai rapporti con Cosa Nostra “poteva fare affidamento all’imputato Dell’Utri come è avvenuto, non solo per le minacce subite nel ’74, ma anche in relazione all’attentato del 1975, con riferimento all’attentato del 1986, alle rinnovate pressioni di Cosa Nostra nel 1988” e, a parere di Patronaggio, anche con riferimento agli attentati alla Standa di Catania del 1990. “Il rapporto tra Dell’Utri e Costa Nostra – aveva ribadito il pg – non solo non si è mai interrotto, ma è stato la continuazione dell’adempimento di quello scellerato patto concluso nel ’74 e rinnovato nell’86 ad opera di Salvatore Riina”. Il sostituto procuratore generale ha illustrato minuziosamente come i boss mafiosi Giovanni Battista e Ignazio Pullarà della famiglia di Villagrazia, mandamento di Santa Maria di Gesù (lo stesso di Bontade e Teresi), fossero stati i referenti di Dell’Utri fino al 1986, dopodichè quel ruolo era stato preso da Totò Riina. Che, a partire dalla fine dell’86, “volle prendere in mano quella situazione, anche per finalità ‘politiche’, in relazione alla notoria amicizia che legava Berlusconi al Presidente Craxi”. Per Patronaggio è stato ugualmente provato che Dell’Utri “sollecitando l’amico e coimputato Cinà, riscriveva i termini dell’accordo con Cosa Nostra, facendo pagare qualcosa in più in termini economici all’amico imprenditore ma rilanciando, anche sotto il profilo dello scambio politico-mafioso, un patto ancora più forte con Cosa Nostra”. Ma il pg aveva anche sottolineato come, al di là dell’assoluzione per la condotta post ’92 (nello specifico dall’accusa di avere stipulato un patto di scambio politico-mafioso con Cosa Nostra), i contatti con Cosa Nostra erano proseguiti. “Come ignorare i provati incontri fra l’imputato e Vittorio Mangano alla vigilia delle elezioni del 1994 – si è chiesto Patronaggio –. Ed ancora, come ignorare le pesantissime indicazioni del collaboratore di giustizia Spatuzza Gaspare  circa i rapporti fra l’imputato e i temibilissimi fratelli Graviano alla vigilia del fallito attentato al Foro Italico?”. E molto probabilmente anche questi aspetti verranno affrontati dai giudici che dovranno ora produrre le motivazioni della sentenza in un tempo utile che permetta di non far scattare i termini della prescrizione, previsti se la Cassazione non si pronuncierà entro il 2014. Prescrizione che, come ha detto lo stesso Patronaggio, “Sarebbe una sconfitta della giustizia, l'ennesimo buco nero della storia della Repubblica”.
Intanto la Procura generale di Palermo, secondo ambienti giudiziari, ha chiesto l'arresto di Marcello Dell'Utri, motivandolo con il pericolo di fuga dell'imputato. Non si sa ancora se la terza sezione della Corte d'appello abbia accolto o meno la richiesta .



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