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quirinale-colle-bigdi Lorenzo Baldo - 16 luglio 2012
Palermo. “Siamo sereni. Tutte le norme messe a tutela del Presidente della Repubblica riguardo a una attività diretta a limitare le sue prerogative sono state rispettate”. Il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha replicato così ai lanci di agenzia di questa mattina che hanno riportato la nota del Quirinale. La notizia è rimbalzata immediatamente sui principali siti di informazione: Giorgio Napolitano ha affidato all'avvocato generale dello Stato l'incarico di rappresentare la presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del capo dello Stato.

L’inchiesta sulla “trattativa” tra Stato e mafia agita sempre di più il sonno del presidente della Repubblica evidentemente molto timoroso che il contenuto delle intercettazioni di alcune telefonate dell’indagato Nicola Mancino non sia distrutto al più presto. Questa gravissima presa di posizione del Colle lascia di fatto intravedere il tentativo di bloccare con ogni mezzo un’indagine delicatissima che intende fare luce sul cuore nero dello Stato. Quello Stato-mafia che ha trattato con Cosa Nostra e che è complice di tutti i morti ammazzati nelle stragi del ‘92/’93. “Dalla motivazione – ha spiegato Messineo – si ricava che questa iniziativa è stata attivata perché le intercettazioni, anche se indirette, sono lesive delle prerogative del Capo dello Stato. Nel nostro caso ci troviamo in presenza di un'intercettazione occasionale, di un fatto imprevedibile che a mio parere sfugge alla normativa in esame. Non c’è stato alcun controllo sul Presidente della Repubblica”. “Ovviamente io e i colleghi della Procura abbiamo preso atto dell'iniziativa, ma non conoscendo la motivazione del ricorso alla Corte costituzionale non è possibile formulare alcuna ipotesi”. “I chiarimenti sono stati già dati all'Avvocatura dello Stato – ha ribadito quindi il procuratore di Palermo – . Mai la Procura avrebbe avviato una procedura mirata a controllare o comprimere le prerogative attribuite dalla Costituzione al Capo dello Stato”. “Se l'intercettazione non è rilevante per la persona che è sottoposta a immunità – ha specificato ulteriormente Antonio Ingroia – e lo è per un indagato qualsiasi, può essere utilizzata. Secondo la nostra posizione per altro confortata da illustri studiosi, se l'intercettazione è rilevante nei confronti della persona intercettata, allora è legittima. Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità. E per quelle non coperte da immunità non c’è bisogno di alcuna autorizzazione a procedere”. Il procuratore di Palermo ha ribadito oggi quanto da lui già esposto nei giorni scorsi in risposta ad un paio di editoriali di Eugenio Scalfari. Una settimana fa il fondatore di Repubblica aveva definito “un illecito” le intercettazioni delle telefonate tra l’ex ministro Nicola Mancino (indagato per falsa testimonianza nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia) e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Nell'ordinamento attuale – aveva successivamente dichiarato Messineo - nessuna norma prescrive o anche soltanto autorizza l’immediata cessazione dell'ascolto e della registrazione quando, nel corso di una intercettazione telefonica legittimamente autorizzata, venga casualmente ascoltata una conversazione fra il soggetto sottoposto ad intercettazione ed altra persona nei cui confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione”. Il procuratore di Palermo aveva evidenziato come erano state avanzate nei confronti della polizia giudiziaria e della Procura di Palermo “gravi quanto infondate accuse di avere commesso persino ‘gravissimi illeciti’ violando non meglio specificate norme giuridiche”.  In merito alla distruzione delle intercettazioni Messineo aveva aggiunto ancora che  “si procede esclusivamente previa valutazione della irrilevanza e con l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, sentite le parti. Ciò è quanto prevedono le più elementari norme dell'ordinamento che sorprende non siano state tenute in considerazione”. Evidentemente le dichiarazioni del procuratore di Palermo non sono bastate a placare l’irritazione del Capo dello Stato. “Non esiste alcuna motivazione giuridica che giustifichi un atto del genere – ha commentato l’on. Sonia Alfano. Il Presidente Napolitano sta commettendo l’ennesimo scempio, rendendosi di fatto complice dell’isolamento dei magistrati palermitani che stanno indagando sulla trattativa Stato-mafia. Una manovra tanto più squallida, perché compiuta alla vigilia del ventennale della strage di via D’Amelio, che fa da sfondo a quella nefasta negoziazione”. “E’ ormai evidente che bisogna difendere la democrazia e la Repubblica dalle gesta sconsiderate di Napolitano che, come colpito dalla stessa sindrome che caratterizzò gli ultimi mesi del settennato di Cossiga, sta scadendo nel golpismo e nell'attentato alla Costituzione: solo questo sarebbe il presunto conflitto di attribuzioni che il Quirinale preannuncia, in contrasto con la Carta Costituzionale, le leggi e il buon senso. Spero che le forze democratiche valutino se non ricorrano gli estremi per la messa in stato d'accusa del Presidente Napolitano”. Secondo l’art. 38 della legge 87/1953 la Corte costituzionale  “risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla”. Ai giudici della Corte spetterà quindi l’ultima parola. La partita è in pieno svolgimento. In campo troviamo un pugno di magistrati integerrimi che cerca di riportare alla luce una verità totale e definiva sul biennio stragista ‘92/’93. Mai come in questo momento questi magistrati stanno finendo per essere isolati e delegittimati. Sullo sfondo appare sempre più nitido un sistema di potere criminale pronto a sacrificare i servitori più fedeli dello Stato-Stato.

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