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deaglio-enricodi Lorenzo Baldo e Anna Petrozzi
All'interno la risposta di Enrico Deaglio
Forse non è buona maniera criticare un collega giornalista, soprattutto se lo si considera una sorta di mentore, ma questa volta proprio non possiamo esimerci. Ci riferiamo ad Enrico Deaglio che nell’intervista video pubblicata qualche giorno fa sul sito de Il Fatto Quotidiano per la promozione del suo ultimo libro “Il vile agguato” ha commesso un’enorme scorrettezza, anche molto pericolosa.

Riferendosi all’assassinio di Paolo Borsellino e considerando giustamente via D’Amelio “una strage di Stato” Deaglio fa scivolare sibillinamente un pesante attacco contro il sostituto procuratore Nino Di Matteo.
Lo accusa di essere tra quelli che hanno avallato le menzogne di Scarantino e mette in risalto il paradosso, secondo lui, che sia proprio questo stesso pm a firmare oggi l’indagine per la trattativa e invoca addirittura un intervento del CSM.
Ma un professionista del suo rango non può permettersi di lanciare in quattro minuti di spot una bordata del genere senza specificare nel dettaglio quale sia stata la reale attività del dottor Di Matteo in quel processo.
Di Matteo, all’inizio della carriera, entra nel processo cosiddetto “Borsellino bis” a dibattimento già avviato e affianca il pm Anna Maria Palma nelle fasi conclusive. Quindi non partecipa a nessuna indagine e quale giovanissimo magistrato non si sarà nemmeno sognato di mettere in discussione l’impostazione data dai suoi colleghi più esperti e dal fior fiore degli investigatori antimafia come Arnaldo La Barbera.
E’ suo invece il processo cosiddetto “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, lo istruisce e lo porta fino alle richieste di condanna all’ergastolo per tutta la cupola mafiosa e le ottiene fino in Cassazione.
Ed è in questa parte del processo che vengono accusati, processati, chiesti e ottenuti gli ergastoli per gli uomini di Brancaccio (Lorenzo Tinnirello, Francesco Tagliavia e Cristoforo Cannella) che oggi anche la nuova indagine della Procura di Caltanissetta ritiene responsabili della fase preparatoria e della fase esecutiva. Dell’oscuro Scarantino siamo comunque obbligati a dire che se alcuni da lui accusati sono innocenti, altri invece sono colpevoli e sarà poi Caltanissetta a dover chiarire come questo sia stato possibile.
Ed è nel “Borsellino ter” che congiuntamente con il processo di Firenze si parla di mandanti esterni e sulla base delle dichiarazioni di pentiti di prima importanza, questi sì, come Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi nella requisitoria del pm Di Matteo vengono indicati tra le prime volte Berlusconi e Dell’Utri come referenti stabili per Cosa Nostra tanto a Palermo quanto a Catania.
Quindi caro Deaglio, quando si tratta di inchieste così scottanti per le quali come tu stesso dici noi cittadini dobbiamo pretendere che ci venga data “la verità” e non “una verità” siamo tenuti, noi per primi, ad essere precisi ed esaustivi.
Non si può offrire così con leggerezza un assist strategico a quelli che fanno la fila per sfilare ad uno come Di Matteo la madre di tutte le inchieste sul biennio stragista, come abbiamo letto abbondantemente in tutte le intercettazioni tra il Quirinale e Mancino.
Di Matteo è un magistrato tutto d’un pezzo, uno che, senza guardare in faccia a nessuno, è riuscito a far condannare definitivamente persino il Presidente della Regione Siciliana: Salvatore Cuffaro, fatto senza precedenti nella storia, considerato anche che si trattava del politico del 61 a 0 berlusconiano.
Quindi davvero questo tuo errore ha risvolti pericolosi e per amore di verità avresti dovuto essere meticoloso soprattutto in un momento così delicato come questo in cui Di Matteo, Ingroia e i loro vari colleghi sono impegnati nel districare il malefico intrigo tra mafia e stato che fa da sfondo alla morte di Falcone, Borsellino e dei tanti innocenti vittime delle bombe del ’93.
Errare humanum est, perseverare invece è diabolico. Sarebbe opportuno che il collega Deaglio correggesse l'errore.
6 luglio 2012


LA RISPOSTA DI ENRICO DEAGLIO

Cari colleghi, grazie per il “mentore” e l’affettuoso avvertimento a non perserverare nell’errore (che sarebbe quello di aver detto in un’intervista qualcosa che non avete gradito sul pm Di Matteo). Il mio libro è stato scritto sotto la spinta di un’indignazione per l’oscenità raggiunta in vent’anni di indagini sulla strage Borsellino. Come già sapevate, o avrete letto nella mia ricostruzione, vent’anni fa venne costruito un falso colpevole che indicò autori materiali, mandanti e moventi dell’omicidio. Tutto l’impianto  è durato 17 anni ed è crollato solo per l’improvvida comparsa sulla scena di un altro sedicente colpevole, che ha sbugiardato il precedente. Sottolineo che il depistaggio su Borsellino ha visto lo zelo di un alto funzionario di polizia, dei servizi e di almeno venti tra magistrati inquirenti e giudicanti che hanno avallato l’operazione in ben nove gradi di giudizio.
Quando, oggi, si parla di trattativa  si parla anche dell’uccisione di Borsellino in quanto ostacolo alla stessa. Siete sicuri che quel lunghissimo depistaggio sull’uccisione di Borsellino non faccia parte anch’esso della trattativa? Provate a pensarci. Oppure pensate che sia stata solo l’ansia da prestazione di La Barbera a combinare tutto il guaio? Non solo, ma sicuramente siete al corrente di come tutta l’indagine della procura di Caltinissetta (ripeto: durata 17 anni) fosse considerata falsa, fasulla o peggio praticamente da tutti i colleghi che si occupavano di mafia.
Non conosco il dottor Di Matteo (voi invece lo conoscete e ne avete una grande stima), ma leggendo le carte ho visto che il suo ruolo nell’impianto Scarantino fu davvero notevole. Ora che Di Matteo è uno dei pm di punta dell’inchiesta attuale sulla trattativa, mi chiedo semplicemente se ha ripensato al suo operato. Fu semplicemente giovane, inesperto, plagiato dai colleghi più anziani e, dopo, titolare di un’inchiesta  dipendente tutta da un pentito  imbarazzante? Si accorse Di Matteo che Scarantino suonava falso? (Ingroia se ne accorse, come sapete).  Sarebbe oppurtuno che glielo domandaste. Nell’inchiesta attuale, come sappiamo, compare l’ex ministro dell’interno Mancino. La Barbera dipendeva da lui. Il giudice Di Matteo si fidò moltissimo dell’indagine di La Barbera, per cui aveva grande ammirazione. Chissà , forse si sarà fidato anche Mancino… Forse erano tutti in buona fede, che ne dite?
Cari colleghi, in tutta sincerità non penso di aver commesso errori. Conoscendo e stimando la vostra capacità di indagine e la vostra indipendenza intellettuale, sono sicuro che troverete spunto dalle mie piccole osservazioni, per porvi delle domande. Porsi delle domande non fa mai male. Specie a Palermo.
Cordialità, enrico deaglio
Torino, 8 luglio 2012


LA REPLICA DI LORENZO BALDO E ANNA PETROZZI

Caro Enrico,
grazie per la tua risposta e per averci riconosciuto indipendenza intellettuale e capacità di indagine, detto da te è davvero un complimento.
Con queste caratteristiche e con umiltà noi ci siamo posti quelle domande che tu suggerisci da molto tempo, quasi tutto il nostro lavoro negli ultimi 12 anni è stato imperniato sulla ricerca della verità su quel biennio e non abbiamo dubbi che tra quel depistaggio e la trattativa vi sia più che un collegamento.
Ci permettiamo di segnalarti alcuni dei dossier, degli articoli e un libro che abbiamo dedicato al tema: “La trattativa” e “Sistemi criminali” disponibili on line sul nostro sito www.antimafiaduemila.com (sezione archivio); alcuni degli ultimi articoli pubblicati sul giornale cartaceo Antimafia Duemila: “Di mafia e di deviazioni. Che Stato è il nostro?” (G. Bongiovanni – n. 2-2010); “Dalla mafia mi guardo io, dallo Stato mi guardi Dio!” (G. Bongiovanni – n.3-2010); “L’accordo” (G. Bongiovanni, A. Petrozzi – n.3-2010); “L’ultima verità. Su via D’Amelio un depistaggio di Stato?” (L. Baldo – n.1-2001); e il libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” (Bongiovanni-Baldo – 2010) alle pagg. 159 e a seguire, 197 e a seguire, 270 e a seguire e infine a pag. 311nel capitolo conclusivo intitolato “L’accordo”.

La nostra difesa dell’operato del dottor Di Matteo non è d’ufficio. Abbiamo avuto modo di seguire le sue inchieste, di osservare il suo lavoro, di porgli moltissime domande e la nostra stima nei suoi confronti è nata proprio con lo studio del Borsellino ter , il primo grande processo da lui interamente istruito nel quale vengono gettate le basi per la ricerca sui mandanti esterni che ancora oggi proseguono anche nell’inchiesta della trattativa e nel quale vi sono le tracce per arrivare alla piena verità sulla morte di Borsellino e dei suoi agenti di scorta.
Ci dispiace che tu non conosca Di Matteo, ed è qui secondo noi che sta il tuo errore. Un giornalista del tuo calibro e della tua notorietà, prima di sparare a zero e di invocare addirittura il CSM, sarebbe dovuto andare a Palermo e porgli quelle domande e poi, se non convinto delle risposte, eventualmente gettare sospetti. Anche perché davanti a lui c’è una lunga serie di illustri magistrati cui chiedere eventualmente conto. D’altra parte se l’impianto accusatorio basato su Scarantino ha resistito a nove processi, seppur con moltissime riserve (basta leggere le requisitorie e le sentenze), vuol dire che qualche elemento c’era. E che il depistaggio, questa la nostra valutazione, è stato costruito piuttosto bene.
I magistrati di Caltanissetta nella recente audizione all’antimafia, come sicuramente saprai, hanno dichiarato che Scarantino così come gli altri suoi squallidi compari come Candura e Andriotta erano protagonisti di “un gioco di verità e falsità” e molti dubbi restano ancora aperti sulle “analogie” tra le dichiarazioni di Scarantino con quelle di Spatuzza.
E’ purtroppo ormai chiarissimo, Enrico, che le stragi siano state il risultato non solo del “gioco grande” di cui parlava Falcone ma di un gioco sporco, sporchissimo che oggi in tanti cercano di coprire. Per questo chi indaga su quei fatti è fortemente esposto a rischi. E Di Matteo lo è, lo dimostrano il panico dei vari Mancino e compagnia che scomodano addirittura il Quirinale per togliergli l’inchiesta e purtroppo le recenti e molto concrete minacce contro la sua persona e la sua abitazione. Tanto che gli hanno dovuto rafforzare la protezione.
Solo per questo ci siamo permessi di evidenziare quello che per noi è stato un errore. Siamo in un momento molto delicato, forse ci stiamo avvicinando a capire cosa è veramente accaduto in quegli anni, molti cercheranno di intorbidire e sporcare le acque più di quanto già lo siano e non ci possiamo permettere e non dobbiamo permettere, in nessun caso, che il prezzo della verità sia ancora una volta la vita di qualche magistrato.
Grazie per questo scambio di idee, a presto
Lorenzo Baldo e Anna Petrozzi

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