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ardita-sebastiano-bigdi AMDuemila - 24 dicembre 2011
Il giallo del mancato rinnovo, a novembre del 1993, dei provvedimenti di carcere duro per 334 mafiosi è stato al centro della deposizione di Sebastiano Ardita, magistrato, per 10 anni direttore generale dei detenuti e del trattamento al Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, al Processo Mori.
Rispondendo alle domane dei pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, il magistrato ha ricostruito l'iter che andò in senso del tutto opposto agli intendimenti di Amato che propose nell'estate del '92 l'ampliamento del regime di carcere dure, sia pure in forma attenutata, a circa 5 mila detenuti nelle carceri italiane.

"In 140 casi - ha spiegato Ardita - si trattò di provvedimenti dovuti, mentre la mancata conferma di 334 di altri decreti non fu preceduta da alcuna istruttoria e arrivò il primo novembre del '93. Furono consultati alcuni organi di polizia e la procura di Palermo, che ebbe la richiesta di informazioni solo il 29 ottobre, sabato e vigilia di un ponte festivo. L'ufficio palermitano rispose però a vista sconsigliando la 'non proroga'. Gli organi di polizia risposero, invece, molto tempo dopo. Il risultato fu che i 41 bis furono effettivamente revocati".
L'ex dirigente del Dap, ora rientrato alla Procura di Catania, ha ricordato, inoltre, la lettera con cui, sempre nel '93, un gruppo di familiari di detenuti al 41 bis chiese con toni minacciosi all'allora capo dello Stato Scalfaro un attenuazione del regime carcerario duro. “La lettera - ha detto - era indirizzata a una serie di soggetti che poi direttamente o indirettamente sarebbero stati oggetto di attentati: da Maurizio Costanzo, al Papa (colpito, secondo il teste con la bomba a San Giovanni in Laterano), al vescovo di Firenze, città poi scossa dalle bombe dei Georgofili”. Infine il teste ha raccontato un episodio, che indirettamente riscontrerebbe una notizia data da Massimo Ciancimino. Dopo l'arresto del boss Bernardo Provenzano la stampa pubblicò un articolo in cui si sosteneva che il figlio maggiore di Totò Riina, Giovanni, aveva commentato duramente l'arrivo del padrino di Corleone nel suo stesso carcere: quello di Terni. Ciancimino avrebbe raccontato la cosa, appresa da un uomo dei Servizi, ad un giornalista che la pubblicò. Ma la notizia, poi verificata da Ardita, che aveva deciso di mandare Provenzano nel carcere umbro, si rivelò falsa. Il teste ha ricordato un suo carteggio con la polizia penitenziaria in cui il Gom faceva pressioni per mandare il boss nell'istituto di pena de L'Aquila. Indicazione che il Dap, invece, non osservò dal momento che in Abruzzo era detenuto nello stesso carcere il boss Piddu Madonia e quindi un contatto tra i due capimafia sarebbe stato possibile, ma che, rivista alla luce anche dell'articolo sulla falsa reazione di Riina jr, può far pensare a una manovra volta a determinare la sede carceraria del padrino di Corleone. Rispondendo alle domande del legale di Mori, Basilio Milio, e del presidente Mario Fontana, l'ex capo dell'ufficio detenuti non ha saputo indicare chi potesse avere questo interesse e chi potesse avere manovrato per il trasferimento di Provenzano in un altro carcere.
Infine, Ardita, durante la sua audizione ha parlato anche di contatti tra l'ufficio del Dap e l'ex Sisde, i Servizi segreti. “Risultano contatti tra il Sisde e l'ufficio ispettivo del Dap -ha deto Ardita- ma non conosco i contenuti di questi rapporti, so però che era un rapporto notorio”. Vi sarebbe persino un documento, chiamato “protocollo Farfalla”, siglato dai due enti in merito alla sicurezza all’interno degli istituti di pena garantita soprattutto dal controllo del flusso di informazioni proveniente dalle celle.
Un tema che la Procura di Palermo cercherà sicuramente di approfondire chiedendo le carte alla Procura di Roma che indaga sulle anomalie legate ai metodi di controllo utilizzati dal Dap per monitorare i detenuti, in special modo quelli al 41 bis.
Intanto, sempre nell'udienza di ieri, i pm Antonino di Matteo e Antonio Ingroia hanno dato i loro pareri su alcune richieste avanzate dalla difesa di Mori e Obinu, gli avvocati Basilio Milio ed Enzo Musco. La Procura si oppone all'audizione del colonnello dei carabinieri Giuseppe De Donno, ma anche del capitano 'Ultimo', Sergio De Caprio “già sentito sulle stesse circostanze”, e il maggiore Giovanni Sozzo. No anche all'audizione dell'ex capo della Mobile Luigi Savina, e dei generali dei carabinieri Viesti e Pisani, così come dell'ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli e dei magistrati Vittorio Aliquò e Leonardo Guarnotta. La Dda non si oppone, invece, all'audizione dell'ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, dell'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, degli ex capi del Dap Niccolò Amato e Adalberto Capriotti, dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, dell'ex premier Giuliano Amato. Sempre ieri la Procura ha depositato i verbali riassuntivi della recente audizione dell'ex ministro dell'Interno Vincenzo Scotti. L'udienza è stata rinviata al prossimo 20 gennaio per sentire proprio l'ex capo del Viminale Vincenzo Scotti.

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