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cancemi-salvatoredi Maria Loi - 27 gennaio 2011
Roma.
Salvatore Cancemi (foto), l’ex capomafia di Porta Nuova è deceduto per un ictus il 14 gennaio scorso – ma la notizia si è appresa solo ora – nella località protetta in cui viveva da quando scelse di passare dalla parte dello Stato. Latitante per anni, il 22 luglio del 1993 decise di costituirsi ai carabinieri ponendo così fine ad una carriera mafiosa durata vent’anni.
Quella mattina il boss avrebbe dovuto incontrarsi con Carlo Greco, il capo del mandamento di Santa Maria di Gesù assieme a Pietro Aglieri, per poi raggiungere Bernardo Provenzano in una località segreta.
Consegnò infatti ai carabinieri un bigliettino ricevuto da Greco, con il quale gli si comunicava un appuntamento per la sera di quello stesso giorno con Provenzano.
Molto sorpresi, all’inizio i carabinieri non gli credettero, convinti tra l’altro, che Provenzano fosse morto poiché dopo un decennio la famiglia era tornata a vivere a Corleone. Segno, secondo loro, che il capo era stato in qualche modo eliminato.
Quella del pentito non è stata una collaborazione facile. Dopo una iniziale reticenza Cancemi ha fornito un contributo importantissimo a decine di indagini, ma rimane il dubbio che fosse a conoscenza di ulteriori elementi che potessero integrare le dichiarazioni rese. E la speranza dei magistrati di poter ottenerne di nuove sfuma con la sua morte.
Totò Cancemi ha parlato della sua affiliazione, del suo ruolo in seno all’organizzazione, ha confessato omicidi commessi e commissionati e ha consegnato allo Stato beni per cento miliardi di lire, accumulati con il traffico di droga e altri affari illeciti.
Il suo padrino di affiliazione fu Vittorio Mangano e all’affiliazione iniziale seguì una rapida carriera: da soldato semplice a capo decina, poi con l’arresto di Calò  la nomina a reggente del mandamento decisa dal capo di Cosa Nostra in persona.
Un salto di qualità importante dovuto in parte alla profonda amicizia che lo legava a Raffaele Ganci, uomo d’onore vicinissimo a Salvatore Riina e capo del mandamento della Noce.
La genuinità delle sue dichiarazioni ha consentito di ricostruire l’organigramma militare mafioso, inoltre varie autorità giudiziarie (innanzi alle quali ha reso dichiarazioni)  si sono espresse sulla sua attendibilità.
Teste in processi come quelli contro Andreotti e Marcello Dell’Utri, Cancemi è stato sostenitore della inattendibilità di Vincenzo Scarantino (come si evince da un drammatico confronto tra i due oggi agli atti dell'inchiesta dei magistrati di Caltanissetta), poi rivelatosi falso pentito della strage di via D’Amelio. Ha collaborato con gli inquirenti in moltissime inchieste, a cominciare da quelle sulle stragi di Capaci (le sue dichiarazioni hanno contribuito all’emissione delle prime ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti dei killer di Capaci) e di via D'Amelio (nel corso dei procedimenti Borsellino ter in primo e secondo grado) e fu il primo collaboratore di giustizia ad accusare Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri di avere contatti diretti con i vertici di Cosa Nostra.
La notizia della morte di Cancemi è stata data questa mattina dal suo avvocato nel corso di un'udienza a Palermo davanti al gup Lorenzo Matassa.
Nel 2002 Cancemi ha rilasciato una lunga intervista al direttore di ANTIMAFIADuemila, Giorgio Bongiovanni dalla quale è nato il libro "Riina mi fece i nomi di..." (Massari editore).

Qui di seguito riportiamo le rivelazioni che il pentito ha rilasciato al direttore Giorgio Bongiovanni contenute nel libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino”.

SCARICA L'incontro con Salvatore Cancemi

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