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di Lorenzo Baldo - 7 marzo 2010
L'Aquila.
Il freddo che ti penetra fin dentro le ossa non dà tregua. Ma è il gelo che scende nell'anima quello che non lascia scampo. I militari presidiano una città violentata ripetutamente dal sisma e dall'uomo. Osservano attenti le centinaia di persone venute da tutta Italia al Presidio della Memoria.
Più di mille diranno le stime. Le mura dei palazzi sventrati fanno da cornice a questa marcia silenziosa. Tante fiaccole illuminano vie spettrali. Dalle finestre aperte degli ultimi piani si intravede qualche tenda sospinta dal vento. Ma sono i volti quelli che non dimentichi. Soprattutto volti di madri con le foto dei figli morti appese al collo. Una via crucis dove il Cristo è rappresentato da tutti questi martiri, in quei volti felici di ragazzi e ragazze, di uomini, donne e bambini che sorridono nelle fotografie. Il dolore delle madri è un pugno nello stomaco. La dignità di queste donne è pari alla loro sete di giustizia. Poi però davanti alla Casa dello Studente le lacrime hanno il sopravvento. E rabbia, tanta rabbia. Il fiume di persone raggiunge il piazzale Collemaggio. L'impatto visivo è impressionante. I familiari delle vittime delle tante stragi impunite e dimenticate del nostro Paese si stringono tra loro. Quelle stesse foto che hanno sfilato per le vie de l'Aquila ora sono tutte vicine. In una condivisione del dolore che è palpabile nell'aria gelida della sera. Sullo schermo posto al centro del palco appare una scritta illuminata da un videoproiettore: “La memoria è quanto di più rivoluzionario possa esistere. Senza memoria non c'è passato. Non c'è presente. Non c'è futuro né giustizia”. I familiari si guardano attorno. La presenza di tanta gente riesce a infondere in loro un senso di protezione. Ma che Paese è questo che obbliga chi ha perduto un proprio caro a dover manifestare per avere giustizia? Come si può definire civile uno Stato che difende governanti corrotti che con le leggi ad personam impediranno di rendere giustizia a questa gente? E' come ammazzarli due volte. I parenti delle vittime sbeffeggiati da celebrazioni sulla “ricostruzione” che nulla hanno di vero. La rabbia sale. La percepisci negli sguardi di chi è di fronte al palco. Dolore, rabbia, disillusione, rassegnazione e poi ancora rabbia, grande dignità e tanta, tantissima sete di giustizia. Un grido di dolore sale alto quando parte il video sulla tragedia di Viareggio (Il 30 giugno 2009 un treno merci carico di gpl deraglia e causa un'esplosione nei pressi della stazione di Viareggio, alla fine si conteranno 32 morti ndr). Una donna rivive quei momenti e in uno slancio inaspettato abbraccia piangendo la giornalista che le stava porgendo un fazzolettino di carta. Le madri dei ragazzi della Casa dello Studente la sostengono con lo sguardo fin quando si calma. Sul palco c'è Antonietta Centofanti, la zia di una delle otto vittime, Davide Centofanti. Antonietta spiega con fermezza la scelta di chi come lei non ha voluto dare al lutto una connotazione soltanto privata “per fare in modo di usarlo come un grimaldello, per cercare di capire cosa è accaduto e cercare di avere giustizia”. “Noi siamo convinti che ciò che è accaduto – continua Antonietta dal palco – si poteva evitare, che ciò che è accaduto va imputato alla mancanza di responsabilità, alla cattiva costruzione, ad una cultura che è ormai dilagante nel nostro Paese e che riguarda una cattiva gestione dei territori, dei posti di lavori, della Cosa Pubblica”. Il suo appello non fa sconti per nessuno: “L'Italia è un Paese che scava per recuperare i cadaveri dei suoi ragazzi. L'Italia è un Paese che potrebbe segnare le sue tragedie nel calendario, le conosce prima, le lascia accadere, le aspetta: terremoti, alluvioni, frane, crolli, morti sul lavoro... sono scene che si ripetono e nessuno ne conserva memoria!”.  “Poi arrivano i vigili del fuoco che scavano – prosegue la zia di Davide Centofanti –  che cercano battiti di vita e raccolgono corpi straziati. E' accaduto a l'Aquila dove la natura per mesi ha lanciato il suo grido di allarme, allarme ignorato dagli uomini della Commissione Grandi Rischi, dove uno studio indicava edifici pubblici e scolastici esposti a gravi rischi in caso di terremoti. Quegli edifici che poi sono crollati. E' accaduto a Giampilieri dove la montagna già nel 2007 veniva giù a fette. E' accaduto a Favara, a Viareggio, nelle fabbriche, nella ThyssenKrupp. E accaduto in tanti altri casi e il dolore, il lutto, la devastazione, sono divenuti spesso occasione di lucro come testimonia l'agghiacciante intercettazione di due 'squali', due imprenditori che nella notte del 6 aprile 2009 ridevano mentre l'Aquila crollava e seppelliva sotto le sue macerie 308 persone e il futuro, quello di 53 giovani universitari e di 20 bambini”. Le persone presenti emanano un sentimento che disorienta e mette spalle al muro qualunque persona al di fuori da un simile “vissuto”.
“L'Italia è un Paese che salva le grandi imprese – scandisce Antonietta mentre guarda in fondo alla piazza gremita – lascia morire gli operai e ipocritamente usa il termine 'morti bianche', mentre in realtà si tratta di omicidi sul lavoro! L'Italia è un Paese che lascia soli coloro che lottano contro la mafia: magistrati e cittadini. Stiamo assistendo in questi mesi ad un nuovo assalto da parte del Governo ai principi di legalità e di giustizia. Ancora una volta il potere politico viene usato per tutelare posizioni processuali ad personam. Un esempio per tutti è il disegno di legge sul processo breve, se venisse approvata questa norma molti processi verrebbero falcidiati con il risultato che resterebbero impuniti i colpevoli, e coloro che sono stati colpiti da lutti strazianti e incalcolabili non avranno più giustizia! Per questo abbiamo chiesto a tutti coloro che nel nostro Paese hanno a cuore la giustizia di mobilitarsi e di essere al nostro fianco e al fianco di tutte le vittime affinché venga scongiurata quella che l'associazione nazionale magistrati ha definito 'una tragedia per il mondo del diritto.” “Questa manifestazione – conclude – rappresenta per noi un primo momento di aggregazione, ce ne dovranno essere molti altri, e dovremo essere tutti a Roma nel momento in cui si discuterà di processo breve perché dopo le elezioni questo discorso verrà inevitabilmente riaperto. Tutti dovremo presidiare Montecitorio. Tutti. Perché di illegalità si muore! Noi abbiamo l'abitudine il 6 di ogni mese di fare il Presidio della memoria con le fiaccole. Questa volta siamo tantissimi, in questi mesi siamo stati spesso da soli... speriamo che questo messaggio sia passato e che si comprenda che questi morti, qui come altrove, ci riguardano tutti!”.
E' il momento della lettura dei 308 nomi delle vittime del terremoto del 6 aprile da parte di alcune ragazze che si intervallano. Gli altoparlanti amplificano i loro nomi: Alena Airulai, Carmine Alessandri, Silvana Alloggia... Un applauso liberatorio accompagna l'ultimo nome. Sul palco Stefano Corradino di Articolo21 introduce gli interventi successivi. E' la volta di un padre che ha perso la figlia di 6 anni nel crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia il 31 ottobre del 2002. Dignità e compostezza nelle parole di quest'uomo unite sempre dalla sete di giustizia. L'uomo ringrazia i vigili del fuoco “perché sono gli unici che nel silenzio del loro lavoro ti aiutano, sono quelli che non chiedono medaglie, ma che vivono di un misero stipendio, sono quelli che piangono insieme a noi, non sono quelli che ridono la notte perché quel terremoto diventi un affare...”. “Quando subisci un dramma così – spiega lentamente – resti solo, non hai le istituzioni che oggi si affannano a difender chi gioiva quella sera. Nessuno ti dà una mano per cercare di dare delle risposte a tua figlia, per cercare di avere una briciola di verità e giustizia... Devi lottare contro gli interessi, da solo. Ed è la cosa più triste quando si spengono i riflettori, resti da solo, tu, il tuo dramma, la tua famiglia che non riesce più a vivere...”.  “Siamo andati avanti con forza e con coraggio perché avevamo giurato ai nostri figli, gli avevamo fatto una promessa, l'unica che potevamo fargli, giurando su quelle 27 bare bianche, di andare fino in fondo, di dargli tutto quello che potevamo dare: verità e giustizia. In questo Paese sono troppe le stragi impunite perché “gli amici degli amici” sono infiltrati dappertutto. Riprendiamoci l'Aquila... l'Aquila è vostra, è nostra, l'Aquila è degli italiani! Facciamo in modo che non finisca nel dimenticatoio, perché questa sarebbe la cosa più drammatica...”. Le persone lo applaudono con convinzione e mentre scende dal palco si abbraccia con Antonietta Centofanti sussurrandole: “non mollate...”. Le parole di Grazia Malatesta, mamma di Davide Centofanti, scuotono ulteriormente i presenti. La forza di questa donna va oltre se stessa, oltre il suo fisico esile segnato dal dolore. “Dopo la morte di Davide – inizia Grazia leggendo un foglio – ho trascorso tantissimo tempo a chiedermi che senso dovevo dare a tutto questo; se nulla avviene per caso, il dolore non può essere fine a se stesso, dove dovevo cercare un senso, una ragione a tanta sofferenza? Per mesi sono rimasta senza risposte e con tanta rabbia, poi piano piano si è aperto uno spiraglio... era la mia coscienza, era lì che dovevo cercare il senso, dovevo risvegliarla, liberarla dalle catene che la tenevano prigioniera, ri-ossigenarla”. “E allora mi sono detta: se il sacrificio dei nostri morti non riuscirà a scalfire la nostra indifferenza, la nostra stupidità, la nostra grettezza, la nostra miope ignoranza, i nostri personalismi... allora non basterà un processo breve a vanificare il loro sacrificio e il nostro dolore, li avremo resi inutili tutti noi! Ed è così che ora la mia coscienza sta riaffiorando e percorrendo il suo nuovo cammino. Oggi questa massiccia presenza mi riempie il cuore di gratitudine, se siete qui è perché questa sensibilità è già dentro di voi per cui mi rivolgo soprattutto a coloro che non sono venuti non perché non hanno potuto, ma perché non hanno voluto, e a tutti i ragazzi che sono presenti oggi dico: siate presenti sempre quando c'è da difendere la giustizia! Non abbiate paura, la democrazia senza la giustizia non può esistere, è solo caos! Voi siete la parte sana di questo Paese che noi adulti purtroppo vi abbiamo consegnato molto malridotto. Ma voi siete la forza rigeneratrice, il futuro, la speranza. Un mondo migliore, una vita migliore, la felicità sono un vostro diritto, difendetelo coraggiosamente! Non cercate scorciatoie, le cerca solo chi non ha a cuore un mondo migliore”. “La vostra vita sarà attraversata da periodi di gioia e da periodi di dolore, godete appieno delle gioie, ma non abbiate paura del dolore. E' nel dolore che si schiuderanno i vostri cuori, si risveglieranno le vostre coscienze”. In quel momento la voce di Grazia si incrina è sul punto di cedere, ma prende fiato e risale la china: “Si risveglieranno le vostre coscienze e ritroverete voi stessi, sarà un cammino faticoso, ma non arrendetevi, di fronte ad ogni ingiustizia ribellatevi e se sarete in tanti il cammino sarà più agevole. Come diceva il nostro caro Kant: 'Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me' è questo il cammino non c'è altra strada”. Gli occhi di questa donna reggono l'emozione quando ricorda il figlio: “Davide era un ragazzo semplice con tanti problemi come i ragazzi della sua età, ma con un grande senso della giustizia ed una spiccata sensibilità. Una volta aveva visto un video su internet molto duro sul maltrattamento degli animali, rimase shoccato e mi disse 'mamma se l'uomo è capace di tanta crudeltà non voglio più appartenere a questa umanità', mi intenerì tantissimo ma purtroppo mai parole furono più profetiche. E allora impegniamoci tutti a migliorare questa umanità, rendiamo giustizia a questi morti con il coraggio del cambiamento, rinnoviamo le nostre coscienze. Grazie a tutti da parte mia e del mio Davide...”. L'emozione si impadronisce di molti presenti così come per tutti gli interventi successivi intervallati da video e testimonianze di familiari di vittime. Ci sono anche Lilly Centofanti, sorella di Davide,  insieme ad Antonio Mancini: sono loro che hanno chiamato a l'Aquila il popolo delle agende rosse di Salvatore Borsellino. Una chiamata ad unire le forze. E poi ancora tante testimonianze, storie di ingiustizia e di reati impuniti. Il quadro che ne esce fuori è sempre più sconfortante. Quello di un Paese dalla democrazia bloccata, alla mercé del governante di turno preoccupato unicamente di salvare se stesso dalle aule di giustizia. Ma è anche un Paese senza memoria che si ostina a non voler fare i conti con il proprio passato e che si condanna a dover rivivere stragi e tragedie. Sul maxischermo compare Salvatore Borsellino collegato via skype. Problemi di salute gli hanno impedito di poter venire di persona, ma la sua voce tocca come sempre l'animo di tutti i presenti. Salvatore si unisce con forza alla richiesta di giustizia degli aquilani e dei familiari di tutte le stragi impunite. Il suo grido echeggia in una piazza dove centinaia di fiammelle continuano a brillare nell'oscurità. Ed è un grido di denuncia per chi ha costruito case franate come castelli di sabbia. Un grido contro il solito “stuolo di avvoltoi” pronto a venire a l'Aquila nelle vesti di politicanti in cerca di passerelle.
“Noi non accetteremo i processi brevi... noi continueremo fino all'ultimo respiro a lottare per la verità e per la giustizia! Noi faremo la scorta ai magistrati onesti perché la verità venga alla luce e la giustizia trionfi. Le agende rosse resisteranno un minuto in più del regime e il nostro grido sarà sempre lo stesso: Resistenza! Resistenza! Resistenza!”.
Scende la notte su questa città teatro di un'ennesima tragedia annunciata. La paura che anche su l'Aquila l'oblio prenda il sopravvento sulla risposta di giustizia si staglia nell'aria. Un timore contro il quale si oppongono con ogni forza i familiari delle vittime di tutte le stragi, uniti da un comune dolore. A tutti noi l'obbligo morale di unirci in questa lotta contro il tempo. Un obbligo morale che ci impone di pretendere giustizia per ognuna di queste vittime. Prima che la notte avvolga completamente il nostro futuro.

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