A colloquio con Alfonso Sabella
di Lorenzo Baldo
Roma. Dopo la pubblicazione su Il Fatto Quotidiano dell'articolo “Un giudice stritolato dalla trattativa” l'amarezza del giudice Alfonso Sabella è sempre più tangibile.
Amarezza e disillusione che emergono anche in questo colloquio.
Dott. Sabella stiamo assistendo ad una vera e propria accelerazione degli eventi in merito alle indagini sulle stragi del '92 e del '93. Da una parte giungono le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e quelle di Massimo Ciancimino, dall'altra si materializzano le tardive dichiarazioni di esponenti delle istituzioni come Claudio Martelli, Luciano Violante o Liliana Ferraro. Come interpreta questi segnali che si intersecano nella ricostruzione delle sue vicende professionali pubblicate su Il Fatto Quotidiano?
Non c'è nulla di nuovo nella ricostruzione dell'articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano, semmai qualche piccolo dettaglio, magari non secondario, ma comunque minore all'interno di una logica globale. Questi fatti erano risaputi. Che Scarantino non fosse attendibile e che la strage di via D'Amelio fosse da attribuire agli uomini di Brancaccio l'avevo già scritto nel mio libro (Cacciatore di mafiosi – Mondadori 2008 ndr).
Nel capitolo sulla collaborazione di Giovanni Brusca spiegavo, magari in maniera un po' più criptica, la vicenda Brugnano - Lombardo, così come la cattura di Totò Riina.
Ora però stanno cominciando a spuntare degli elementi di prova che non sono semplicemente logici come quelli che esponevo io, ma un po' più concreti.
Bisognerebbe interrogarsi su chi ha fatto parlare Scarantino in quel modo. Bisognerebbe interrogarsi sul famigerato papello che finora era stato sostanzialmente un'ombra e che invece adesso acquista una veste reale. Ormai non si può più dire che non esiste. Io sono convinto che il papello che ha presentato Ciancimino sia la copia di quello autentico, poi magari gli eventi mi smentiranno, ma al momento ci credo fermamente. Ritengo che questi elementi messi insieme possano avere indotto qualcuno a riferire all'autorità giudiziaria solamente qualcosa di minimale rispetto a quello che sapevano. Siamo di fronte a persone che si ricordano di determinati episodi che potevano riferire in mille altre occasioni precedenti e lo fanno solo adesso dopo che è comparso il papello e dopo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e di Massimo Ciancimino appunto. Dichiarazioni che ritengo molto importanti. Ciancimino racconta esattamente quello che noi investigatori prima avevamo solamente intuito.
Ma il nostro è un Paese immaturo. Io continuo a pensare che il gen. Mori sia un uomo dello Stato. Ha agito in virtù di quello che lui riteneva essere l'interesse superiore del Paese, secondo disposizioni avute dai vertici governativi dell'epoca.
Il problema riguarda il fatto di trattare prima con Riina e poi con Provenzano al fine di ridurre la mafia a quel livello di “tollerabilità” che si ritiene “sufficiente”. Sono convinto che chi ha trattato all'inizio ha determinato l'accelerazione sulla strage di via D'Amelio, ingenerando nella mafia l'idea che alzando il tiro alzavano il prezzo.
Pensa che le sue dichiarazioni rese al Fatto Quotidiano siano rimbalzate contro un muro di gomma?
Se fossimo un Paese serio dopo le mie dichiarazioni sarebbe dovuto scoppiare un putiferio. C'è invece un silenzio totale. Mi rendo conto che in questo momento ci sono altre priorità come la riforma della giustizia, lo scudo fiscale ecc. Gli interrogativi che io pongo sono però molto gravi. Punto primo: il nostro Paese per 15 anni ha trattato con Cosa Nostra e alla mafia è stato riconosciuto il ruolo di interlocutore, punto secondo: si è tentato di concedere qualcosa alla mafia. Andiamo a vedere in concreto quello che è successo. Vorrei proprio vedere la “qualità” delle persone che sono al 41 bis non la quantità. Non mi interessano i dati, non voglio sapere quante persone sono al 41 bis, voglio sapere chi c'è al 41 bis. Io ho saputo di revoche del carcere duro a persone che per mio conto al 41 bis ci dovevano morire.
Non ritiene che vi sia la possibilità di riscrivere pezzi di storia del nostro Paese?
No. Secondo me non c'è nessuna volontà. Io credo che siamo al solito momento in cui si alza il classico polverone e poi tra qualche mese il Paese dimenticherà tutto.
Chi conosce a fondo i fatti difficilmente vorrà parlare. E c'è anche chi, tra le parti “sane” del Paese, ha interesse che certe storie non vengano fuori perché potrebbero arrecargli qualche pregiudizio sul piano personale, di conseguenza non credo che si riuscirà a fare luce.
Le procure che stanno lavorando sulle indagini operano sostanzialmente incrociandosi tra di loro su aspetti identici della stessa storia, varie facce della stessa medaglia. Chi cerca di ricostruire la strage di via d'Amelio non lo può fare a prescindere dalla trattativa. Chi cerca di ricostruire le stragi del '93 non lo può fare a prescindere dalla trattativa e da quello che è avvenuto nel '92. Chi vuole ricostruire quello che è avvenuto al Dap dopo che io vengo mandato via (Dap – Sisde, tentativo di inquinamento delle dichiarazioni di Giuffrè, l'accordo sulla dissociazione, il tentativo di realizzarla ecc.), così come chi vuole ricostruire quello che avviene nelle vicende Mori-Tinebra-Leopardi, non lo può fare prescindendo dalla questione della trattativa o della dissociazione.
Un antesignano delle vicende legate alla trattativa resta indubbiamente il Pm Gabriele Chelazzi, scomparso nel 2003. Secondo lei Chelazzi avrebbe potuto completare il suo lavoro di ricerca sui mandanti esterni nelle stragi?
Indubbiamente si. Aveva le capacità professionali, la giusta autonomia da ogni tipo di condizionamento perché era libero. Era un magistrato assolutamente capace, un grandissimo conoscitore di mafia. Ho sempre pensato che fosse l'unico magistrato non siciliano che ne capiva di più di mafia. Paradossalmente anche più di Giancarlo Caselli, senza nulla togliere alla preparazione di Caselli che aveva però un altro ruolo. Gabriele era un investigatore puro. Ma forse anche il Padreterno è dalla parte di chi pensa che probabilmente per il nostro Paese sia meglio che certi fatti non vengano fuori. Un conto è che questi esistano, un altro è l'interesse del Paese a dimostrarli.
A un certo punto le indagini di Chelazzi si incrociarono con Mario Mori, poi poco prima di morire lo stesso Pm fiorentino scrisse una lettera all'ex procuratore di Firenze Ubaldo Nannucci lamentando di essere stato lasciato solo a investigare sulle stragi. Come valuta questi due aspetti della vita di Gabriele Chelazzi?
All'epoca io non ero formale assegnatario del processo sulle stragi, però con Gabriele ci confrontavamo spesso. Gabriele iscrisse Mori nel registro degli indagati per favoreggiamento in relazione alla vicenda della fase della trattativa che doveva portare alla revoca di alcuni 41 bis alla vigilia delle stragi in contemporanea con il fallito attentato all'Olimpico.
L'aspetto tecnico (e non solo tecnico) di iscrivere Mario Mori per favoreggiamento verteva su una domanda specifica: l'avrebbe fatto per favorire la mafia o l'avrebbe fatto sostanzialmente per favorire la pacificazione nello Stato? Gabriele giustamente sosteneva di volerlo appurare da Mori e a tal proposito ribadiva: “Mi venga a dire perché l'avrebbe fatto oppure invochi il segreto di Stato, e in questo caso che venga un Presidente del Consiglio a porre il segreto di Stato”.
Ubaldo Nannucci probabilmente non era molto d'accordo sul taglio globale che Gabriele dava all'inchiesta. Ma non credo che la solitudine di Gabriele fosse frutto di un disegno preordinato. Penso che l'isolamento di Gabriele fosse nato dal fatto che lui era diverso in quel contesto, nel senso che egli riteneva di aver capito. Mentre gli altri forse non erano così sicuri che quello che aveva capito Gabriele fosse corretto. Probabilmente il fatto di andare a toccare livelli istituzionali così alti avrà impaurito qualche magistrato. Ma se pur aveva avuto alti e bassi con l'ex procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, devo riconoscere che in quel momento Gabriele si sentiva supportato da Vigna.
Quali sono le sue considerazioni finali?
Ormai non ho più nulla da perdere, non posso più peggiorare la mia situazione oltre misura. Ritenevo che in questo Paese ci fosse qualche persona in più “libera”, ma non vedo reazioni neanche nelle correnti della magistratura sia da parte di MD, così come per MI e via dicendo. Il silenzio è uguale a morte diceva una canzone di Guccini...
Silenzio sulla trattativa
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