di Silvia Cordella - 17 ottobre 2009
Ecco le dodici richieste che Cosa Nostra inviò allo Stato nel 1992. Sono venute fuori dopo lunghi anni di conservazione in cassaforte, custoditi aldilà dei confini italiani da Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo condannato per mafia.
Si possono leggere chiaramente i punti che il capo di Cosa Nostra Salvatore Riina fece scrivere al medico Antonino Cinà. Suo tramite nella trattativa avviata dagli uomini del Ros con Vito Ciancimino. La revisione della sentenza del maxiprocesso, l’annullamento del decreto legge sul 41 bis, la revisione della legge Rognoni La Torre, la riforma della legge sui pentiti, il riconoscimento dei benefici ai dissociati (Brigate Rosse) condannati per mafia, la concessione degli arresti domiciliari dopo i 70 anni di età, la chiusura delle supercarceri, le carcerazioni vicino alle case delle famiglie, il blocco delle misure di prevenzione (sequestro) ai familiari, gli arresti solo in flagranza di reato, la defiscalizzazione dei carburanti come ad Aosta. Insomma un lungo papello di richieste che l’ex sindaco di Palermo (così com’è riportato su un post-it attaccato al foglio), avrebbe “consegnato spontaneamente al colonnello dei carabinieri Mario Mori dei Ros” e al capitano Giuseppe De Donno, nel periodo - secondo Massimo Ciancimino - tra la strage di Capaci e quella di Via d’Amelio. Si tratta di istanze che lo stesso Vito Ciancimino aveva ritenuto impraticabili perché eccessive, tanto da suscitare la sua ira contro Riina: “la solita testa di minchia!”.
Così don Vito successivamente fu costretto a stilare una rettifica a quelle richieste. Ed è in questo documento consegnato da suo figlio Massimo alla procura di Palermo che si leggono nitidamente i nomi dei probabili destinatari: “Mancino – Rognoni – il Ministro Guardasigilli”. Qui sono contenute le pretese che secondo don Vito potevano essere accettate: Abolizione del 416 bis (il reato di associazione mafiosa), fondazione del Partito del Sud, riforma della giustizia all’americana, abolizione del monopolio sui tabacchi, sottoposizione delle condanne del maxiprocesso alla Corte di Strasburgo, ed altro ancora. Concessioni che avrebbero potuto essere soddisfatte solo da personaggi con incarichi istituzionali elevati. Su questo punto infatti le indagini sulla trattativa si alzano di livello esigendo la massima prudenza. Perché Mori e De Donno non si sarebbero mai spesi con Riina se non avessero avuto garanzie adeguate di protezione da parte degli alti vertici militari. Molte persone legate al mondo delle Istituzioni oltre a Martelli, Violante e Ferraro potrebbero ancora riacquistare la memoria a differenza di altri che fanno finta di averla persa. Le proposte del Capo dei Capi in quel foglio fanno trasparire la sua tranquillità. Il tavolo da gioco si era aperto e lui aveva puntato alto. I collaboratori di giustizia Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè e Salvatore Cancemi hanno raccontato i passaggi di queste ore vissute al di là della barricata, dalla parte dei mafiosi. Massimo Ciancimino ha descritto le varie fasi come testimone dell’uomo di mezzo. Suo padre, intermediario tra lo Stato e la Mafia. E’ anche lì che scavano i magistrati, tra le maglie degli accordi e dei compromessi politici che determinarono non solo l’inizio di una trattativa, conclusa con la cattura di Riina, ma che in nome di una pax mafiosa si era sviluppata attraverso il consolidamento di una nuova alleanza tra la mafia di Provenzano e una politica capace di siglare importanti accordi.
Un’escalation di eventi che si sono lasciati alle spalle un’estate infernale di bombe e complotti, gli stessi che portarono all’isolamento e poi alla sovraesposizione di Paolo Borsellino. L’unico testimone in vita degli ultimi giorni di Giovanni Falcone. E l’unico che, avendo saputo della trattativa intavolata con gli assassini del suo più fedele amico, stanco e consapevole di essere il prossimo, aveva confessato alla moglie “sto vedendo la mafia in diretta”.
Il papello di Riina. Borsellino: ''sto vedendo la mafia in diretta''
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