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La rete riservata

D’altronde il Presidente aveva già testato la sua affidabilità di “consigliere” quando nel ’99, Borzacchelli lo aveva convinto ad effettuare una bonifica dalle microspie nei suoi uffici e nella sua abitazione. Ad eseguire i lavori di “ripulitura” venne incaricato uno dei migliori professionisti dell’Arma dei Carabinieri di Palermo: il maresciallo Giorgio Riolo. Questi è infatti il tecnico più competente della sezione anticrimine palermitana e da dieci anni il sottufficiale di riferimento per molte indagini antimafia su latitanti eccellenti del calibro di Salvatore Lo Piccolo, Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro.

Riolo è però una spia nelle mani dell’ing. Michele Aiello, il ricchissimo imprenditore vicino alla “famiglia” di Bagheria, inserito nella gestione della spartizione illecita degli appalti in Sicilia, che avrebbe costruito la sua immensa fortuna grazie alla personale protezione di Bernardo Provenzano. All’epoca incensurato e grande sostenitore dell’Udc di Cuffaro, l’ingegnere intratterrà con “Totò” legami di tipo affaristico e amichevole. Gli affari riguarderanno le cliniche di Aiello “Villa Santa Teresa” e “Atm” che, grazie ai raggiri di funzionari compiacenti del distretto sanitario di Bagheria e della Regione, riuscirà a farsi rimborsare fior di quatrini aumentando i suoi ricavi del 780 % in due anni. Per questo motivo il comune di Bagheria e l’Asl 6 hanno chiesto risarcimenti per un complessivo di 86 milioni di euro. 

I legami amichevoli tra Cuffaro e Aiello invece sfoceranno nelle rivelazioni del 20 e soprattutto del 31 ottobre 2003, quando il Presidente (a quel tempo già indagato nell’inchiesta su Guttadauro), liberandosi dalla scorta con un pretesto, lo vorrà incontrare in incognito nel retrobottega di un negozio di abbigliamento a Bagheria. A quell’appuntamento il leader dell’Udc informerà l’ingegnere Aiello che la Procura (da tempo impegnata a “scavare” sulle sue relazioni con Cosa Nostra  e sulle sue strutture sanitarie) aveva puntato i riflettori sui marescialli Ciuro e Riolo, gli ideatori di quella rete riservata di telefonini che serviva a proteggere l’ingegnere dalle indagini. Un sistema di comunicazione costituito da diversi cellulari in uso a lui e ai suoi uomini di fiducia, intestati ad inconsapevoli dipendenti della sua clinica. La rete privata permetteva ai due sottufficiali di riferire e parlare liberamente delle indiscrezioni acquisite sul fronte investigativo: Ciuro violando il sistema informatico della Procura di Palermo, Giorgio Riolo contravvenendo a quei principi di segretezza a cui era tenuto riguardo le investigazioni della sua sezione del Ros. Le rivelazioni del Presidente erano vere. Cuffaro  le aveva ricevute da una fonte ben informata in “diretto collegamento” con Roma e che non potevano di certo essere facilmente verificate per via del fatto che i due graduati erano stati iscritti nel registro degli indagati con nomi di copertura.  

Purtroppo, hanno concluso i pm, per la reticenza degli imputati Aiello e Cuffaro non è stato possibile risalire alla fonte informativa del Governatore sulle indagini segrete a carico di Ciuro e Riolo, sia essa una “talpa” palermitana, romana o interna alla Procura. Nel tradimento di questi uomini dello Stato, ha commentato in aula Pignatone è dunque riduttiva la definizione di “talpe”, rispetto al significato strategico che gli episodi di questo processo hanno assunto agevolando Cosa Nostra. Un’agevolazione compiuta in nome di una commistione di «interessi che hanno accomunato mafiosi, professionisti e appartenenti alle istituzioni della rappresentanza politica». In questo senso si può dire che «Aiello sia un esempio emblematico della strategia mafiosa che s’inserisce per via diretta nel sistema produttivo siciliano anche in settori di alto livello tecnologico e che si può sintetizzare con le parole di Provenzano riferite da Campanella: «Ora dobbiamo fare impresa». Infatti non si può non fare riferimento a Provenzano, «la faccia nascosta ma non meno presente di questo processo». «E ora - ha solo potuto constatare l’aggiunto a fine requisitoria - si possono solo rimpiangere le occasioni perdute per la mancata comprensione di quel “pizzino” sequestrato a Totò Riina nel ’93 e a quelli consegnati da Luigi Ilardo al colonnello Riccio nel ‘95». Entrambi suggerivano gli interessi gravitanti intorno alle imprese di Aiello: “Altofonte vicino cava Buttitti (Buttitta, ndr) strada interpoderale. Ing. Aiello” . 

 

 

 

 

ARTICOLO PUBBLICATO NELLA RIVISTA ANTIMAFIADUEMILA NUMERO 5 2007 IN EDICOLA DAL 22 DICEMBRE 2007  PER ABBONARSI CLICCAQUI

 

 

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